Le promesse mancate di Meloni alle conferenze sul clima: annunci spot, ma poi gli impegni economici restano disattesi
- Postato il 31 ottobre 2025
- Ambiente
- Di Il Fatto Quotidiano
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I contributi dell’Italia alla finanza internazionale per il clima sono molto lontani da quelli promessi in pompa magna dalla premier Giorgia Meloni, anche dai palchi delle Conferenze delle Parti sul clima. Tre esempi: il Fondo italiano per il clima, i 100 milioni di euro che il presidente del Consiglio promise alla Cop 28 di Dubai per il fondo ‘Loss and Demage’, destinato ai paesi più vulnerabili che fanno fronte a perdite e danni causati dal cambiamento climatico, oltre ai 300 milioni di euro da stanziare per il Green Climate Fund. Mancano dieci giorni all’apertura ufficiale della Cop 30 di Belem, in Brasile, dove ci si aspettano nuovi impegni presi dai leader di mezzo mondo. Ma una recente analisi del Think tank Ecco rivela cosa si sia davvero concretizzato in questi ultimi anni delle promesse fatte alle ultime Cop (e non solo). E l’Italia si rivela lenta nel confermare gli impegni e, soprattutto, nell’erogare i contributi. “Finora è stato stanziato solo un terzo delle risorse destinate al Fondo italiano per il Clima, a causa di ritardi nell’approvazione dei progetti” ha spiegato Eleonora Cogo, responsabile del team Finanza di Ecco, nel corso di un briefing organizzato dal Think tank in vista della Cop 30. Ma l’Italia rimane anche uno dei pochissimi Paesi che ancora non hanno confermato o mantenuto i propri impegni su Green Climate Fund e Fondo per le Perdite e i Danni.
Le parole di Federica Ficano (Mase), capo negoziazione alla Cop 30 – Al briefing ha partecipato anche Federica Fricano, capo negoziatore alla Cop 30 per il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. Che ha confermato i ritardi sull’erogazione effettiva delle risorse per il Fondo italiano per il clima: “In Italia è sempre complesso trovare lo strumento per far sì che questi fondi arrivino. Stiamo continuando a lavorare – ha spiegato Fricano – insieme a Palazzo Chigi e attraverso l’unità di missione sul Piano Mattei per capire come dare i fondi promessi. Certo è una cosa lunga, ci stiamo impiegando un po’ troppo. Spero che si risolva, ma è un impegno che l’Italia ha preso e il Mase è intenzionato a far sì che venga onorato”.
L’Italia e la sua ‘quota equa’ non ancora raggiunta – Anche per l’Italia, come per tutti gli altri Stati sviluppati, è stata calcolata una ‘quota equa’, ossia la parte da pagare per raggiungere complessivamente l’obiettivo di 100 miliardi di dollari di finanza per il clima. La quota italiana è tra 4,6 e 4,8 miliardi di dollari all’anno. I contributi italiani alla finanza internazionale per il clima sono passati da 3,02 miliardi di dollari nel 2021 a 3,34 miliardi di dollari nel 2022 (con un aumento dell’11%) e a 3,4 miliardi di dollari nel 2023 (con un aumento del 2%). Si tratta dei dati più recenti disponibili. Il Paese è passato dal fornire il 64% della sua quota equa nel 2021 al 73% nel 2023. Ma per soddisfare la propria quota equa nel 2024 e nel 2025, l’Italia dovrebbe aumentare i contributi di 1,26 miliardi di dollari all’anno. Se volesse colmare anche le carenze pregresse, servirebbero 6,79 miliardi di dollari. I passi in avanti sono troppo lenti e sono dovuti soprattutto all’aumento dei flussi delle banche multilaterali di sviluppo attribuiti all’Italia, passati da 2,17 miliardi di dollari nel 2021 a 2,66 miliardi di dollari nel 2023. I finanziamenti per il clima forniti dall’Italia attraverso canali bilaterali e fondi multilaterali per il clima, invece, sono diminuiti rispettivamente dell’11% e del 27%. In soldoni: l’aumento non è dovuto a un maggiore impegno finanziario, ma alla ripartizione tra gli azionisti delle banche multilaterali di sviluppo (tra cui l’Italia).
