Le cover più ardite dei KInks: The Pretenders, Madness, Buddy Miles Express…
- Postato il 7 settembre 2025
- Lifestyle
- Di Blitz
- 1 Visualizzazioni

I Kinks sono una delle band più sottovalutate della storia del rock. Ma anche una delle più influenti, con decine, se non centinaia, di musicisti che hanno realizzato almeno una loro cover, sia in Europa che oltreoceano.
Ma quali sono le cover più ardite dei Kinks? Be’, in questo caso è stato difficile trovare versioni delle canzoni dei Kinks che si potessero inequivocabilmente definire ardite. Ma ne ho trovate abbastanza che effettivamente rivisitano i brani di Ray Davies e compagni, cambiandone il tono generale in maniera sufficientemente “ardita”.
Fondati nel 1963 e con oltre trent’anni di attività e ben ventiquattro album in studio prodotti, i Kinks sono stati un gruppo longevo, con un repertorio di tutto rispetto. Nel corso degli anni, hanno visto molti cambi di formazione, ma i due fratelli Ray e Dave Davies, fondatori della band, sono sempre rimasti alla guida del progetto.
Fin dall’album di esordio, The Kinks del 1964, il gruppo si è distinto per un atteggiamento anticonformista, satirico, apertamente provocatorio, che traspariva sia dalle canzoni che dagli atteggiamenti. Non sorprende che abbiano avuto vita meno facile rispetto, ad esempio, ai Beatles, per quanto riguarda la diffusione in televisione e in radio. Accanto ai temi di esplicita natura sessuale, come in All Day and All of the Night, i testi di Ray Davies affrontavano spesso argomenti sociali, con una forte carica di sarcasmo e storie raccontate in prima persona da personaggi fittizi.
Quanto sono ancora attuali le parole di un brano come King Kong, uscito nel 1968 in The Kinks Are the Village Green Preservation Society: “Sono King Kong e sono alto tre metri, ho sei enormi cannoni e tutti hanno paura, sono King Kong, ho una bomba all’idrogeno, posso far saltare le vostre case quindi fareste bene a stare attenti…”!
Anche a livello timbrico, le canzoni dei Kinks rappresentavano un’innovazione, con i suoni distorti ottenuti con sperimentazioni ardite e il bordone dal sapore indiano di See my Friends, dal secondo album Kinda Kinks del 1965, che anticipava le sperimentazioni di George Harrison in Norwegian Wood.
Da Pete Townshend degli Who a Robert Plant dei Led Zeppelin, il coro di musicisti rock che si sono dichiarati debitori nei confronti dei Kinks è praticamente unanime. Molti di loro hanno anche collaborato con Ray Davies alla diffusione del repertorio dei Kinks in album tributo. Nell’album See My Friends del 2010, ad esempio, troviamo Ray Davies che reinterpreta le canzoni dei Kinks accompagnato di volta in volta dai Metallica, da Billy Corgan, da Bruce Springsteen e molti altri.
E fra gli album tributo degni di nota, sempre nella nostra prospettiva delle cover ardite, vale la pena citare Starstruck: A Tribute to The Kinks del 2022, dove spicca la versione di Dandy da parte dei Last Letters. Un’altra interessante versione di Dandy la troviamo, ad opera di Hank Stone, nel tributo The Kinks Unkovered del 2010, che contiene anche altre cover interessanti. Del 2002 è invece l’album tributo This is Where I Belong: The Music of Ray Davies & The Kinks, che include una versione di Bill Lloyd e Tommy Womack di Picture Book, uno dei brani simbolo dei Kinks.
Una particolarità, riguardo alle reinterpretazioni dei brani dei Kinks, è che si trovano casi frequenti di cover realizzate nello stesso anno di uscita dell’originale, come nel caso di Dandy, ancora una volta, pubblicata da Herman’s Hermit nel 1966, a pochi mesi dalla pubblicazione dei Kinks, e divenuta una hit. In Italia le canzoni dei Kinks sono state spesso riproposte in riadattamenti in italiano, non sempre però con traduzioni aderenti all’originale. Nel 1965 i Pooh registrarono Nessuno potrà ridere di lei, reinterpretando Til the End of the Day, che i Kinks avevano pubblicato l’anno prima. Nel 1968 i Nomadi pubblicarono Insieme io e lei, riadattamento di Days, uscita nello stesso anno. Anche la satirica A Well Respected Man, pubblicata come singolo nel 1965, venne tradotta e reinterpretata in Italia, nello stesso anno, dai The Pops: il brano verrà poi nuovamente ripreso dagli Avvoltoi nel 1987.
