Lamezia, ricostruiti i ruoli della cosca Iannazzo

  • Postato il 22 maggio 2025
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Lamezia, ricostruiti i ruoli della cosca Iannazzo

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A Lamezia Terme, ricostruiti i ruoli della cosca Iannazzo, il boss Francesco Iannazzo ai domiciliari, è stato arrestato. Minacciava debitori con violenza, gestendo un autonoleggio usato per estorsioni e traffici illeciti.


LAMEZIA TERME – «Con una schioppettata ti faccio volare la testa e la butto in un fosso!» Parole intercettate dai carabinieri che il boss Francesco Iannazzo, 70 anni, “Cafarone”, avrebbe rivolto a C.C. debitore di 4.800 euro per aver noleggiato un’ Audi presso l’autonoleggio “R & P” s.r.l.s. (poi trasformatasi in Unirei srl) intestata a Giuseppe Ruffo, ma occultamente gestita da Francesco Iannazzo.

LE MINACCE DEL CREDITORE

L’incontro fra Francesco Iannazzo e il debitore era stato convocato da Francesco Amantea, ritenuto uomo di fiducia e autista del capocosca, tutti finiti in carcere (ad eccezione di Ruffo ai domiciliari) nell’ambito dell’operazione dei carabinieri, coordinata dalla Dda di Catanzaro, che ha portato all’arresto otto persone (sei in carcere e due ai domiciliari), tra cui Pierdomenico Iannazzo, figlio di Francesco, che – secondo le accuse – operava sotto le direttive del capocosca e, dopo il suo arresto, avvenuto il 31.10.2020, avrebbe svolto un ruolo di vicariato del padre, amministrando la società di noleggio auto fittiziamente intestata a Ruffo, sovrintendendo alla raccolta dei proventi delle attività illecite e alla gestione del denaro materialmente curate dalla madre Giovanni Rizzo (anche lei finita in carcere) che rendicontava al figlio Pierdomenico.

LAMEZIA, I RUOLI NELLA COSCA IANNAZZO

Gli inquirenti, infatti, hanno ricostruito fatti e contesti attraverso intercettazioni telefoniche, ambientali, servizi di appostamenti, videsorveglianza, raccogliendo elementi accusatori nei confronti degli indagati e i rispettivi ruoli. Come quello di Giovannina Rizzo, moglie del boss, che avrebbe gestivo gli affari della cosca dopo la carcerazione del marito Francesco Iannazzo. Inoltre, avrebbe mantenuto rapporti con soggetti contigui alla cosca, riceveva notizie da veicolare al marito detenuto e raccoglieva fondi per il mantenimento in carcere del marito e del figlio Emanuele, finito ai domiciliari (accusato anche di contatti con l’esterno e quindi con la famiglia attraverso telefoni cellulari con schede intestate a persone inesistenti e che nascondeva nel carcere di Siracusa) e per il finanziamento delle spese legali.

IL FITTO ALL’IMMOBILE SEQUESTRATO

Avrebbe anche costretto una donna straniera a pagare il fitto (210 euro al mese) di un’abitazione sequestrata Francesco Iannazzo, nonostante la donna pagasse il fitto all’amministratore giudiziario, dichiarando agli inquirenti che dopo aver riferito alla moglie del boss di voler pagare il fitto solo al Tribunale, «lei rispose agitata che io dovevo pagare e fece il gesto con la mano di afferrarmi alla gola, ma io mi tirai indietro». Altro ruolo emerso è quello di Antonio Iannazzo, anche lui finito in carcere, il quale dopo l’arresto del boss, coordinava l’esecuzione delle estorsioni, delle intimidazioni e delle operazioni di mediazione nei conflitti fra privati, dando disposizioni a Francesco Amantea. E Vincenzo Iannazzo (anche lui finito in carcere) per conto di Francesco Iannazzo si sarebbe rivolto a un imprenditore chiedendogli – secondo le accuse, confermate dallo stesso imprenditore agli inquirenti – di pagare una somma di denaro non quantificata a titolo di contributo economico alle spese sostenute dalla famiglia Iannazzo, perché Pietro Iannazzo era stato condannato a 30 anni di carcere nonché come indennizzo od obbligazione naturale per aver acquistato un capannone industriale precedentemente appartenuto alla famiglia Iannazzo.

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