“L’effetto Flotilla va oltre la sinistra e il genocidio a Gaza”. Ecco com’è nato (e com’è composto) il movimento che ha occupato l’Italia
- Postato il 4 ottobre 2025
- Cronaca
- Di Il Fatto Quotidiano
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Ci sono voluti due anni e una notte per riempire le strade d’Italia di manifestazioni senza precedenti. Per di più su un tema fisicamente lontano, le bombe su Gaza. Nei due anni di bombardamenti israeliani sulla Striscia si sono tesi i fili fra tanti soggetti che dal basso hanno fatto rete sulla causa palestinese. La notte è quella fra il 2 e il 3 ottobre, quando la Marina israeliana ha iniziato ad abbordare e bloccare le navi della Global Sumud Flotilla in rotta verso Gaza. “La Flotilla è stata vissuta come una cosa bella e ‘nostra’ anche da persone non di sinistra, non politicizzate, mai scese in piazza”, spiega Donatella Della Porta, fra le massime studiose dei movimenti sociali in Italia e non solo, docente di Scienze politiche e direttrice del Centre on Social Movement Studies della Scuola normale superiore di Firenze. Sul tema di Gaza ha scritto fra l’altro Guerra all’antisemitismo?, pubblicato da Altreconomia. Dopo le imponenti manifestazioni di venerdì 3 ottobre, Della Porta ha commentato sui social che l’attacco alla Flotilla è stato il “grilletto” che ha fatto esplodere tutte insieme le energie accumulate in questi due anni di “atti di resistenza e di disobbedienza”.
Che impressione le fa questa massiccia mobilitazione per Gaza, dopo anni di discussioni sulle “piazze vuote”, almeno in Italia?
È dall’ottobre 2023 che osserviamo una crescita della mobilitazione. Nelle grandi città e in provincia, persino nei centri turistici. Nelle università, negli ospedali, nel mondo del lavoro, nei porti. Fin dall’inizio, per esempio, i sindacati di base sono riusciti a portare in piazza i lavoratori di origine araba, che trovavano un nesso tra lo sfruttamento lavorativo e il rifiuto della loro identità. Nella primavera dell’anno scorso la protesta degli studenti accampati nelle università si è intrecciata a quella dei docenti sui rapporti con istituzioni israeliane, finendo per coinvolgere persino il personale tecnico e amministrativo. C’è stato via via un allargamento oltre i gruppi che storicamente si mobilitavano per la Palestina.
Come siamo arrivati ai numeri visti in questi giorni?
Quello che abbiamo descritto finora ha permesso al movimento di espandersi verso organizzazioni più strutturate, che all’inizio magari temevano le accuse di antisemitismo. Penso all’Anpi, al mondo pacifista cattolico. Da un lato le grandi organizzazioni, compresa la Cgil inizialmente tiepida, o l’Arci e i sindacati di base, presenti fin da subito. Dall’altro le mobilitazioni spontanee attraverso i social. La notte degli abbordaggi alla Global Sumud Flotilla, su Facebook vedevo scorrere a decine gli annunci di manifestazioni. Questa capacità di sfruttare l’algoritmo dei social media per diffondere rapidamente un messaggio di mobilitazione immediata è stata fondamentale. Ma bastava guardare le home page dei giornali on line, a partire dal vostro, per chiedersi: “Cosa posso fare io per bloccare tutto?”. I blocchi c’erano alla stazione di Napoli, sulla circonvallazione a Firenze… e in tante azioni molto dal basso.
Secondo lei perché l’iniziativa della Flotilla ha così tanta presa sull’opinione pubblica?
La catalizzazione è stata forte fin dalla partenza da Genova, con un numero enorme di persone al porto, la sindaca Salis, la benedizione dell’arcivescovo, i media anche mainstream con la diretta online per due ore. La Flotilla è diventata un simbolo globale e ha mostrato a tutti che si può fare qualcosa. “Se bloccano la Flotilla blocchiamo tutto” è uno slogan capace di parlare a chiunque. Le barchette di carta sono già diventate un simbolo, con fiorellini e cuoricini, un messaggio positivo che ha parlato ai giovani, non solo di sinistra.
Non la sorprende che questa mobilitazione arrivi su un tema apparentemente lontano dagli interessi degli italiani, mentre non vediamo nulla del genere su lavoro, sanità, casa, pensioni?
