Laura, 86 anni, ex insegnante: “Da 27 anni ascolto i detenuti a Rebibbia, cerco la persona dietro il carcerato”
- Postato il 2 settembre 2025
- Cronaca
- Di Il Fatto Quotidiano
- 2 Visualizzazioni
.png)
Nel carcere è entrata nel 1998, tramite i malati di Aids residenti in una Casa della Caritas. “Avevo cominciato a occuparmene perché erano esclusi da tutto, a causa di un pesante giudizio etico. Ma facilmente finivano in carcere”. Laura Fersini, oggi 86 anni, è volontaria in carcere da oltre venticinque anni. Il primo “impiego” come volontaria Caritas a Rebibbia Nuovo Complesso, appunto nel reparto malati di Aids. “Dopo l’esperienza in infermeria ho voluto conoscere il carcere come problema sociale e ho cominciato ‘il giro’. Prima Casal del Marmo, minorile – dove mi hanno affidato una ragazza che poi ho seguita anche nella Casa Famiglia in cui l’hanno trasferita –; poi sono passata a Rebibbia Penale, dove ci sono detenuti con condanne definitive e lunghe, infine Rebibbia Femminile; e qui mi sono fermata, con l’intenzione di conoscere bene proprio quelle detenute. Oggi vado ogni venerdì dalle 9 alle 14, soprattutto per parlare con le detenute e ascoltare le loro esigenze. Quando arrivo chiamo la detenuta che sto seguendo, e ci parlo: c’è chi mi chiede di chiamare un avvocato o i genitori o qualcun altro, in genere invece non è necessario contattare il garante dei diritti dei detenuti perché ci parlano loro direttamente; oppure c’è chi ha bisogno solo di parlare, di sfogarsi, allora discutiamo dei libri che leggiamo, ci confrontiamo sul libro. Non chiedo che reato hanno fatto né che pena hanno. Né do per scontato che mi dicano la verità quando me ne parlano. Una volta è venuta una detenuta e mi ha detto: so che tu puoi dare solo il tuo tempo, ma sapessi quanto tempo mi è necessario, si è seduta e ha parlato della sua infanzia”.
Alcuni incontri l’hanno segnata particolarmente: un detenuto di Rebibbia Nuovo Complesso, Filippo, viene a sapere che la madre è gravemente ammalata, non gli permettono di andare a trovarla. Un giorno tenta il suicidio, gli permettono di uscire. “Mi chiama e, dopo aver scoperto, che la madre è morta, lo accompagno alla camera mortuaria del Gemelli, dove abbraccia la madre e le mette intorno una corona di rosario: era una prostituta; è morta di sifilide”. Ancora un altro episodio: “Sempre a Rebibbia, Giampaolo, detenuto, mi racconta che sta male, dimagrisce sempre di più, viene portato al Pertini prima poi in altri ospedali, lo seguo dappertutto, fino a che purtroppo muore. Non vado al funerale solo per stare vicino a quelli del suo gruppo che non possono andarci”.
Un altro incontro nell’infermeria di Rebibbia è quello con Vincenzina: “Non l’avevo mai vista prima – chiede di parlarmi; mi racconta alcune cose (padre e fratello l’avevano violentata e sua madre, pur sapendo tutto, non aveva mosso un dito) e conclude: a me nessuno m’ha voluto mai bene. Resto senza fiato; e senza parole. Dirle: il Signore ti vuole bene o qualcosa del genere mi sembrava ridicolo. La settimana successiva le dico: per tutta la settimana, a casa, anche mentre mangiavo o lavavo i piatti, avevo pensato a lei. Qualcosa vorrà pur dire! aggiungo; e da quel giorno, per tutto il tempo che io sto nella saletta colloqui lei sta attaccata alla porta del corridoio per vedermi, attraverso la grata. Oggi non c’è più”.
In generale, in carcere si creano rapporti di amicizia che durano nel tempo: “La ragazza che ho conosciuta al Minorile e seguita nella Casa di Accoglienza quando è uscita mi ha voluta come testimone al suo matrimonio. Un’altra mi ha dato i suoi numeri di cellulare, mi ha chiesto di chiamarla quando è uscita, ha tre lauree e due figlie adottive, ci sentiamo: era dentro per un reato pesante. Insomma in questo mondo ci sono persone diversissime da come uno se le immagina”.
Laura si definisce credente, ma “cristiana” e con un forte interesse per il buddismo. “Ma se devo capire una persona o un problema, cerco di usare i più diversi strumenti culturali”, spiega. “La cosa importante, aggiunge, “è che nessuno di quelli che frequentano il carcere pensi che loro sono i buoni che curano i cattivi”.
Se gli chiedi come l’ha cambiata questa esperienza risponde: “Tutte le esperienze ci cambiano. Ho fatto quarant’anni l’insegnante e anche quello mi ha cambiato. L’esperienza della scuola mi è servita molto per capire le persone. E anche, ad esempio, per capire gli agenti, non è sempre facile, spesso i volontari li avversano. Pensi che ci fu un agente con cui salvammo insieme uno che faceva lo sciopero della fame. Ho incontrato agenti premurosi, certo non sono tutti così, ma l’essenziale, ripeto è non considerare il carcere un mondo totalmente altro; invece è pieno di emozioni e passioni esattamente come quello fuori”.
L'articolo Laura, 86 anni, ex insegnante: “Da 27 anni ascolto i detenuti a Rebibbia, cerco la persona dietro il carcerato” proviene da Il Fatto Quotidiano.