L’arma di Trump contro i nemici? Si fa chiamare “Aquila”, e sta trasformando la giustizia in vendetta
- Postato il 12 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Giovedì mattina, sull’account X di Edward Martin, è comparsa l’immagine di un’aquila che vola sul Brooklyn Bridge. Martin ha ripostato l’immagine in serata. Poco prima, la procuratrice generale di New York Letitia James era stata incriminata per frode bancaria e false dichiarazioni. Considerato che il soprannome di Martin è “Eagle Ed”, e che dirige l’ufficio del Dipartimento di Giustizia dove vengono regolati i conti con i “nemici” di Donald Trump, il simbolismo dell’immagine era molto chiaro. “Ed l’aquila” aveva ghermito sul ponte di Brooklyn la “preda” James.
Il Dipartimento di Giustizia dell’era Trump è generoso di figure che devono molto alla fedeltà nei confronti del capo. Pam Bondi, l’attorney general, ha un curriculum ragguardevole, ma ha comunque dovuto passare l’esame di lealtà. Nel 2020 ha fatto parte del team che ha difeso il Tycoon nel primo impeachment. Stessa cosa vale per il suo vice, Todd Blanche, che ha assistito Trump nel caso dei pagamenti falsificati alla pornostar Stormy Daniels. Caso interessante è quello di Lindsey Halligan, avvocata delle assicurazioni che nel 2021 si materializzò davanti a Trump sui campi da golf di West Palm Beach. Il presidente ne rimase colpito, tanto da assumerla nel suo (affollato) team legale. In modo inaspettato, e senza alcuna esperienza di pubblica accusa, Halligan è diventata da qualche settimana procuratrice del distretto orientale della Virginia. Trump l’ha nominata dopo aver costretto alle dimissioni Erik Siebert, che lui stesso aveva selezionato qualche mese prima ma che si è dimostrato meno malleabile del previsto. A Bondi e Blanche, la nomina di Halligan non è parsa una buona idea. Ma il presidente, ancora una volta, almeno dal suo punto di vista, ha avuto ragione. È bastato qualche giorno e Halligan ha fatto partire le incriminazioni di due tra le bestie nere di Trump, l’ex direttore dell’FBI James Comey e appunto Latitia James. Probabile che i processi non andranno lontano. Le prove, soprattutto nel caso di Comey, sono deboli. Poco importa: Halligan ha fatto, per il suo presidente, quello che doveva.
La lista dei toccati dal favore di Trump al Dipartimento di Giustizia potrebbe essere ancora lunga, ma ciò toglierebbe spazio al più favorito tra tutti, Ed “aquila” Martin, appunto. Dopo gli studi legali, e dopo un soggiorno a Roma per specializzarsi in diritto ecclesiastico (finì anche a cena con Giovanni Paolo II), Martin ha iniziato una carriera da avvocato che l’ha portato a difendere tre dei trumpiani che hanno attaccato il Congresso il 6 gennaio 2021 – uno tra questi, il filo-nazista Timothy Hale-Cusanelli, è stato definito da Martin “un uomo straordinario”. Parallela alla carriera legale, c’è stata l’avventura politica nello Stato conservatore del Missouri, dove Martin ha brillato per le campagne anti-aborto, per le doti di fundraiser e per la capacità di collezionare cariche. Ma non solo. Fu infatti licenziato dall’Eagle Forum, di cui era presidente, per aver orchestrato nell’ombra una campagna di diffamazione contro la fondatrice. Quanto alle elezioni, non gli è mai andata troppo bene. Ha cercato di fare il deputato, poi il senatore, ma gli elettori l’hanno sempre bocciato. Non si è dato per vinto e alla fine ce l’ha fatta a diventare chair dei repubblicani del Missouri. Sono le presidenziali 2020 a cambiargli la vita. Martin si mette alla guida di “Stop the Steal”, il movimento che contesta la vittoria di Joe Biden. È particolarmente ispirato quando crea e diffonde teorie cospiratorie. Ed è bravo come pochi quando si tratta di raccogliere fondi per la difesa legale degli arrestati del 6 gennaio. Lui, del resto, quel giorno era lì e la folla degli assalitori che si lanciava contro Capitol Hill invocando l’impiccagione del vicepresidente Mike Pence non gli sembrò “per nulla fuori controllo”.
