L’arte è trasformativa. Abbastanza. Oppure no? La risposta in due libri 

  • Postato il 31 agosto 2025
  • Libri
  • Di Artribune
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Il mondo dell’arte osserva con un misto di fascinazione e terrore l’ascesa dell’intelligenza artificiale generativa. Se da un lato emergono nuove possibilità espressive, dall’altro si palesa lo spettro di una creatività automatizzata, capace di metabolizzare secoli di creazioni umane per produrre opere inedite in pochi secondi. Ripercorrere la storia dell’arte come storia del diritto d’autore può esserci d’aiuto: due testi ci forniscono un grande stimolo in tal senso. Si tratta di Il capitalismo della creatività di David Bellos e Alexandre Montagu (Feltrinelli, 2024), e Critica di ChatGPT di Antonio Santangelo, Alberto Sissa e Maurizio Borghi (Elèuthera, 2025). 

Dal codice d’onore alla proprietà creativa 

Bellos e Montagu invitano a un passo indietro nel tempo, molto prima che l’arte diventasse un asset finanziario. Nel mondo classico, il concetto di proprietà intellettuale non esisteva in termini legali o economici. Era piuttosto un “codice d’onore”. Quando Platone si infuriò con il suo allievo Ermodoro per aver pubblicato i suoi appunti, non lo accusò di furto, ma di aver violato la norma non scritta secondo cui un autore ha il diritto di decidere quando rendere pubblico il proprio lavoro. Allo stesso modo, le accuse di plagio tra commediografi greci e romani non finivano in tribunale; erano questioni di etica professionale, di “modo corretto di comportarsi”. 

Prendiamo solo il caso di Virgilio. La sua Eneide attinge a piene mani dall’Iliade di Omero. Criticato per questo, i suoi difensori non negarono il debito, ma lo elevarono a merito: Virgilio aveva intrapreso una “nobile competizione con i suoi illustri predecessori”. Parlare di plagio, si disse, era da “ignoranti o malevoli”. Per secoli, questa idea di un dialogo con i maestri, di un’ispirazione che sconfina nella riscrittura, è stata il fondamento della pratica artistica. 

Copyright e AI: nei libri Capitalismo della creatività e Critica di ChatGPT
Homepage di generateandcreate.ai © Tutti i diritti riservati

Dalla proprietà creativa alla macchina da soldi 

La svolta radicale avvenne in Inghilterra nel 1774. Il diritto d’autore moderno nacque, paradossalmente, non come un diritto assoluto per i creatori, ma come un limite al potere degli editori, una difesa dei “diritti della collettività” per evitare monopoli perpetui sulla conoscenza. Oggi, quel principio si è capovolto. Il copyright è diventato, sottolineano polemicamente ancora Bellos e Montagu, “la più grande macchina da soldi che il mondo abbia mai conosciuto. Eppure, nessuno se n’è accorto. In passato le modifiche al diritto d’autore avvenivano con dibattiti pubblici rumorosi ed eloquenti, a cui partecipavano le menti più brillanti dell’epoca”

La tesi di fondo è solida e inoppugnabile: il copyright è diventato il fondamento di imperi corporativi come Disney, Apple e Alphabet, ma la nostra ossessione per la tecnologia in sé sembra prevalere su quello che spesso viene percepito, a torto, come uno strumento giuridico vecchio e desueto. Sembra, osservano amaramente gli autori, “che col passare del tempo abbiamo perso la cognizione di cosa sia importante e cosa no. Permettiamo ai legislatori di porre mano ad aspetti del diritto d’autore […] in commissioni chiuse, nascoste alla vista e distanti dai nostri pensieri”. 

L’uso è trasformativo, ma chi lo decide? Jeff Koons e Andy Warhol 

Questa tensione tra ispirazione e furto ha trovato nel mondo dell’arte il suo campo di battaglia più visibile, costringendo i giudici a esprimere “veri e propri verdetti estetici”. Alcuni esempi sono emblematici per capire lo sviluppo attuale della materia, nonché il grado di complessità e di imprevedibilità. È il caso di Jeff Koons e della scultura String of Puppies, del 1988. Koons fu citato in giudizio dal fotografo Art Rogers, la cui cartolina Puppies era stata usata come modello diretto per la scultura. La difesa di Koons, basata sulla parodia e sulla trasformazione, non resse. La corte stabilì che la copia era troppo letterale, dimostrando che il passaggio da un medium a un altro (dalla fotografia alla scultura) non è di per sé sufficiente a garantire l’originalità ed evitare l’accusa di plagio. 

