Le flipped classroom, o della tecnologia al servizio della pigrizia intellettuale
- Postato il 11 ottobre 2025
- Di Il Foglio
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Le flipped classroom, o della tecnologia al servizio della pigrizia intellettuale
Dopo la sigaretta senza nicotina, la birra senza alcol e la panna senza zucchero, arriva dall’America la lezione senza professore e senza libri. Si chiama “flipped classroom”, letteralmente “classe rovesciata”, e sta cambiando il modo di insegnare all’università: lo studente guarda a casa il video del professore e il tempo in aula viene dedicato a esercizi, discussioni, lavori di gruppo. Perché la conversazione non languisca, al video si affiancano alcune pagine d’antologia e una “guida alla lettura” per stimolare domande e obiezioni, alle quali gli americani tengono moltissimo (se la lezione non è un dibattito, non vale la pena).
La seduzione di un sistema del genere è evidente: porta all’estremo l’assemblearismo protestante di chi considera la lezione “frontale” – il prof. che parla per un’ora e mezza – e i libri da leggere per intero un’anticaglia ottocentesca e autoritaria. Adesso, finalmente, il professore può eclissarsi dietro la propria immagine pixellata e trasformarsi in un innocuo spartitraffico per i flussi di coscienza degli studenti. Tanto, le opinioni sono tutte uguali e ugualmente interessanti. L’uso di libri non è proibito, ma di fatto scoraggiato: chi passa il tempo tra video e allegati deve essere pazzo per volere anche papparsi degli indigeribili mattoni, per di più gratis.
Sembra che, tra uso sporadico e sistematico, almeno la metà dei docenti americani abbia sperimentato la “flipped classroom”, e che le prime lamentele siano arrivate dagli studenti, riassumibili così: non stiamo imparando niente. Sarà un monito sufficiente? C’è da dubitarne: gli accademici provano verso le “innovazioni didattiche” lo stesso fascino dei selvaggi per le perline di vetro colorato e infatti la lezione senza lezione sta prendendo piede un po’ ovunque, soprattutto in Cina, Australia, Germania e Spagna.
George Bernard Shaw diceva che le cose più belle della vita o sono immorali, o sono illegali, oppure fanno ingrassare. Aggiungiamo che alcune fanno sudare e, a volte, rompono i denti, come il torrone, oppure i libri non antologizzati e la lezione frontale. Rischi che non si corrono più se a imporsi è il principio dell’omogeneizzato, le pappette per chi i denti ancora non li ha oppure li ha persi. Ci illudiamo di averla fatta franca e che le cose fileranno lisce, e invece non c’è nulla di più catastrofico – e noioso – della tecnologia quando si mette al servizio della pigrizia intellettuale e del dilettantismo. Un’università per la quale la lezione frontale è una tortura immeritata e i libri corpi contundenti, è già diventata un talk-show di lusso. L’oralismo di ritorno che viviamo da decenni, l’elettronica che scorcia i tempi lunghi della lettura e ci consegna al chiacchiericcio del villaggio globale, sono tigri che l’università dovrebbe imparare a cavalcare, non minacce davanti alle quali calare le brache. Come riuscirci, però, lo sa solo il buon Dio.