Laboratorio Gaza: così la ricostruzione diventa un esperimento globale tra dati, denaro e potere

  • Postato il 1 novembre 2025
  • Di Panorama
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Sembrava uno spot. «Di cattivo gusto» secondo i più moderati, «un’operazione squallida, subdola e vergognosa», strepitavano i più scalmanati. Ma il video generato con l’Intelligenza artificiale Gaza resort postato a fine febbraio da Donald Trump sul suo social Truth, in cui il presidente Usa (o chi per lui) mostrava la sua visione della Striscia trasformata da territorio martoriato dalla guerra in riviera di lusso, forse non era soltanto una boutade. Dopo il fragile accordo mediato dagli Stati Uniti e dai Paesi arabi con Israele e Hamas, l’obiettivo a lungo termine oggi è la ricostruzione a Gaza: è partita la corsa all’oro e non poggerà soltanto sul mattone ma anche e soprattutto sulla tecnologia e il controllo dei dati.

Già molto tempo prima del cessate il fuoco, ad aprile 2024, la Camera di commercio internazionale aveva annunciato una partnership con Palestine emerging, progetto di cooperazione incentrato sulla ricostruzione economica e sullo sviluppo di Gaza e della Cisgiordania, elaborando un piano che sosteneva una strategia di sviluppo graduale a breve, medio e lungo termine, al fine di ricostruire l’edilizia abitativa e l’economia di Gaza. Prima del 7 ottobre 2023, spiegava il report di Palestine emerging, a Gaza c’erano circa 56 mila imprese soggette a vincoli atavici (barriere alla circolazione delle persone e delle merci dalla Cisgiordania e da Gaza, restrizioni all’accesso alle falde acquifere, limiti agli standard di comunicazione mobile, restrizioni sulle attività bancarie).

C’è da dire che – è sotto gli occhi di tutti – dopo l’attacco terroristico di Hamas ad Israele (in cui sono stati assassinati 1.200 israeliani e altri 200 tenuti in ostaggio, oltre ai 500 mila civili sfollati dai territori confinanti con la Striscia) e la guerra che ne è seguita, la preoccupazione più immediata delle persone non è la riqualificazione della Striscia bensì il ritorno ai livelli essenziali: cibo e aiuti medici. Ma è con i progetti Great (Gaza reconstitution, economic acceleration and transformation) e Gita (Gaza international transitional authority) che si capisce in maniera più precisa quali sono le intenzioni della comunità internazionale sulla Palestina e cosa potrebbe diventare: un laboratorio sociale a cielo aperto. L’alternativa, d’altro canto, è guerra, povertà e ignoranza per generazioni a venire.

Il Great trust, concepito in seno all’amministrazione americana, è stato anticipato dal quotidiano Washington Post a fine agosto: è una sorta di Piano Marshall, articolato in 38 slides, che trasformerebbe la Striscia in una fiduciaria amministrata dagli Stati Uniti per almeno 10 anni, passando così dalla condizione di «proxy iraniano distrutto» a quella di «prospero alleato abramitico», come indicato nel sottotitolo del progetto. Il trust dovrebbe governare Gaza per un periodo stimato in 10 anni, fino a quando una politica palestinese riformata e deradicalizzata non sarà pronta a intervenire.

Il piano punta a far diventare l’area una scintillante località turistica (il video di Gaza resort, insomma, non era poi tanto una boutade) ma soprattutto un centro di produzione e tecnologia al top attraverso la costruzione su larga scala di data center e “gigafactory”, oltre a una «Elon Musk Smart manufacturing zone» per i veicoli elettrici. Una città di start-up esentasse, con factory tecnologiche e centri di Ia per sostenere la costruzione di fino a otto «città pianificate intelligenti alimentate dall’Intelligenza artificiale» sul lato interno dell’anello di Gaza. Tutti i servizi in queste città sarebbero garantiti «attraverso un sistema digitale basato su Id (Identità digitale)». E se già oggi all’aeroporto di Stoccarda – per fare un esempio a noi vicino – qualsiasi cittadino, passando a figura intera davanti allo scanner, munito di biglietto e passaporto, può avere i suoi dati biometrici collegati a quelli anagrafici, è facile immaginare cosa potrebbe succedere nella Striscia, dove la protezione dei dati personali, oggi e chissà per quanto tempo ancora, è l’ultima delle preoccupazioni.

