Le botte che non lasciano lividi: in Italia è allarme bullismo

  • Postato il 11 agosto 2025
  • Editoriale
  • Di Paese Italia Press
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 Il bullismo non si vede. O meglio: si vede quando è troppo tardi, quando c’è un referto medico, un occhio nero, una costola rotta. Prima di allora — cioè per mesi, anni — resta invisibile. Invisibile e tollerato. Perché le botte peggiori non lasciano lividi: si piantano dentro. Sono le parole sputate addosso, le risate a denti larghi che non fanno ridere, i soprannomi inventati per farti diventare la macchietta della scuola. L’esclusione scientifica dal gruppo WhatsApp di classe, la sedia spostata di un metro quando ti avvicini, l’occhiata di complicità tra due “amici” quando entri in aula.
 
E ti chiedi: ma come si arriva a odiare così, a ridere del dolore altrui come fosse un reality?
Facile. Ci si arriva allenandosi da piccoli, davanti a genitori che scrollano le spalle: “Sono ragazzi”. Ci si arriva crescendo in una cultura dove l’empatia è un handicap, il rispetto è opzionale e l’ironia è scambiata per umiliazione gratuita. Ci si arriva a forza di serie tv dove il vincente è quello che schiaccia l’altro, di influencer che insegnano il culto dell’apparenza e la legge del branco.
 
E poi ci sono gli adulti. I professori che “non è compito nostro educare”, i presidi che convocano la conferenza stampa dopo il suicidio e il minuto di silenzio, ma prima… silenzio e basta. I genitori che non vogliono sentire: “Mio figlio? Ma no, lui è buono”. Certo. Un santo, come no. Peccato che la vittima viva il resto della vita con la convinzione che valga meno di niente.
 
Il bullismo è la guerra senza carri armati che combattiamo nelle scuole, ogni giorno. Ma qui non ci sono eroi da prima pagina, medaglie al valore, missioni di pace. C’è solo una conta lenta e invisibile: chi resiste e chi crolla. E quelli che crollano, spesso, non si rialzano.
Perché le botte delle mani si dimenticano. Quelle delle parole, mai. Le prime ti rompono le ossa. Le seconde ti convincono che non meriti di respirare. E la cosa più tragica è che, in fondo, nessuno nasce carnefice, ma troppi imparano a diventarlo.

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