Copyright e AI: nei libri Capitalismo della creatività e Critica di ChatGPT, Jeff Koons, String of Puppies,1988
Foto originale © Art Rogers – Scultura “String of Puppies” © Jeff Koons

Più complesso e recente è il caso che ha opposto la Andy Warhol Foundation al fotografo Lynn Goldsmith. Warhol aveva usato una fotografia di Prince scattata da Goldsmith come base per una delle sue celebri serigrafie. Per decenni, l’opera di Warhol è stata considerata l’epitome dell'”utilizzo trasformativo”. Tuttavia, in una sentenza del 2023, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito che, nel contesto specifico di una licenza per una copertina di rivista, l’opera di Warhol non era sufficientemente trasformativa e violava il copyright di Goldsmith. Questo verdetto ha scosso il mondo dell’arte, dimostrando quanto sia labile il confine tra trasformazione e furto, e come la sua interpretazione possa cambiare nel tempo. A complicare ulteriormente il quadro c’è la digitalizzazione. Una sentenza del 1999 nel caso Bridgeman Art Library v. Corel Corp. ha stabilito, negli Stati Uniti, che una “pedissequa copia fotografica di un dipinto” di pubblico dominio manca di originalità e quindi non può essere protetta da copyright. Eppure, chiunque cerchi un’immagine di alta qualità della Monna Lisa si imbatte in agenzie come Getty Images o Bridgeman che ne rivendicano la proprietà e richiedono il pagamento di licenze. Questo paradosso è fondamentale: l’addestramento di un’IA si basa su milioni di immagini come queste, il cui status legale è un groviglio di rivendicazioni, diritti scaduti e licenze contestabili. 

Copyright e AI: nei libri Capitalismo della creatività e Critica di ChatGPT
Foto © Lynn Goldsmith – Serigrafia © The Andy Warhol Foundation

La merger doctrine nel volume di Santangelo, Sissa e Borghi 

Un passaggio illuminante, in questo senso, lo troviamo nel volume di Santangelo, Sissa e Borghi. Riguarda la cosiddetta merger doctrine, letteralmente “dottrina della fusione”. Gli autori ricordano come in certi casi sia impossibile distinguere idea ed espressione: non esiste, per esempio, un altro modo di scrivere E=mc² senza tradire il senso della formula einsteiniana. Questa logica, oggi, è sempre più applicata al software, dove la separazione tra codice ed “idea” è tutt’altro che chiara. Ma l’assurdo si manifesta anche nel campo dell’arte visiva. Dopo la sentenza Bridgeman, che negli Stati Uniti aveva negato il copyright a fotografie pedisseque di opere di pubblico dominio, molte agenzie hanno continuato a vendere immagini della Monna Lisa o di altri capolavori come se ne fossero le legittime proprietarie.  

Getty Images o Art Resource arrivano a reclamare diritti anche su riproduzioni prive di reale originalità, imponendo un regime di licenze che somiglia più a un’illusione proprietaria che a una tutela legittima. Bellos e Montagu rendono l’esempio ancora più paradossale: una foto amatoriale davanti alla Piramide del Louvre, per essere usata in un film, richiederebbe l’autorizzazione di eredi, fotografi e perfino passanti ignari immortalati per caso. Non è tanto una questione di costi, ma di complessità insormontabile. Come nota il giurista Peter Jaszi, chi documenta la realtà è costretto a modificarla sistematicamente, solo per evitare di violare il diritto d’autore. Come dire: la complessità del diritto d’autore ha come funzione quella di scoraggiare, a prescindere dalla loro legittimità, alcune scelte artistiche, proprio per il tempo e le risorse necessarie ad assicurarsi tale legittimità. 

Che cosa sono i pappagalli stocastici 

È in questo scenario che irrompe l’intelligenza artificiale, e qui le analisi di Critica di ChatGPT diventano cruciali. Mentre gli ottimisti celebrano il “prompt engineering” come una nuova forma d’arte, i critici, come Noam Chomsky, liquidano questi sistemi come “pappagalli stocastici“: motori statistici che non creano spiegazioni o significati, ma si limitano a inferire correlazioni brutali tra i dati per generare l’output più probabile. 

