La speranza e il sorriso di Francesco. Ed è l’ora della responsabilità
- Postato il 22 aprile 2025
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Il Quotidiano del Sud
La speranza e il sorriso di Francesco. Ed è l’ora della responsabilità
Solo un divino regista poteva immaginare un passaggio come questo: chi di noi non lo ha percepito, fra sorpresa e sconcerto? La Pasqua di Papa Francesco non ha oscurato, ma si è innestata su quella del suo Signore. Sapevamo che nelle scorse settimane avremmo potuto perderlo, ma con noi ha desiderato ardentemente celebrare la vittoria dell’amore Crocifisso.
Lo ha fatto con ogni sua forza, lasciando parlare il corpo e quel filo di voce rimasta: per noi e per tutti. Per i carcerati, che ha visitato il Giovedì Santo quasi scusandosi di non lavare loro i piedi, ma identificando la Chiesa intera nell’uscita da sé che il catino e il grembiule del Maestro le hanno dato per regola fondamentale.
Per i malati e per chiunque vorrebbe, ma non può, in quell’impotenza che la cultura dello scarto nega e rimuove, ma in cui brilla la dignità infinita di ogni figlia e figlio di Dio. Per chi nella notte pasquale diventa cristiano e chi riscopre nel proprio battesimo la radice di una fraternità universale. Per chi è in guerra e paga le conseguenze di politiche oligarchiche e disumane, dissennati progetti di espansione e riarmo.
Francesco è prima uscito dall’ospedale e poi, ogni volta che ha potuto, da Santa Marta, per narrarci fino all’ultimo respiro una Chiesa che guarisce dalla propria autoreferenzialità. Nel giorno di Pasqua ci ha benedetti, cristiani e non cristiani, tenerezza urbi et orbi. Lo ha fatto sfinito, ma vivo, dalla stessa loggia in cui lo vedemmo per la prima volta, la sera del 13 marzo 2013, inchinarsi silenzioso a invocare la preghiera di un popolo sul suo pastore.
Tutto, in questa morte, ci sussurra speranza!
Speranza è l’annuncio pasquale. Speranza è la meta di un Giubileo in cui restiamo pellegrini, anche ora che Francesco è andato avanti, sorpassando tutti un po’ a sorpresa. Ci aveva abituato alle sorprese. E l’ultima, quella della sua partenza da questa terra la mattina del secondo giorno di Pasqua, ci impegna a ripensare. La morte di un padre ci rende definitivamente eredi: è il momento della responsabilità. Rileggere, comprendere, metterci energia e tempo, passione e intelligenza, perché nulla vada disperso. Ogni erede è autorizzato a scelte nuove, a progetti prima impensabili, a un’audacia che guarda avanti e non si lascia imprigionare dal lutto nella nostalgia. Cristo è risorto. Da allora non cerchiamo tra i morti chi è vivo.
Per questo, magari rileggiamo Evangelii Gaudium, invece di disperderci in chiacchiere e supposizioni. Immergiamoci in quell’Esortazione apostolica che, ormai dodici anni fa, disegnava un futuro ora in gran parte nelle nostre mani. Gesù è con noi, ogni giorno, sino alla fine del mondo: questo crediamo. Crediamo anche che non si sostituisca a noi. Rileggiamo, confessiamo quanto siamo stati timidi, resistenti, ignavi, persino ostili alla profezia di Francesco. Il clero, soprattutto, il cui piedistallo è stato fatto vacillare, perché ognuno di noi pastori scenda e torni cristiano fra i cristiani: è il momento della responsabilità.
Sono molti ad avere scritto o detto di sentirsi più soli e di vedere il mondo più vuoto, dopo la morte del Papa. Questo ci narra la sua paternità. Tuttavia, noi speriamo, riconoscendo ancora una volta che la speranza è meno ingenua dell’ottimismo, più realista, più certa. Si fonda in ciò che Francesco ci ha insegnato a leggere nel silenzioso linguaggio della creazione, di cui Laudato si’ non ha denunciato solo la devastazione, ma ha indicato l’armonia che ancora ci regge.
Speriamo, perché tutto è connesso e noi siamo a servizio delle armonie infrante: prendiamo posizione, scegliamo oggi l’altro lato della storia, rispetto a chi ancora rapina territori e popoli, dissanguando gli ecosistemi umani nella tracotanza del crimine e dell’avidità.
Uno sguardo contemplativo è uno sguardo eversivo: sovverte il dominio della forza e sceglie qui e ora nuovi stili di vita, quelli proposti nel discorso delle Beatitudini. La casa comune è invito a riconoscerci famiglia comune di tutti i viventi, ad esercitare la compassione come virtù politica, ad organizzare la speranza che abbatte muri e costruisce ponti. Fratelli tutti, enciclica di Pentecoste, per portarci lontano dal cantiere di Babele, dove per toccare il cielo si rende la terra un inferno. Rileggiamo, ripensiamo, lasciamoci penetrare dal sorriso di Francesco, dai suoi gesti potenti. E ricominciamo a sperare, con le maniche rimboccate.
*Vescovo di Cassano all’Jonio
Vicepresidente CEI
Il Quotidiano del Sud.
La speranza e il sorriso di Francesco. Ed è l’ora della responsabilità