Le mosse di Byd in Brasile e Argentina: così l’auto elettrica entra nella partita a scacchi tra Cina e Usa in Sud America

  • Postato il 5 novembre 2025
  • Economia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Byd, il gigante cinese dell’automotive, ha recentemente aperto a Camacari, nello stato brasiliano di Bahia, quello che definisce il suo più grande stabilimento di produzione di veicoli elettrici al di fuori del territorio asiatico. Il complesso rappresenta un investimento di oltre 600 milioni di dollari da parte dell’azienda, dovrebbe creare oltre 20.000 posti di lavoro tra diretti e indiretti ed essere in grado di produrre oltre 300.000 auto all’anno. Almeno da quando l’impianto inizierà a lavorare a pieno regime, nel 2026. In cambio della costruzione dell’impianto di Camacari il governo regionale di Bahia si è impegnato a garantire incentivi fiscali a Byd fino al 31 dicembre 2031.

L’apertura del complesso, in un sito abbandonato dalla Ford nel 2021 e acquisito da Byd nel 2023, era stata rimandata di alcuni mesi a causa di una denuncia da parte dei procuratori brasiliani a proposito delle condizioni di vita e di lavoro sul cantiere. A Camacari non verranno solo prodotte auto elettriche, parti della megastruttura – che copre l’area di circa 645 campi da calcio – verranno dedicate alla lavorazione delle materie prime per la costruzione di batterie, come litio e fosfato.

Questo è un dato importante anche perché lo scorso febbraio 2025 BYD si è assicurata, attraverso una filiale locale, il controllo dei diritti minerari su 852 ettari di terreno ricco di litio nella valle di Jeqitinhonh, a solo mezza giornata di viaggio in auto dal complesso di Camacari, in quella che viene definita la “valle del litio brasiliana” nei pressi della cittadina di Coronel Murta. Estrarre e lavorare il litio direttamente in Brasile potrebbe rappresentare un significativo vantaggio per Byd, visto che il governo brasiliano ha tagliato significativamente i controlli sulle esportazioni del minerale dal 2022. L’inaugurazione del complesso di Camacari, a cui hanno preso parte il presidente brasiliano Lula e diverse figure di spicco della politica brasiliana, corona l’ascesa del gigante cinese nel mercato automotive del Paese.

In particolare quello delle macchine elettriche e ibride, in cui Byd occupa rispettivamente oltre il 7o% e il 2o% delle quote di mercato. Il Brasile tuttavia non è il solo Paese sudamericano in cui Byd sta cercando di espandersi. Recentemente il governo argentino di Javier Milei ha deciso di togliere dazi e restrizioni sulle importazioni di veicoli elettrici ed ibridi, permettendo l’entrata nel Paese di circa 50.000 veicoli, la stragrande maggioranza dei quali dovrebbero arrivare dalla Cina. Solo un quinto dei veicoli elettrici importati verrebbe fornito da aziende occidentali, in particolare statunitensi. Quasi un quarto dei veicoli cinesi verrebbero forniti da Byd, che può garantire prezzi molto inferiori rispetto ai competitor, sia statunitensi che locali.

È un dato significativo perché l’Argentina rappresenta il più grosso mercato automotive in Sud America dopo il Brasile, ma è ancora caratterizzata da una bassissima circolazione di veicoli elettrici. Come riporta The Diplomat tra gennaio e agosto 2025 solo 486 veicoli elettrici sono stati venduti nel Paese, rispetto a 421.000 vendite totali. A prima vista può apparire strano che questo genere di apertura verso i prodotti cinesi, a discapito delle aziende statunitensi, avvenga in uno Stato che oggi può essere considerato il principale alleato degli Usa nella regione, in particolare considerando il salvataggio da 20 miliardi di dollari garantito da Donald Trump a Milei.

Ma il presidente argentino, nonostante l’iniziale retorica secondo cui avrebbe dovuto “rompere tutti i legami tra l’Argentina e i paesi comunisti”, si è di fatto mosso per rinsaldare ed espandere i legami con Pechino. Una mossa inevitabile visto che la Cina rappresenta una delle principali fonti d’investimento nei settori delle infrastrutture, energia e trasporti del Paese. Questo stato di cose è solo l’ultimo segnale di come l’America Latina non possa più essere considerata “il giardino di casa degli Stati Uniti”, e di come la Cina venga vista come un possibile partner anche dalle nazioni teoricamente più vicine agli Usa.

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