Ma per avere un’idea di quanto i Kinks siano stati influenti su tutto il panorama del rock, basta dare un’occhiata alla quantità e alla varietà di grandi nomi che hanno pubblicato delle loro cover: i Black Keys con Act Nice and Gentle, gli Stranglers con All Day and all of the Night, rifatta tra gli altri anche dagli Status Quo e dagli Scorpions, Marky Ramone con Better Things, ripresa anche dai Pearl Jam, Joan Jett con Celluloid Heroes, reinterpretata anche da Steve Vai, Norah Jones con Strangers, gli Stereophonics con Sunny Afternoon, i Green Day con Tired of Waiting for You, i Def Leppard con Waterloo Sunset, i Van Halen con una celebre versione di You Really Got Me, i Toots & the Maytals con una versione reggae della stessa You Really Got Me.
C’è addirittura chi sostiene che i Kinks siano stati fondamentali per lo sviluppo del metal, del punk, probabilmente anche del glam rock. Certo è che le loro canzoni basate su riff negli anni Sessanta hanno aperto la strada a tanto, tanto rock.
Menzioni speciali
Tra le moltissime cover dei brani di Kinks, alcune, pur non essendo entrate nell’elenco che segue, meritano sicuramente una menzione speciale. Tra i brani più satirici e meno frequentati della band, Apeman spicca per la quantità di cover interessanti. Fish ne ha realizzato una bellissima versione con ritmica un po’ tribale per il suo Songs from the Mirror del 1995. I Bugs hanno invece rivisitato il brano nel 2013, in Missile to the Middle East, mentre del 2022 è la versione dei Figbeats, inclusa nel tributo Starstruck: A Tribute to The Kinks. In un altro interessantissimo album tributo del 2001, Give the People What They Want: The Songs of the Kinks, troviamo una versione ardita quanto ben riuscita di Nothin’ in the World Can Stop Me Worryin’ ’bout that Girl, ad opera di Mark Lanegan. I Van Halen hanno più volte ripreso brani dei Kinks: nel 1982, in Diver Down, hanno pubblicato una loro versione di Where Have All the Good Times Gone?. La stessa canzone era già stata reinterpretata da David Bowie nel suo album Pinups del 1973.
E lo stesso Bowie ha ripreso spesso le canzoni dei Kinks, a volte reinterpretandole in maniera piuttosto ardita e ben riuscita. È il caso di Waterloo Sunset, inclusa come bonus song nel suo Reality del 2003. Ma un’altra versione molto interessante sempre di Waterloo Sunset la troviamo in Scratch my Back, album del 2010 di Peter Gabriel. Nel 2012, Joe Stilgoe ne ha realizzato un’interpretazione piano e voce per il suo We Look to the Stars.
Tra le reinterpretazioni più o meno contemporanee agli originali, spicca per originalità quella del 1966 di Set Me Free ad opera di Sonny & Cher, inclusa nell’album The Wonderous World of Sonny & Cher. Una interessante reinterpretazione in chiave reggae di Victoria è stata registrata nel 2008 dai Crazy Baldhead per il loro The Sound of ’69. I Queens of the Stone Age hanno rivisitato almeno due volte il repertorio dei Kinks: nel 2002 con Everybody’s Gonna Be Happy per l’album Songs for the Deaf e, sempre nello stesso anno, con Who’ll Be the Next in Line per il tributo This is Where I Belong: The Songs of Ray Davies and The Kinks.
Più leggera, ma non meno ardita, è la cover di Dedicated Follower of Fashion registrata da Rolf Harris nel suo Can You Tell Me What It Is Yet?, del 1997. Tra i brani più rappresentativi dei Kinks, c’è indubbiamente All Day and all of the Night, ripreso in chiave rockabilly dai Lost Souls in Chasin’ a Dream del 1990, poi anche dai Quiet Riot in Down to the Bone del 1995 e da Joe Bouchard in Strange Legends del 2020.
E a proposito di suoni più pesanti, vi segnalo la versione dei Melvins di Attitude, inclusa in Everybody Loves Sausages del 2013. Dandy, invece, è stata la scelta per una reinterpretazione jazzata da parte dei Vienna Dixie Cats per il loro The Bright Side of Life del 2009. Sempre in ambito jazz, da segnalare l’intero album The Ray Davies Songbook, pubblicato nel 2016 dal Ben Crosland Quintet in cui compare al sax anche Theo Travis (già membro dei Gong, Hatfield and the North e Porcupine Tree), in particolare per le versioni di Sunny Afternoon e I Need You.
