L’arte contemporanea, Ovvero un essenziale baluardo della democrazia

Quando Roberto Longhi in una Lettera per la mostra di Guttuso a New York pubblicata su Paragone nel 1958 parlava della sterilità intellettuale degli astrattisti e informalisti che attorniava repellente la ricezione dell’arte di Renato Guttuso, elogiava dell’artista “una violenza allegra che ci piega a credere che la vita sia ancora abbastanza densa e attiva da riscattare, con codesta tua aggressiva pietà, quest’ultimo “otium” moderno che è l’estetismo dell’angoscia”. Queste erano le parole di un critico che per la prima volta aveva fondato agli inizi del secolo scorso una vera e propria “ontologia dell’arte”, che tuttora resiste a base teorica non solo della odierna critica e storia dell’arte, ma anche della nostra estetica politica.

Con Longhi anche l’arte diventa uno strumento a tutela della democrazia

La frontiera morale con cui Longhi combatteva l’ideologia del regime che continuava a pervadere la politica dell’arte riducendola a mera espressione ancillare della propaganda, era giustificata dall’esempio di Renato Guttuso.
Un Guttuso che nelle intemperie del neocubismo futurista e della Resistenza occupava il dibattito pubblico come “pittore vate” della pace civile.
Erano più fronti che partivano da una estremità ideologica a far barcollare nell’Italia di Gramsci il centro della Repubblica. Una conflittualità che nella sua ferocia quasi populistica sarebbe stata assopita presto nella tranquilla distensione economica degli anni ’70, quando cioè l’organo costituzionale funzionava da sintagma per le istanze del Governo.

Renato Guttuso, Fuga dall'Etna, 1939 - collezioni Galleria nazionale d'Arte moderna
Renato Guttuso, Fuga dall’Etna, 1939 – collezioni Galleria nazionale d’Arte moderna

Oggi le lotte di posizione tra i partiti rischiano di mettere in secondo piano la democrazia

Ma l’opposizione che sta avvenendo da circa un quinquennio nella congiuntura politica italiana appartiene con sempre più evidenza a un genere non dialettico, ma virulento del presupposto democratico. Sembra cioè allo specchio dell’opinione pubblica, specialmente a partire dall’insediamento del Governo Meloni, che il sistema bicamerale della nostra repubblica abbia dimesso le sue funzioni di sinergia e interlocuzione tra partiti a favore di una guerra di posizione tra veri e propri “fronti” partitici.
Durante l’appena avvenuta celebrazione del 79° anniversario della nostra Repubblica, il Presidente Mattarella ha scritto nel suo messaggio al Capo di Stato Maggiore della Difesa, che “con il referendum del 2 giugno Italia scelse pace e libertà”, non solo riferendosi alla strage di Gaza, ma anche implicitamente alla pace intestina del Paese, da cui soltanto può partire una vera iniziativa politica e diplomatica verso i conflitti esteri.
Mentre da un lato però ci appare sempre meno vivida l’affezione degli elettori italiani al principio di voto, dall’altro traspare un’immagine sempre più viziosa del dibattito politico, che si mostra oggi estraneo ad ogni necessità di sintesi programmatica e di coesione parlamentare. Quel che arriva anche dalla attuale coalizione radunata all’opposizione non è infatti un afflato di integrazione delle proposte della maggioranza, bensì più una ostinazione che ottunde ogni forma di cooperazione e di equilibratura dell’assetto governativo della nostra Repubblica.

L’arte apolitica non giova alla democrazia

All’interno di questa scissione del principale organo espressivo della democrazia, assistiamo anche allo stesso deterioramento della “morale sociale” che vide impadronirsi dell’Italia postbellica alcuni critici come Mario De Micheli e Norberto Bobbio, quando il formalismo di Guernica aveva contaminato di violenza ideologica e anarchie marxiste la maggior parte degli intellettuali italiani. In quegli anni s’era data l’anticipata dimostrazione storica di come quella che chiamiamo Arte se prodotta da un germe di rivoluzione apolitica quasi individualista e ribelle come lo fu per il neocubismo di Picasso, slacciata da ogni impegno morale o sociale, ma legata a un sonnolento ozio capitale, non può che arrecare una certa eversione dei principi e dei valori della nostra civiltà dal momento che penetra lentamente nel tessuto politico come comodo engagement di una minoranza politica. Proprio dall’inerzia dell’Arte e dalla sua passiva insofferenza alla crisi della mimesis nell’Occidente, dopo la parentesi impressionista, si è lasciato che passasse indifferente nelle famiglie borghesi e tra le strade ultime della popolazione, a senso unico, il morbo della decadenza. In altre parole, la nostra Europa e la nostra Italia non conoscevano ancora il colore della democrazia.