Il problema legale è immenso. Dal momento che l’addestramento delle AI dipende dalla loro “esposizione a materiali di base che per la maggior parte sono coperti da diritto d’autore – immagini, suoni, database di informazioni – lo sviluppo di questi nuovi strumenti darà certamente vita alla prossima generazione di controversie legali sul diritto d’ autore, dove a essere accusati di violazione saranno i materiali prodotti dall’AI, se non la sua stessa esistenza”. Le grandi aziende tecnologiche, attraverso campagne di lobbying come Generate and Create, cercano di sostenere che produrre arte attraverso l’AI sia necessario per l’innovazione: tutto ciò allo scopo di difendere il principio del fair use nella legge sul copyright. Per molti artisti e creatori, tuttavia, si tratta di un furto di massa su scala industriale. 

Inoltre, chi è l’autore di un’opera generata da un’IA? La legge attuale tentenna. Prendiamo il caso limite di una traduzione testuale, interamente automatica: in quel caso non è possibile applicare il copyright, perché manca quel “minimo livello di creatività e originalità” umano richiesto. Ma, come notano gli autori, “la natura rifiuta il vuoto e la legge pure” (p. 279). Per ora si naviga a vista, con espedienti temporanei, come nel caso di brani musicali generati da IA venduti alla Warner Music, dove gli sviluppatori del software si sono semplicemente spartiti i diritti d’autore, attribuendoseli a vicenda. Ma quanto si potrà andare avanti così? 

Fuori dal machine learning 

Critica di ChatGPT mostra bene come la questione non sia più solo teorica, ma anche profondamente regolatoria e politica. La startup californiana Spawning AI, con il motore di ricerca Have I Been Trained?, permette agli autori di verificare se le proprie immagini siano finite nei dataset usati per addestrare modelli generativi. Si apre così la strada a un possibile “diritto di riserva”: la possibilità di escludere le proprie opere dall’uso in queste banche dati, attraverso accordi contrattuali di opt-out.  

Questa misura in Europa era stata inizialmente criticata come frutto della pressione delle lobby dei detentori di contenuti, ma oggi viene interpretata, anche da organizzazioni come Communia, come una via di mezzo ragionevole per bilanciare interessi contrapposti: da un lato i diritti degli autori, dall’altro la necessità di permettere ricerca e sviluppo. Non si tratta dunque di frenare la tecnologia, ma di definire un quadro equo e trasparente che impedisca un esproprio sistematico delle opere creative. 

Copyright e AI: nei libri Capitalismo della creatività e Critica di ChatGPT
Homepage di haveibeentrained.com © Tutti i diritti riservati

Oltre il Criti-Hype 

Il dibattito sull’IA è spesso intrappolato tra scenari distopici alla Matrix e promesse di democratizzazione creativa. Santangelo, Sissa e Borghi ci invitano a superare questo “criti-hype”, spesso alimentato dalle stesse aziende tecnologiche per fare “ethics washing” e distrarre dai problemi reali e immediati. Ossia, per esempio, lo sfruttamento ambientale per alimentare i data center e quello dei lavoratori sottopagati che etichettano i dati per addestrare le IA. L’ascesa dell’IA, unita a un sistema di copyright sempre più sbilanciato, rischia di portarci verso quello che Yanis Varoufakis definisce “tecnofeudalesimo”: un mondo in cui una manciata di colossi tecnologici non solo possiede le infrastrutture digitali, ma detiene anche il controllo sui mezzi di produzione culturale. 

Per il mondo dell’arte, sembra emergere dai due volumi, l’IA è uno specchio che riflette le nostre contraddizioni su cosa siano l’originalità, la paternità e il valore. Ci costringe a chiederci se la creatività sia un atto di genio solitario o un dialogo continuo con il passato, una “nobile competizione” con i maestri che ci hanno preceduto. La risposta che daremo, non solo nelle aule di tribunale ma anche negli studi degli artisti e nelle gallerie, determinerà se questa tecnologia aprirà le porte a un nuovo umanesimo o ci consegnerà a un futuro in cui anche l’immaginazione è un prodotto su licenza. 

Raffaele Pavoni 

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L’articolo "L’arte è trasformativa. Abbastanza. Oppure no? La risposta in due libri " è apparso per la prima volta su Artribune®.

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Artribune

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