“Le femmine si offendono facile”. “Ho spinto una mia ex che mi provocava”. “Noi maschi facciamo branco”: viaggio nel mondo dei ragazzi e della violenza normalizzata
- Postato il 25 novembre 2025
- Diritti
- Di Il Fatto Quotidiano
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“Per me violenza è quando uno picchia. O quando urla proprio forte. Il resto… boh”, racconta a ilfattoquotidiano.it Samuele, 13 anni, Torino. Parla come parlano molti coetanei: la violenza riconosciuta è quella fisica, evidente. Il resto si confonde. “Se un ragazzo controlla la sua ragazza, secondo me è un modo per far capire che ci tiene”. Nei gruppi, racconta, “i ragazzi scrivono cose alle ragazze: fammi vedere la foto, non fare la difficile. Ma scherziamo, mica vogliamo far male”. Le ragazze, sostiene, “si offendono facile“. È un mondo dove la responsabilità scivola via, dove il limite coincide con l’esagerazione estrema. “Gli adulti non vivono il nostro mondo digitale. Alcune cose per noi sono normali“. Per capire cosa significhi crescere oggi nell’Italia dove ancora non è obbligatoria l’educazione sessuo-affettiva a scuola e in occasione della Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne, ilfattoquotidiano.it ha raccolto le voci di ragazze e ragazzi tra i 12 e i 18 anni, da diverse città d’Italia.
Le testimonianze dirette raccontano di una normalizzazione precoce, che nasce nei corridoi delle scuole medie, nei gruppi WhatsApp, nelle storie Instagram che scorrono lontano dagli occhi degli adulti. A confermarlo, anche i dati dell’ultimo sondaggio di ActionAid che disegnano una mappa inquietante: il 62% delle ragazze tra i 13 e i 24 anni riferisce molestie o attenzioni indesiderate, il 41% ha ricevuto foto intime non richieste, il 53% dei ragazzi non considera violenza controllo, gelosia o pressione psicologica. E non si tratta solo di comportamenti: anche le convinzioni che li accompagnano restano radicate. Un quadro confermato anche dall’ultimo report Istat: dal 2014 gli abusi sulle giovanissime sono raddoppiati.
Matteo, 15 anni, Genova, racconta le dinamiche che vive ogni giorno: “La violenza è quando perdi il controllo. A me è capitato di spingere una mia ex perché mi stava provocando. Non dico che ho fatto bene, ma non è che puoi farmi venire il sangue alla testa e poi aspettarti che sto fermo”. Nel suo racconto le responsabilità sono capovolte. E il branco fa da amplificatore: “Nei bagni della scuola, nei gruppi WhatsApp, fuori dalla fermata dell’autobus: i maschi fanno branco. Se uno inizia a insultare una ragazza, gli altri seguono“. C’è frustrazione, c’è un modello maschile che chiede performance continue: “Se non rispondi sei debole. Se sei geloso sei possessivo. Se non lo sei, non ti interessa. Non puoi mai vincere”.
Dall’altra parte, ci sono le ragazze che vivono lo stesso mondo digitale come un campo minato. Giulia ha 13 anni, Roma: “La violenza è quando qualcuno ti fa sentire sbagliata. Non serve che ti tocchi”. È una frase che torna spesso tra le giovanissime: la violenza è linguaggio prima che gesto. “A volte mi capita che dei ragazzi dicano ‘Giulia è piatta’ e io ci penso per giorni”. Sui social si consuma il resto: commenti, meme, sondaggi sul corpo. “Una mia amica ha pianto perché un ragazzo ha fatto un sondaggio su chi fosse ‘più bona’. Nessuno l’ha difesa”. La paura di essere giudicate “pesanti” se parlano, “drammatiche” se denunciano. “Gli adulti ci dicono di non ascoltare. Non sanno quanto pesa”.