Del 1990 è la versione dal vivo di Dead End Street da parte di Eugen Van Beethoven inclusa in 69th Sin Funny. Da segnalare le versioni di I’m not Like Everybody Else, pubblicata da Paul Roland nel suo album Sarabande del 1994, e di It’s Alright, inclusa dai Doughboys in Act Your Rage del 2010. Nel 1984, gli Swan Arcade hanno registrato una versione a cappella di Lola che merita di certo un ascolto. Della stessa Lola, i Bad Manners hanno invece registrato una cover in chiave reggae nel 1992, nel loro album Fat Sound.
La reinterpretazione acustica di Strangers da parte di Shane Tutmarc, nel suo Busy Being Born Again: Home Recordings 2007-2009 del 2018, merita una menzione, così come la versione molto rock dei Lazy Cowgirls di This is Where I Belong, inclusa in Radio Cowgirl del 1989. Una menzione merita anche la famosa reinterpretazione di Bob Geldof di Sunny Afternoon, registrata nel 1992 per l’album di beneficenza Ruby Tracks. Infine, interessante è anche la reinterpretazione da parte di Suzi Quatro di Tired of Waiting for You, pubblicata in If You Knew Suzi… del 1978.
The Flock, Tired of Waiting for You
I Flock sono stati una band di jazz rock particolarmente apprezzata in ambito prog e caratterizzata dal virtuosismo al violino di Jerry Goodman, che in seguito entrò nella Mahavishnu Orchestra. Pubblicarono due album tra il 1969 e il 1970. E, sempre nel 1970, registrarono questa loro particolare versione di Tired of Waiting for You come singolo. L’originale dei Kinks era inclusa nell’album Kinda Kinks del 1965.
Hailey Tuck, Alcohol
Pubblicata dai Kinks nel 1971, Alcohol è la quinta traccia del loro decimo album in studio Muswell Hillbillies. Come le altre tracce dell’album, ci presenta un personaggio fittizio della classe operaia schiacciato dal peso delle aspettative sociali, che diventa schiavo dell’alcol. Già nell’arrangiamento originale, il brano ha un’aria quasi da cabaret, che in questa versione di Hailey Tuck viene ulteriormente accentuata. Hailey Tuck è una cantante jazz nata americana, ma trasferita a Parigi da giovane. Nel 2018 ha esordito con l’album Junk, da cui è tratta questa cover, ispirato ai film muti degli anni Venti, come si intuisce dall’ambientazione del video.
Elvis Costello, Days
Days è un brano pubblicato originariamente dai Kinks nel 1968 come singolo e non incluso inizialmente nell’album The Kinks Are the Village Green Preservation Society dello stesso anno. La cover realizzata nel 1989 da Kristy MacColl per il suo album Kite ottenne un grande successo in Gran Bretagna.
E nel 2020 il brano è stato ripreso in maniera interessante anche da Kate Rusby, nel suo album Hand Me Down. Ma la versione registrata da Elvis Costello per la colonna sonora del film di Wim Wenders Fino alla fine del mondo del 1991 è secondo me quella che, pur discostandosi dal tono dell’originale, è riuscita meglio.
Hayseed Dixies, Father Christmas
Gli Hayseed Dixies sono una band americana specializzata nelle reinterpretazioni in chiave bluegrass di successi prevalentemente hard rock. A volte, però, come in questo caso, rivisitano anche brani con una forte vena sarcastica. Father Christmas, infatti, fu pubblicata dai Kinks come singolo a novembre del 1977, ma di certo non si allineava alla classica atmosfera natalizia. Nella canzone, una gang di bambini della classe operaia minaccia Babbo Natale, intimandogli di sganciare i soldi: chi se ne frega dei regali, quelli li puoi dare ai bambini ricchi! Incredibilmente, negli anni questa è diventata una delle canzoni più rivisitate dei Kinks, soprattutto nelle compilation natalizie e nell’ambito punk, dopo che i Bad Religion ne avevano realizzato una famosa versione nel 2014. I Cheap Trick ne inclusero una reinterpretazione nell’album Christmas Christmas del 2017. La cover degli Hayseed Dixies è contenuta nell’album Grasswhoopin’ Party Pack, Vol. 2 del 2013.