Siamo portati a pensare che gli interessi economici vengano prima di quelli morali, ma a volte lo choc morale è talmente forte da prendere il sopravvento: “Non vogliamo più essere responsabili di un genocidio”. In questo movimento i due aspetti si mescolano. La solidarietà con la Palestina si intreccia con rivendicazioni che riguardano la lotta contro il precariato e lo sfruttamento, o la gestione dell’università. È molto interessante il caso di Genova, dove il Calp-Usb, il collettivo autonomo dei portuali, da cinque anni si mobilita contro il commercio di armi, in un luogo in cui l’economia neoliberista ha peggiorato le condizioni di lavoro.
E come lo spiega?
Non c’è una gerarchia unica, la rivolta morale può intrecciarsi con la preoccupazione del “dove stiamo andando a finire?”. Così uno studente universitario si chiede se il suo futuro sarà fare ricerca bellica per Leonardo, visto che il sistema spinge a cercare sempre più il finanziamento privato. Oppure pensiamo al movimento “Non una di meno” contro la violenza sulle donne, che in questi anni invece le piazze le ha riempite con manifestazioni molto partecipate, a partire dagli scioperi generali dell’8 marzo. Anche qui è difficile distinguere fra interesse personale e slancio etico.
Quello per Gaza è un movimento tutto di sinistra?
È un movimento dove si trovano valori centrali della sinistra considerati un po’ superati. Pensiamo allo sciopero generale del 22 settembre indetto dai sindacati di base: la Cgil ha manifestato il 19, in sordina, tirata per la giacchetta. Ma la partecipazione inaspettata del 22 ha mostrato come in questo momento siano i valori ribelli a mobilitare, non solo fra le sigle di sinistra, ma in una base più ampia. Anche il Pd era stato a lungo inesistente sul tema Gaza, poi ha dovuto riflettere, forse spinto dalle posizioni più nette dei 5 Stelle. Ma in Germania o Danimarca i partiti paragonabili al Pd sono stati da subito solidali con la Palestina e hanno riconosciuto l’esistenza del genocidio.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni liquida questo movimento, e la Flotilla, con parole sprezzanti. Che effetto le fa?
Certo, abbiamo un governo di destra, con partiti che si identificano nella destra radicale di Netayahu e la presidente che gioca a afre il trait d’union fra l’Europa e Donald Trump. Ed è normale che a destra si trovino posizioni pro-Israele, nonostante il passato antisemita, in parte perché gli permette di individuare negli arabi, associati ai migranti, il nemico principale. Però potevamo aspettarci prese di posizione ancora più dure, accuse di antisemitismo, una repressione più violenta. Invece Giorgia Meloni mi pare in difficoltà. I sondaggi dicono che circa l’80% degli italiani pensa sia in corso un genocidio, è contrario all’invio di armi… Meloni sa che questi sentimenti sono diffusi anche fra gli elettori di centrodestra. Quindi si arrampica sugli specchi con frasi un po’ illogiche tipo “la Flotilla danneggia i palestinesi”, “gli scioperi danneggiano gli italiani”… L’opinione pubblica è poco simpatetica rispetto alle posizioni pro Israele.
Secondo lei questo movimento può durare nel tempo o la fiammata di indignazione è destinata a spegnersi?
Fare previsioni non è saggio per i sociologi, e certo movimenti di questo tipo hanno il problema di come mantenere a lungo la mobilitazione: è ovvio che non puoi occupare le stazioni a tempo indeterminato. Credo però che questo movimento sopravviverà per la capacità che ha avuto di creare le coalizioni che abbiamo descritto. E sarà importante per la sinistra partitica e per il sindacato, perché ha mostrato la possibilità di utilizzare strategie diverse da quelle tradizionali e di farlo con successo. Di partire da tematiche alte invece che dalla microrivendicazione. Avrà comunque conseguenze di lungo periodo, come avviene sempre quando i giovani sono socializzati alla politica in un momento di alta tensione etica, per esempio il ’68 e la guerra del Vietnam.
Dunque potrebbe allargarsi ad altri temi?
Lo choc morale porta a riflessioni di testa, non solo di pancia. Non si tratta solo di fermare il genocidio, ma di costruire una società più giusta e più equa. C’è il tema di Trump, delle degenerazioni della democrazia che vediamo anche qui da noi. Mi viene in mente il caso dei Social Forum dopo il G8 di Genova del 2001: la mobilitazione non è rimasta costantemente alta, è rimasto però un modello, un’esperienza, un patrimonio di riflessioni.
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