L’arte per rinvigorire la democrazia

Ma il rischio che una democrazia si svigorisca anche se ha un ordinamento saldo e una forte base costituzionale, senza che la sua effettiva manifestazione di libertà che solo l’Arte può dare e rappresentare, sia sostenuta da consapevolezza, è comunque molto alto.
Il momento che lo stato attuale dell’arte sta vivendo, almeno in Italia e in Occidente, è la riflessione diretta di un auto-esilio dallo spazio che proprio più dovrebbe essa occupare per natura e vocazione, cioè la polis, ossia la cittadinanza. Il concetto di arte come “emblema” della nostra cittadinanza non solamente territoriale, ma umana, si è rarefatto dal primo Dopoguerra sino ai nostri giorni, producendo fenomeni apparentemente inspiegabili nel mercato dell’arte, sino a costituire una vera e propria “giungla d’aste”.

Antonio Telesca: un artista che emerge per la sua autonomia morale

Di contro all’esibizione forzata cui assistiamo dell’arte negli schemi della concorrenza modale, e non nel segno della sua autonomia morale, molto distante dalle recenti opere di Cattelan o dalle astrazioni informali di Pistoletto, si staglia, quasi sull’assetto del realismo morale di Jago, la pittura di Antonio Telesca (Acerenza, 1954). Una pittura che potrebbe quasi dirsi inedita, o comunque non figlia di un padre contemporaneo, se l’artista che la compone è innanzitutto colui che la propone all’intera collettività cittadina, rivolgendola quasi come testo evangelico per una oikoumene che è l’Europa.
Non è un caso che i suoi soggetti, quasi sulla scia formale di Andrea Roggi, siano sempre cosmologici, dalla patina universale, e non meramente astronomica.

Il paradigma delle concrezioni dell’astratto nella pittura di Telesca

Il paradigma dell’Arte che Antonio Telesca vuole affermare, dalla sua piccola Forenza, seppur nativo del borgo lucano di Acerenza, non è quello finora a noi giunto delle astrazioni del concreto, ma delle concrezioni dell’astratto, che è certamente meno praticabile dalla sensibilità artistica corrente, ma più edificante per la nostra isegoria sociale.
La libertà che esalano le sue opere non è piattamente amorfa, non riflette la casualità dei generi e dei sessi predicata dalla distorsione culturale di gran parte della popolazione, ma è una dichiarazione di ricerca continua non sulla superficie degli strati ideologici del presente ma nell’abisso della ragione. La complessità delle sue figurazioni, come il suo ultimo Alieno, è un tentativo di vagliare con la sonda la polimorfia dell’essenza umana, nelle sue angosce, nei suoi dubbi, nei suoi contrasti logici, nelle sue sembianze, e non di ridurre la diversità dell’uomo a varietà di genere.

L’arte vera: primo alfiere della democrazia

Anzi, con Telesca forse, si raggiunge per la prima volta la piena consapevolezza, davanti agli occhi dello spettatore, dell’unicità della realtà a cui l’uomo straordinariamente appartiene come suo creatore e suddito, come regolatore delle sue leggi terrene e custode delle sue leggi morali, e non moralistiche come la lotta alla tradizione ha sempre accusato ignorando l’origine della storia. L’invocazione di Telesca all’alterità dell’uomo attraverso il labirinto civile dei sensi è ciò che l’attuale Papa Leone ha posto nuovamente a fondamento del dogma cristiano: l’imitatio Christi, una imitazione come maturazione del Bello, e dunque del Bene Comune. Del resto è questo uno dei cardini strutturali della nostra civiltà democratica, e l’arte vera non potrebbe coesistere insieme all’ozio della coscienza, ma dovrebbe evitare così di essere il primo aborto della democrazia, ed essere invece il primo alfiere.

Mauro Di Ruvo

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L’articolo "L’arte contemporanea, Ovvero un essenziale baluardo della democrazia" è apparso per la prima volta su Artribune®.

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Artribune