È così che l’ “aquila” Martin entra nel “nido” più intimo e privato di Trump. Il presidente, tornato alla Casa Bianca, decide di ricompensarlo con qualcosa di grosso. La carica di procuratore federale a Washington D.C. Il presidente lo nomina ad interim, poi qualcosa va storto. Per assumere l’incarico, Martin ha bisogno del via libera del Senato e persino a diversi repubblicani la sua nomina pare uno sbaglio. Non sono solo le diatribe legali e le troppe cospirazioni del passato a farlo apparire inadatto. È che Martin non sembra proprio avere le basi. Sarebbe il primo in quel posto, in oltre 50 anni, a non avere alcuna esperienza nell’accusa. Trump è costretto a ritirarne la nomina, ma non prima che Martin, ad interim, sia riuscito a cancellare i processi contro gli assalitori del 6 gennaio e a licenziare buona parte dei funzionari del Dipartimento di Giustizia che hanno sostenuto l’accusa. Per lui sono comunque pronte ben altre quattro cariche al Dipartimento. Tra queste, la guida dell’ufficio “perdoni” (pardon attorney), quello che sovrintende alle grazie dei presidenti; e la direzione del “Weaponization Working Group”, un organo che Trump crea espressamente per Martin e che vuole punire l’uso politico, e “armato”, che Biden avrebbe fatto della giustizia. È noto però che quando Trump parla di “uso politico della giustizia”, parla sostanzialmente delle inchieste contro di lui. Più che un organo di denuncia delle passate magagne, il “Weaponization Working Group” è stato quindi da subito il braccio armato di Trump, attraverso cui il presidente ha indagato, incriminato e spera di punire quelli che l’hanno perseguito nel passato – o che semplicemente non la pensano come lui.
Se l’ICE, il corpo di agenti dell’immigrazione, si sta trasformando nella polizia segreta di Trump, il “Weaponization Working Group”dovrebbe diventare il cuore della sua personale magistratura. Da direttore, Martin si è mostrato ancora una volta efficiente, ardente, implacabile: il mio compito, ha detto al momento della nomina, è “centrare l’obiettivo”. Il procuratore si è quindi messo al lavoro su due casi: quelli di Letitia James e di Adam Schiff, senatore democratico della California che guidò il primo impeachment contro Trump. Se James si era concentrata sugli affari di Trump a New York, Martin si concentra sugli affari del senatore dem, in particolare su un prestito a tassi agevolati chiesto da James per acquistare una seconda casa a Norfolk, Virginia, che invece sarebbe stata affittata, quindi utilizzata come investimento. L’indagine non procede in modo proprio ortodosso. Martin scrive all’avvocato di James chiedendo che la procuratrice lasci il suo posto. Si presenta quindi in trench grigio da investigatore, neanche fosse Nick Carter, fuori dalla casa di James a Brooklyn. Il travestimento serve a illustrare un pezzo del New York Post in cui Martin parla diffusamente del caso. Il suo protagonismo finisce per irritare i vertici del Dipartimento, Bondi e Blanche inclusi. Martin raccoglie comunque le prove necessarie per l’incriminazione di James e pare sul punto di ottenere quella di Schiff e di chissà chi altri (mettere sotto accusa per un mutuo immobiliare un altro nemico di Trump, il miliardario e filantropo George Soros, appare un po’ più difficile, ma chissà). Diversi esperti legali fanno notare che i procuratori non dovrebbero andare in giro in trench a parlare delle indagini, né dichiarare apertamente come la pensano in politica, e che quindi un giudice o una giuria potrebbero chiudere i casi per un vizio, e un pregiudizio, d’origine. Si tratta di minutaglia legale e costituzionale che non sembra toccare Martin. Se riuscirà a ottenere le condanne, bene. Altrimenti, spiega, “ci basterà fare i loro nomi, svergognarli pubblicamente”. Quello che non può la giustizia, potrà la gogna.
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