La storia dell’uomo che ha portato a processo le chat (rubate) alla moglie e ora rischia fino a 10 anni

  • Postato il 6 giugno 2025
  • Cronaca
  • Di Blitz
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Aveva estratto alcuni messaggi dai telefoni dell’ex moglie per farli valere come prova a suo favore nella causa di separazione. Ma, alla fine, quel gesto è diventato per lui un boomerang, perché, come ha stabilito la Cassazione, che ha rigettato il ricorso presentato dall’uomo, già condannato dalla Corte d’appello di Messina lo scorso dicembre, “violare lo spazio comunicativo privato di una persona, abbinato ad un telefono cellulare nella sua esclusiva disponibilità e protetto da password, integra il reato di accesso abusivo a sistema informatico”. Insomma, per gli Ermellini spiare i messaggi WhatsApp è un reato, punibile fino a 10 anni di carcere.

La vicenda era iniziata nel marzo del 2022, quando la moglie dell’uomo aveva denunciato comportamenti ossessivi da parte del marito. Lui a sua volta l’avrebbe accusata di avere una relazione con un collega, arrivando a sottrarre dei messaggi da una chat, per poi inviarli ai genitori di lei, quale prova del presunto tradimento. L’ex marito aveva ottenuto anche degli screenshot di messaggi da un altro telefono che lei usava per lavoro e che era sparito da tempo. Tutti i contenuti sono poi stati consegnati all’avvocato dell’uomo e prodotti in sede civile come elementi a sostegno dell’addebito della separazione. Ma l’effetto ottenuto è stato il contrario di quello sperato, perché così facendo il marito ha commesso un reato. Per la Cassazione, il coniuge ha infatti “arbitrariamente invaso la sfera di riservatezza della moglie attraverso l’intrusione in un sistema applicativo”.

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Blitz

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