Gli impegni presi a Cop e vertici, da Renzi, Draghi e Meloni – Sono diversi i capi di Governo italiani che hanno assunto impegni. Nel 2015, alla Cop 21, Matteo Renzi si impegnò a destinare 4 miliardi di euro per l’azione per il clima per il periodo 2015-2020. Nel 2021, al G20 sotto la presidenza italiana, Mario Draghi annunciò che avrebbe triplicato il contributo per raggiungere 1,4 miliardi di dollari all’anno entro il 2026. L’Italia, inoltre, si è impegnata a dare seguito al Patto di Glasgow definito alla Cop 26, in cui si esortano i Paesi sviluppati a raddoppiare, entro il 2025 (rispetto ai livelli del 2019), i loro contributi a favore dell’adattamento. Nel novembre 2022, alla Cop 27 di Sharm el-Sheikh, Giorgia Meloni ha confermato l’impegno a triplicare il contributo fino a 1,4 miliardi di dollari entro il 2026, di cui 840 milioni di euro attraverso il Fondo italiano per il clima. L’anno dopo, alla Cop 28 di Dubai, ha annunciato che l’Italia avrebbe continuato a sostenere il Green Climate Fund durante il secondo ciclo di contributi (Gcf 2) con un importo pari a 300 milioni di euro e si è impegnata a contribuire al Fondo Loss and Demage con 100 milioni di euro. Uno degli impegni più ambiziosi assunti dai Paesi.
Le mancate conferme ai fondi multilaterali per il clima – “I fondi multilaterali – spiega Ecco – sono una piccola parte della finanza internazionale per il clima, ma rivestono un‘importanza politica e simbolica significativa”. I quattro principali mobilitano tra i 4 e i 5 miliardi di dollari all’anno. La Green Environment Facility (ossia il Fondo mondiale per l’ambiente) supporta sei diverse convenzioni internazionali, mentre il Fondo per l’Adattamento, il Green Climate Fund e il Fondo per le Perdite e i danni sono meccanismi di sostegno finanziario previsti dall’Unfccc. I fondi di investimento per il clima, invece, sono l’espressione del sostegno finanziario coordinato da parte delle banche multilaterali di sviluppo. “L’Italia si è impegnata a più riprese a contribuire a diversi fondi multilaterali – ha commentato Eleonora Cogo – ma non sempre ha dato seguito tempestivo a tali impegni, rischiando di minare la propria credibilità e di ritardare l’azione internazionale per il clima”. Il Fondo mondiale per l’ambiente, a luglio 2022, ha avviato un secondo ciclo di rifinanziamento (Gcf 2) e l’Italia è uno dei 34 Paesi che hanno promesso di versare nuovi contributi (i 300 milioni promessi da Meloni alla Cop 28). Ma sono passati due anni e proprio l’Italia è tra i soli due Paesi (l’altro è Cipro) da cui non è arrivata la conferma ufficiale. Ed è l’unico Paese a non aver ancora erogato l’intero importo del primo ciclo. Sono stati erogati 214 milioni di euro su 300, mentre i contributi che l’Italia verserà per il primo ciclo sono stati posticipati fino al 2027. Sempre nel 2023, Meloni si è impegnata a contribuire con 100 milioni di euro anche al Fondo per le Perdite e i danni che era stato appena istituito. Eppure, esattamente come per il Gcf 2 “due anni dopo l’Italia rimane uno di soli due Stati (l’altro è il Lussemburgo) il cui contributo non solo non è stato erogato, ma nemmeno ufficialmente confermato” segnala Ecco.
