La storia di Felice Giannotti detto il Divino. Chi era il bagnino della misteriosa spiaggia di Capocotta

  • Postato il 20 agosto 2025
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  • Di Artribune
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Spiagge del demanio, rincari del demonio, infuria ancora la polemica. 50 anni fa le spiagge popolari s’inventavano ex novo, grazie a quelli come Felice Giannotti detto il Divino, pioniere, chioschista e leggenda di Capocotta, la spiaggia libera, alternativa, popolare, trasgressiva, di Roma. Giannotti è scomparso giorni fa a 80 anni a Ostia. Si è chiusa un’epoca? Quella di Capocotta è una storia scritta sulla sabbia, abituata a ricominciare da capo. Un tempo dove golden age e stagioni interlocutorie si sono date il cambio più volte, dove ha infuriato ciclicamente la battaglia contro ruspe, multe, incendi e altre bordate. Una storia entrata in un mito che perdura dalla fine dei ‘70, sopravvivendo anche a riassunti esausti. Il Divino e altri personaggi, anch’essi nel mito, come Gaspare Vichi detto Zagaia, furono le teste di ponte che fecero esplodere un piccolo eden nudista in un’epopea più larga. E comunque pubblica.

Il culto marino dell’estate di Capocotta

Mentre nell’urbe si andava estinguendo la casta dei fiumaroli, fanatici custodi del mistero del Tevere, a Capocotta si accendeva un nuovo culto marino, sulla scia dell’Estate nicoliniana. “Questa spiaggia è nata con me”, raccontava al Corriere. “Nel 1970 ci venivo con amici a giocare a racchettoni. C’erano una ventina di naturisti, gente di spettacolo. C’era Gavino con sua moglie, un ombrellone, i panini. Poi lo raggiunsero cinque fratelli e tirarono su i chioschi, Attila, il Corsaro, Tropical. Io facevo l’attrazione, il bagnino, rimorchiavo. Così nacque Capocotta, dove tutti i ceti, le passioni, gli amori si mescolavano insieme. Ci si veniva per togliersi di dosso l’odore della città”.

Storia della spiaggia di Capocotta

Il “buco di Capocotta” era letteralmente uno squarcio nella recinzione che circondava il lungo tratto di dune e spiaggia posizionato in fondo alla litoranea Ostia-Torvaianica, macchia mediterranea incontaminata, con alle spalle la sterminata foresta della tenuta omonima, separata solo dalla statale. Nel 1965 Saragat aveva donato al popolo i due km di spiaggia della tenuta presidenziale di Castelporziano, da cui nacquero i “cancelli”, che precedono Capocotta. La recinzione esisteva perché dalla fine degli Anni ‘50 pendeva sull’intera Capocotta un progetto di speculazione edilizia: la lottizzazione privata dei resti dell’ex tenuta reale dei Savoia, pronta a diventare una Acapulco privata con accesso esclusivo alla spiaggia tramite due sottopassaggi. Nicolini visitò i lavori preliminari nella tenuta nel 1976, scrisse spaventato della “violenza dell’estensione dell’operazione” e della “attesa metafisica di case che ne promanava”. Nel gennaio 1985 fece una mostra con Cederna intitolata “Capocotta Ultima Spiaggia”, per illustrare la proposta per un maxi-parco naturalistico archeologico di tutto il litorale romano. La cementificazione venne bocciata dallo Stato, ma soltanto dopo molto tempo, nell’estate 1985, Capocotta venne salvata ed espropriata. Nel 1996 divenne riserva naturale. Nel 2000 a Capocotta venne istituzionalizzata la prima oasi naturista d’Italia. Alla fine, dentro quel buco della recinzione, entrò tutta Roma. È a Capocotta che si materializzava l’intuizione di Flaiano, “Roma è l’unica città coloniale a non avere un quartiere europeo”. Infatti, siamo ancora dentro i confini della metropoli che terminano col Villaggio Tognazzi. Ma potremmo essere a Tangeri, a Pondicherry, a Dakar. 

Felice Giannotti il Divino
Felice Giannotti il Divino

Il buco di Capocotta secondo Goffredo Parise

A illuminare i primordi c’è un racconto di Parise dell’estate 1978, dedicato al “Buco” di Capocotta, finito nel “Sillabario n°2” (1982), alla voce M di Mistero. È l’anno del primo exploit di Capocotta come spiaggia alternativa agli stabilimenti del litorale. “M” è la storia dell’abbaglio di un provinciale portato d’agosto sulla spiaggia. Uomo pieno di timori, vede dannazione ovunque: l’agro romano gli ispira “uno stato d’animo di pugnalate e sangue in mezzo alle mosche”, nel labirintico passaggio tra le dune avverte “un forte odore stagnante di umido e umano come nei banchi turchi”, alla vista della perdizione dei corpi nudi crede di essere in un luogo “popolato di esseri pericolosi e deformi”, un sanatorio misterioso e tremendo per “malati di mente o carcerati”, sdraiati in quella “spiaggia abbandonata da tutti”. Poi una volta in acqua, la minaccia dei corpi sparisce, cala sull’incubo l’invincibile estate. A suo agio nella colonia penale compare uno dei primi chioscari, con i “capelli bruciati da una tintura violacea, le gambe cortissime e potenti, cosparse da un labirinto di nodi di vene sul punto di scoppiare”.