Francesca, 15 anni, Torino, invece crede che certi comportamenti siano il prezzo da pagare per una relazione. “A volte mi sembra normale che un ragazzo ti controlli un po’. Se mi manda cento messaggi o vuole sapere dove sono, penso ‘fa parte della relazione’”. Tra le amiche, racconta, “non ci facciamo troppo caso, succede a tutte. Se protesti, ti prendono per esagerata”. Sui social, aggiunge: “Quando un ragazzo fa commenti cattivi, mette foto senza chiedere o ti tagga in post imbarazzanti, alla fine lo scrolli e basta. Non ci pensi troppo, è normale che accada”. “Anche a scuola succede. Nei corridoi, in palestra, nei gruppi di classe: certe battute o certe prese in giro le consideriamo normali. Non è che siamo contente, ma ci siamo abituate. È come se fosse il prezzo da pagare per stare insieme”. “E se ci lamentiamo, spesso gli adulti ci dicono di non farci problemi, di ignorare”.
Sara, 16 anni, Napoli, mette a fuoco ciò che spesso viene raccontato come gelosia romantica: “La violenza è togliere libertà: decidere come ti vesti, a chi puoi parlare, cosa puoi postare”. Nei corridoi della sua scuola, un ragazzo tocca le compagne “per ridere”. Gli adulti guardano altrove. “Le ragazze devono sempre stare attente. E se ti succede qualcosa, la prima domanda è: che cosa avevi fatto?” La sua richiesta è diretta: “Non vogliamo essere protette. Vogliamo che gli adulti si schierino. Che dicano: questo è sbagliato. Smettetela di minimizzare”.
Lorenzo, 17 anni, Milano, sceglie delle parole nette: “La violenza è tutto quello che ti toglie spazio. Anche una parola può essere una botta”. Racconta amici che chiedono le password “per fiducia”, che decidono con chi le loro ragazze possono uscire. “Quasi nessuno pensa sia sbagliato”. È l’amore deformato in controllo. “Mi fa paura che molti pensino che l’amore sia questo. E che per far loro capire che sbagliano serva uno choc enorme”. Per lui la radice è chiara: “La violenza maschile non nasce a 30 anni. Nasce a 12. Nei campi sportivi, nei video, nelle battute degli allenatori. Cresciamo in quel brodo lì”.
Andrea, 17 anni, Roma, fa un passo ulteriore: “La violenza è quando ti parte la testa e vuoi che l’altra persona capisca che ha sbagliato”. Ammette aggressività, si interroga sulle proprie reazioni. “Ragazzi che dicono “sei mia” come fosse normale. Ragazze che ci credono perché nessuno gli ha fatto vedere altro”. La paura è diventare ciò che non vuole: “Ci vuole un attimo”. E individua il bersaglio mancante: “Siamo pieni di modelli maschili sbagliati. Se non ci aiutano gli adulti a smontarli, ci costruiamo da soli. E quasi sempre male”.
Martina, 16 anni, Firenze, fotografa un altro pezzo del problema: “La violenza è tutto quello che ti fa sentire piccola. Un insulto, una risata, un commento sul corpo”. Nella sua scuola c’è un gruppo di ragazzi che filma le compagne da dietro e manda i video in chat private. Tutti lo sanno. Nessuno parla. “Se ti difendi, sei esagerata. Se stai zitta, sei debole. Non c’è un modo giusto di essere ragazza”. La ferita è invisibile: “La violenza psicologica brucia più dei lividi. I lividi passano. Le parole no”.
Beatrice, 18 anni, Milano, chiude il cerchio: “La violenza è vivere sapendo che devi sempre dimostrare qualcosa. Che il tuo corpo è di tutti. Che devi spiegare perché dici no”. È nelle coppie che vede i segnali più pericolosi: “Ragazzi gelosi che leggono i messaggi, decidono le amicizie. E lo chiamano amore. È la cosa che mi fa più paura: che la violenza abbia la forma dell’affetto”. E lancia un messaggio semplice, che si lega con forza all’attualità solo perché nessuno lo mette davvero in pratica: “Non serve dirci di stare attente. Serve educare i ragazzi a non farci del male”.
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