The Pretenders, I Go to Sleep
La storia di I Go to Sleep è piuttosto particolare: incisa da Ray Davies nel 1965 come demo piano e voce, non venne ufficialmente pubblicata dalla band fino alla riedizione di Kinda Kinks del 1998. Già negli anni Sessanta, però, la versione demo aveva girato negli ambiti discografici, portando ad alcune interpretazioni del brano che non ottennero un grande successo. Nel 1981, il brano viene ripreso dai Pretenders e incluso nel loro Pretenders II, con un notevole successo. La band aveva già rivisitato un brano dei Kinks l’anno prima: Stop Your Sobbing per l’album Pretenders del 1980. L’arrangiamento dei Pretenders di I Go to Sleep inserisce tutti gli strumenti, pur mantenendo uno stile un po’ anni Cinquanta.
Raging Speedhorn, Hatred
Inclusa nel ventiquattresimo e ultimo album in studio dei Kinks, Phobia del 1993, Hatred è un brano rock energetico con diversi riferimenti stilistici alle tradizioni americane del blues e del country. La versione dei Raging Speedhorn è invece decisamente metal. Paladini britannici del metal estremo, i Raging Speedhorn l’hanno inserita come traccia nascosta nel loro album How the Great Have Fallen del 2005.
Shemekia Copeland, I’m not Like Everybody Else
Pubblicata originariamente dai Kinks come B-side del singolo Sunny Afternoon, I’m not Like Everybody Else è divenuta, negli anni, una canzone molto rappresentativa dello stile dei Kinks. Shemekia Copeland è una cantante blues americana, che nel suo album America’s Child del 2018 ha inserito questa cover completamente stravolta, ma davvero ben fatta.
Madnesss, Lola
Tratta dall’album Lola Versus Powerman and the Moneyground, Part One del 1970, Lola è indubbiamente una delle canzoni più conosciute dei Kinks, e anche una delle più controverse. Il testo, infatti, affronta tematiche scabrose, con la protagonista, Lola, che abborda un avventore di un bar, il quale scopre troppo tardi che lei in realtà è transessuale. Nonostante le molte censure, il brano ebbe un successo planetario, che fu vitale per la sopravvivenza della band. Fra le tantissime reinterpretazioni successive, ho scelto questa dei Madness, inclusa in The Dangermen Sessions del 2005, che aggiunge al brano il loro tipico sapore ska.
Flying Pickets, Sunny Afternoon
Pubblicata nel 1966 come singolo e poi inserita nell’album dello stesso anno Face to Face, Sunny Afternoon è uno dei più grandi successi prodotti dai Kinks. All’epoca, in Gran Bretagna, c’era preoccupazione per il nuovo sistema di tassazione introdotto dai laburisti. Anche i Beatles, nello stesso anno, avevano registrato Taxman, sullo stesso tema. I Kinks però scelsero la prospettiva di un ricco aristocratico che teme di perdere le ricchezza che non si è guadagnato. Non è facile immaginare una versione a cappella di questo brano che ne riesca a rendere tutte le sfumature. Ma quando a tentare l’impresa sono i Flying Pickets, il risultato è garantito. La cover dei Flying Pickets è stata pubblicata nel loro album del 1992 The Warning.
Buddy Miles Express, You Really Got Me
You Really Got Me è senza dubbio il brano per antonomasia dei Kinks. Pubblicato nel 1964 nel loro album di esordio Kinks, è anche uno dei brani che conta più cover in assoluto. E tra le tante, ce ne sono diverse che avrebbero meritato un posto in questo elenco delle cover più ardite. Prima fra tutte, quella funky registrata da Sly & the Family Stone per il loro album Ain’t But the One Way del 1979. Ma vale la pena ascoltare anche quella degli americani Oingo Boingo, pubblicata nel 1981 nel loro Only a Lad. Da ascoltare anche la versione un po’ strampalata degli anni Sessanta dei Wilde Flowers, quella del 1970 degli Human Instinct, quella incisa da Robert Palmer nel 1978 e la reinterpretazione dei Bird and the Bee del 2019. La cover di Buddy Miles con i suoi Express risale invece al 1973 ed è inclusa nell’album Booger Bear. Qui Buddy Miles, celebre batterista anche di Jimi Hendrix, è impegnato anche alla voce. Nel video, un’esecuzione dal vivo nel 1973 per il programma televisivo americano The Midnight Special.
Clicca qui per leggere gli altri articoli della rubrica musicale di Blitzquotidiano!
L'articolo Le cover più ardite dei KInks: The Pretenders, Madness, Buddy Miles Express… proviene da Blitz quotidiano.