"La Ue deve avere meno regole e più crescita", dice John Cochrane

  • Postato il 13 dicembre 2025
  • Di Il Foglio
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"La Ue deve avere meno regole e più crescita", dice John Cochrane

A breve la Corte suprema americana si pronuncerà sulla possibilità che il presidente, Donald Trump, utilizzi poteri d’emergenza per imporre dazi, dopo che tre tribunali hanno già dato una risposta negativa. E’ in ogni caso già un fatto che l’Amministrazione Trump abbia trasformato i dazi in uno strumento centrale della sua politica estera. Pochi economisti possono parlare di questo nuovo scenario meglio di John H. Cochrane, senior fellow alla Hoover Institution della Stanford University e professore di Finanza ed economia alla Stanford Graduate School of Business, autore di molti saggi, tra cui da ultimo uno sulla storia e sul futuro dell’euro, “Crisis Cycle”, scritto insieme agli economisti Luis Garicano e Klaus Masuch. Parlando con il Foglio Cochrane spiega come i dazi funzionino ora come strumenti geopolitici, perché le debolezze economiche dell’Europa stanno diventando passività strategiche e come queste pressioni stiano alimentando un più ampio riallineamento politico in tutto il continente.

 

Cochrane inizia dalle basi. “I dazi sono tasse che il paese impone sui beni importati, e questo è inefficiente per l’economia”, dice: distorcere il prezzo di un bene, per esempio quello dei mirtilli rispetto a quello delle fragole, porta i consumatori a fare una sostituzione verso l’opzione non tassata, producendo risultati complessivamente peggiori. Ma l’uso dei dazi da parte dell’Amministrazione Trump appartiene a una categoria del tutto diversa: “Il modo migliore per comprendere i dazi è considerarli non come una politica economica tradizionale, ma come un gioco geostrategico”. Un dazio del 100 per cento alla Cina, per esempio, non è destinato a essere permanente, ma a ottenere concessioni: è una mossa negoziale”. Le conseguenze economiche, dice Cochrane, sono inevitabili: alcuni importatori hanno temporaneamente assorbito i costi più elevati, ma se i dazi persistono, “i costi aumentano e i prezzi aumentano”, i consumatori sentiranno l’effetto: “Saremo un po’ più poveri”. L’impatto diretto sull’economia americana è modesto, sostiene Cochrane, perché “gli Stati Uniti complessivamente non importano così tanto”, ma lo choc più forte si avverte all’estero: “E’ molto impattante per le economie straniere, e penso che sia questo il punto”. Ma questo approccio comporta anche un prezzo diplomatico: “Irrita profondamente i nostri alleati, e se mai dovessimo chiedere un favore al resto del mondo, potrebbero non essere di ottimo umore” nei confronti dell’America. 

 

Gli europei non sono già adesso di ottimo umore, e i dazi sono solo una parte della ragione: Bruxelles è preoccupata per la Casa Bianca che fa pressioni sulle spese per la difesa, critica l’Ue per l’eccesso di regolamentazione e invia segnali contrastanti sul proprio impegno verso la Nato e l’Ucraina. La nuova Strategia per la sicurezza nazionale, redatta nel linguaggio di Trump, non ha fatto che aggravare questa ansia. Il punto di Cochrane, tuttavia, è che il problema non è solo ciò che Washington dice ma ciò che l’Europa è in grado di mettere sul tavolo: gli alleati europei non parlano da una posizione di forza, i vincoli dei loro modelli impediscono loro di avere una forza comparabile, sia economica sia militare, a quella americana e così l’Amministrazione Trump non li prende sul serio. Per Cochrane, il problema dell’Europa non è la mancanza di denaro ma la mancanza di crescita e, insieme, di volontà: “L’Europa non sta crescendo perché è iper regolamentata”. Spendendo circa la metà del loro pil nel sociale, i governi europei insistono a dire di non poter espandere i bilanci della difesa senza mettere in pericolo lo stato sociale e innescare proteste. Cochrane trova questa logica poco convincente: “La spesa per la difesa è davvero piccola rispetto alle dimensioni dei governi moderni”, dice. L’Europa potrebbe raggiungere obiettivi di spesa nella difesa più alti tassando e spendendo in modo più efficiente e “deregolamentando l’economia in modo che possa crescere”. E’ molto facile, dice l’economista, “specialmente nella difesa, sprecare molti soldi per cose che non servono a nulla”, e il risultato è che l’Europa fatica a trasformare le sue capacità economiche in potere militare. Sulla carta è molto più ricca del suo principale avversario, ma non si comporta come tale: “Il pil della Russia è grande quanto quello dell’Italia, ma questo non è un confronto economico serio, perché l’Europa deve curare i suoi problemi strutturali e iniziare a crescere, e poi la questione della difesa diventerà, se davvero questa è l’intenzione, più semplice”.

 

Nessun paese illustra i problemi strutturali dell’Europa più chiaramente dell’Italia, dice Cochrane. Nonostante le promesse di riforma, l’economia italiana rimane stagnante: “E’ bloccata in questo stato di bassa crescita”. Giorgia Meloni ha fatto qualche aggiustamento marginale ma non ha alterato il modello: “Sta facendo cose buone, ma penso che serva una dose di Javier Milei, e non sta arrivando”. Cochrane indica il modo in cui l’Italia tratta le piccole imprese come esempio: “Nel momento in cui assumi il 21° o il 51° dipendente, diventi una grande azienda, e ti si applicano regole e regolamenti” relativi, e questo dà alle aziende un chiaro incentivo a non crescere mai. La burocrazia poi fa il resto: “Se vuoi capire la burocrazia italiana, prova a compilare un modulo di rimborso spese per un’università italiana”. Cochrane, che è un economista liberale, sostiene che Bruxelles talvolta rende più difficile risolvere i problemi strutturali dell’Italia: “L’Ue è un’istituzione potenzialmente meravigliosa, ma non è d’aiuto all’economia italiana aggiungere ulteriore regolamentazione”. E questo si vede nelle urne, con l’ascesa dei partiti populisti: “Se l’Europa sta attraversando un grande riallineamento politico è perché agiscono le stesse forze che hanno portato Trump alla guida degli Stati Uniti. Il motivo, secondo Cochrane, è l’incompetenza delle élite politiche degli ultimi vent’anni, e “l’elettore medio se n’è accorto”.

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Autore
Il Foglio

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