Dietro il progetto Great c’è Jared Kushner, genero di Donald Trump, insieme con Peter Thiel, capo di Palantir (società di analisi di dati) e Larry Ellison, miliardario fondatore di Oracle, multinazionale del settore informatico. Ellison potrebbe diventare l’uomo più ricco del mondo, superando Elon Musk, grazie alle esorbitanti commesse ottenute da Oracle in materia di Ia: l’importo dei contratti per cloud firmati dall’azienda è salito da 138 miliardi a 455 miliardi di dollari in soli tre mesi (giugno-agosto 2025). Palantir, invece, è diventata la pietra angolare dell’infrastruttura dati militare del mondo occidentale. Oracle nel 2021 ha lanciato nella regione mediorientale la Oracle Cloud Infrastrutture (Oci), un data center che fornisce la base hardware per le analisi in tempo di guerra. In pratica, quindi, Oracle fornisce l’infrastruttura e il cloud, Palantir analizza i dati con l’Ia.

A settembre è uscito anche lo schema di Gita, che propone una struttura istituzionale su come opererà il futuro governo di Gaza. Il piano è stato redatto dal Tony Blair Institute for global change (Tbi), il cui più importante finanziatore è Ellison (circa 257 milioni di sterline donate dal 2021 a oggi, che hanno consentito alla Fondazione dell’ex premier britannico di espandersi in Africa, Medio Oriente ed Europa orientale, inserendo consulenti nei ministeri locali), che è anche grande sponsor del partito repubblicano Usa e socio di Thiel, grazie a una partnership tra Oracle e Palantir. I documenti sugli appalti e la bozza del piano, ottenuta e pubblicata per la prima volta dal quotidiano israeliano Ha’aretz, mostrano che la spina dorsale della governance immaginata nel piano Gita comprende un registro civile unificato e una piattaforma di identità digitale, la gestione centralizzata delle frontiere e delle dogane e una logistica degli aiuti umanitari basata sui dati. Un portavoce del Tony Blair Institute, intervistato da un’agenzia investigativa indipendente, ha dichiarato che «il documento Gita è un semplice documento di lavoro» e che «il Tbi non ha nulla a che fare con la partnership di Oracle/Palantir»: il progetto, insomma, è venduto come un semplice «percorso verso la stabilità».

Nonostante non siano ancora state pubblicate gare d’appalto, l’architettura digitale della proposta sarebbe sostenuta anche dalle agenzie internazionali, a partire dal programma Digital West Bank & Gaza della Banca mondiale, fino alle principali agenzie delle Nazioni unite: curiosamente ad agosto, quando il cessate il fuoco era ancora lontano e le priorità dei palestinesi erano (e sono ancora) cibo e pronto soccorso medico, l’Unrwa (Agenzia delle Nazioni unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente) ha presentato un bando di gara per una «rete locale digitale basata su cloud con Intelligenza artificiale avanzata» che potrebbe in seguito ospitare il tipo di sistema di registro e logistica previsti nel piano di Gaza.

Questi strumenti, gli stessi che Ellison e Thiel già vendono ai governi nazionali e alle forze armate, sono stati concepiti per essere integrati in sistemi più ampi che richiedono controlli di identità e condivisione dei dati tra agenzie, delineati anche nel piano Blair. La ricostruzione di Gaza, insomma, non passa soltanto per il cemento ma anche per il flusso dei dati.

C’è infine un’incognita su chi parteciperà alla ricostruzione: nel piano Great elaborato dall’amministrazione americana compaiono i loghi di 28 aziende tra cui Tesla, Amazon web services, Ikea, Taiwan semiconductor manufacturing company (Tsmc), InterContinental hotels group, Constellis, G4S e altre. Contattate dalla rivista statunitense Wired, tutte hanno dichiarato di essere state inserite in Great «a loro insaputa». Secondo uno dei funzionari incaricati di elaborare il piano, la presentazione è stata concepita come una sorta di ricerca di mercato, per verificare quali aziende potrebbero essere interessate ai piani di riqualificazione e quali, invece, no. Ammesso che ce ne siano, di quest’ultime, considerata l’entità del progetto: 100 miliardi di dollari di investimenti pubblici che innescherebbero finanziamenti privati per altri 35-65 miliardi. Abbastanza da far risorgere un’araba fenice.

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Panorama

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