Il Divino a Capocotta

Anche Il Divino era una creatura che viveva in simbiosi con Capocotta. Dopo i feroci sgomberi del 1989 (la persecuzione delle ruspe inizia dal 1985, l’introduzione dello spago con le vongole è successiva, forse per ripicca) con Capocotta abbandonata a se stessa, era lì a pulire: “mi dichiaro gestore volontario. Sono innamorato di questo posto, mi dispiace vederlo degradato. Ogni giorno pulisco l’arenile, abbiamo raccolto oltre millequattrocento buste di plastica”.Nel 1992 era lì col suo chiosco, l’Harem. Nel reportage Rai dedicato a Capocotta, girato dalla documentarista Annabella Miscuglio, lo si vede quarantasettenne, capelli lunghi biondi, fisico asciutto, abbronzatura scolpita color tabacco. E un sorriso risolto: “sono tutte queste cose che mi fanno vivere in spiaggia: in città non ci sono, qui ci sono. Parli magari con gli alberi, con la sabbia, con gli uccelli. Ti senti un albero pure te, un uccello, un pezzo di sabbia. Sei tutto. E vivi. E i giorni passano: tanto tu c’hai sempre la stessa età e te chiamano Divino”. Era stato in brefotrofio al tempo di guerra, poi in collegio dai salesiani, poi facoltà di Psicologia, poi impiegato al Poligrafico ma licenziato per troppe assenze, poi solo e soltanto “il buco”, giorno e notte. Ballerino, bagnino, performer, ma soprattutto garante del mistero Capocotta, custode del terzo spazio per habitué e iniziati, e non l’animatore malandrino e subdolo dei villaggi turistici. 
Ad ogni ciclo di sgomberi, il Divino, intervistato, aggiornava il catasto delle tribù di Capocotta: “C’era Il Battello Ubriaco, dove andavano quelli più fusi e intellettuali. C’era Zagaja, dove c’erano i trans. I gay stavano da Gavino. Le lesbiche da Attila. Ma c’era tutta Roma, la parte più viva, più curiosa. La notte si facevano feste sulla spiaggia, come nei film di Fellini”. Racconta ad Artribune un’altra leggenda, Federico Pietra Bruna: “Il Divino era un pezzo di pane, faceva il bagnino al Capanno Giallo, accanto a Zagaia. Poi nel 1990 aprì il suo Harem. Gli anni del boom di Capocotta sono 1988, 1991, 1994, e lui c’era”. La formula panini, bibite e grattachecche era stata rottamata. “Nel 1982 subentrai a un chioscaro, avevo 45 anni”, continua Pietra Bruna. “Poco dopo mi inventai la scenografia del Battello Ubriaco e la spiaggia cambiò definitivamente: feste, falò, concerti, mangiatori di fuoco, gallerie d’arte. Avevo dei trascorsi nello spettacolo, caricavo da Cinecittà resti di scenografie: le polene, il cannone finto, il cancello all’ingresso preso dal set di ‘C’era una volta in America’. invece la palma riconvertita in doccia era fatta inchiodando i pali di legno portati dalle mareggiate.” Architetture orgoglio del Divino, “opere d’arte finite sulle guide di tutto il mondo”.

La fine di un’epoca?

L’ultima volta che ho visto Er Divino era pittato di giallo e blu sotto il sole, ballava e cantava su una pedana, sandali e cavigliere di cuoio, ancora nei panni di “un rustico dio marino”, come lo definì Fulloni sul Corriere. Il suo Harem era stato già demolito nel 1996 con il bando storico di Rutelli. Viene l’età che si amano gli eccentrici, prodigiosi, bagliori freak più delle stelle fisse. Tra la dinastia di Mister Ok e quelli come Il Divino dov’è la differenza? Entrambi inguaribili rabdomanti di una Roma Confidential, quella che si deve andare a toccare. Un giorno torneremo a nuotare nel Tevere, anche grazie a chi ha tenuto viva l’idea. Non è finita un’epoca con la morte di Felice Giannotti detto il Divino, semmai la notizia è che la libera spiaggia di Capocotta, dopo tutto questo tempo, non è rimasta solo un’avventura.  

Stefano Ciavatta

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Artribune

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