Fondo italiano per il clima: impiegato circa un terzo di quanto promesso – Il Fondo Italiano per il Clima è stato istituito nel 2022, gestito da Cassa depositi e prestiti, sulla base delle direttive del Comitato di Indirizzo e del Comitato direttivo. Nel 2024 è stato stabilito che almeno il 70% delle risorse venissero impiegate in progetti legati al clima nell’ambito del Piano Mattei e, per questa ragione, è stato istituito un ulteriore comitato, il Comitato Tecnico – Fondo Italiano per il Clima/Plafond Africa. La dotazione iniziale era pari a 840 milioni di euro all’anno per il periodo 2022-2026, per un totale di 4,2 miliardi di euro, di cui massimo 40 milioni di euro da fornire in sovvenzioni e il resto in partecipazioni azionarie, prestiti e garanzie. Dal 2027 in poi, inizialmente era stato previsto uno stanziamento di 40 milioni di euro all’anno. Nel 2023, è stato integrato con ulteriori 200 milioni di euro per l’anno 2024. Come è andata? “Il fondo è stato reso operativo con un anno di ritardo rispetto a quanto previsto, con la conseguenza che i primi 840 milioni stanziati per il 2022 sono rimasti inutilizzati” racconta Ecco. Nel 2023 è stato deciso che tale spesa sarebbe stata rinviata al 2027 e agli anni successivi. “Questa riprogrammazione – ha spiegato Eleonora Cogo – è in linea con la tendenza dell’Italia a posticipare e dilazionare nel tempo l’erogazione dei contributi promessi, il che contribuisce a ridurne il valore effettivo”. Dalla loro istituzione e fino al 1 agosto 2025, i Comitati competenti hanno approvato 19 progetti, per un valore totale dei progetti inferiore a 1,2 miliardi di euro. Ergo: è stato impegnato circa un terzo di quanto promesso.
La qualità dei finanziamenti e il nodo dell’adattamento – Tra il 2021 e il 2023, l’Italia ha diminuito del 13% i propri contributi finanziari per l’adattamento (da 547 milioni di dollari nel 2021 a 484 milioni di dollari nel 2023). Nello stesso periodo, però, i contributi bilaterali per la mitigazione sono aumentati dell’89% (da 190 milioni di dollari nel 2021 a 481 milioni di dollari nel 2023). Tuttavia, l’Italia è lontana dall’impegno assunto alla Cop 26 di Glasgow di raddoppiare la spesa per l’adattamento nel periodo 2019-2025. Riprendere i versamenti a favore dell’Adaptation Fund (che si sono interrotti nel 2022), dovrebbe essere una priorità, anche per rispettare la decisione presa alla Cop 29 di triplicare i contributi all’Adaptation Fund entro il 2030 rispetto ai livelli del 2022. Una nota positiva riguarda il prevalente utilizzo di sovvenzioni (574 milioni di dollari nel 2023) invece che di prestiti (35 milioni di dollari nello stesso anno). “L’uso preferenziale delle sovvenzioni rappresenta un segnale positivo, soprattutto se si considera che il 33% dei contributi internazionali dell’Italia per il clima – spiega Ecco – è destinato ai Paesi a basso reddito e con minore livello di sviluppo, mentre il 20% va invece a Paesi a reddito medio e il 47% a progetti regionali o transnazionali”. Molti dei Paesi beneficiari si trovano così ad affrontare un circolo vizioso in cui le crisi del debito e quella climatica sono concomitanti e si alimentano a vicenda. Allo stesso tempo, però, dall’analisi del Biennial Transparency Report presentato dall’Italia all’Unfccc evidenzia come alcuni dei progetti inclusi tra i contributi alla finanza per clima risultino “controversi, più che esempi di buone pratiche”. Tra questi, Ecco Climate segnala “l’installazione di generatori elettrici in alcuni comuni libanesi, probabilmente alimentati a diesel”, un progetto in Kenya per produrre biocarburanti da colture sostenibili, quando questi progetti “spesso portano alla perdita di terreni destinati alla produzione alimentare” e iniziative per prevenire la migrazione verso l’Italia dai Paesi in via di sviluppo o per favorire il rientro nei Paesi d’origine. Un esempio? “Le campagne di sensibilizzazione in Senegal sui rischi dell’immigrazione illegale”. Pagati con le risorse destinate alla crisi climatica.
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