L’esodo nascosto delle badanti: chi si prenderà cura dei nostri anziani?

  • Postato il 29 giugno 2025
  • Di Panorama
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All’ombra delle vacanze, tra partenze low cost e villeggiature mordi e fuggi, è in corso un esodo silenzioso di cui nessuno parla. Vede protagoniste badanti – perlopiù straniere – che lasciano il nostro Paese, abbandonando nello sconforto più totale, aggravato dalla calura estiva, migliaia di famiglie.

Esattamente come Marilena Torre, 54enne emiliana, che si trova a fare i conti con la madre novantenne non autosufficiente e con una badante che «mi ha mollato da un giorno all’altro». «Viveva a casa con mia mamma Rita da dieci anni» continua Marilena. «Ovviamente tutto in regola. Quindici giorni fa mi ha detto che la figlia era incinta, che non stava bene e che aveva bisogno di lei. Si è scusata tanto, ma ha fatto le valigie e se ne è andata. Da un giorno all’altro. Infischiandosene degli obblighi contrattuali e di quello che per mia madre era diventato un affetto stabile». Il prosieguo pare appartenere a un copione ben noto: Marilena mette ovunque annunci, cerca signore disposte a trasferirsi nell’appartamento della madre, fa colloqui. «Ma la risposta è più o meno sempre la solita: nessuno è disponibile a un lavoro full time. Tante badanti hanno un compagno, o quantomeno non vogliono essere disponibili h24. Quelle poche che potrebbero essere interessate chiedono cifre astronomiche perché, consapevoli della richiesta altissima, cercano famiglie che possano permettersi fino a duemila euro a nero al mese».

Stipendi decisamente superiori alla media nazionale (secondo l’Ocse la retribuzione annua lorda è poco superiore ai 41 mila euro, circa 1.700 euro netti al mese), che rivelano paradossi allarmanti. «Non di rado le badanti non vogliono essere regolarizzate per mantenere redditi bassi e accedere a benefici, altre volte le famiglie si affidano al lavoro irregolare, nella speranza di risparmiare su contributi, ferie e tredicesime. Ma poi arrivano le vertenze», spiega Andrea Zini, presidente di Assindatcolf (Associazione nazionale dei datori di lavoro domestico) che ha di recente presentato un rapporto in collaborazione con il centro di studi e ricerche Idos, da cui emerge come entro il 2028 serviranno almeno 86 mila lavoratori domestici in più rispetto a oggi. Non pochi, considerando che già oggi tra colf, badanti e baby sitter parliamo di 961 mila lavoratori regolarmente censiti dall’Inps. A conferma di una crescita costante e strutturale.

«Questi dati sono particolarmente significativi perché dimostrano che si dovrà intervenire con una pianificazione di lungo termine. Oggi il 70 per cento dei lavoratori domestici è straniero e circa la metà proviene da Paesi non comunitari. L’unico strumento legale per farli arrivare in Italia è il decreto flussi, ma le quote annuali sono da sempre insufficienti e le procedure sono lunghe e complesse: servono dai 6 ai 9 mesi per ottenere un nullaosta e rendere operativa una persona», puntualizza. «In questo scenario, il grande assente è lo Stato che dovrebbe farsi carico di una parte del costo dell’assistenza. È urgente introdurre un sistema di agevolazioni fiscali strutturato: oggi sono deducibili solo i contributi, ma servirebbe la deducibilità totale del costo o, ancora meglio, un credito d’imposta come avviene in Francia, dove lo Stato rimborsa il 50 per cento della spesa e il lavoro regolare diventa la scelta più conveniente per tutti», aggiunge. Un’iniziativa che forse potrebbe porre rimedio all’emorragia in corso. Anche qui, d’altronde, sono i numeri a parlare per tutti. Secondo una recente interrogazione parlamentare presentata dall’onorevole di centrodestra Antonio De Poli, «un quarto dei 3 milioni di lavoratori “in nero” presenti in Italia è impiegato nei servizi alle famiglie, sono 781 mila tra colf, badanti e baby sitter», che ovviamente si aggiungono alla platea dei 961 mila lavoratori domestici regolari censiti dall’Inps. «Escludendo questa forte componente di irregolarità dal mercato del lavoro, l’incidenza del sommerso, che oggi in Italia è del 12,9 per cento sul totale degli occupati, diminuirebbe di 3 punti percentuali». Un’enormità.

E se da una parte c’è l’esigenza di calmierare la quota del «nero» con nuove politiche e agevolazioni, l’altra faccia della medaglia ci dice che, nel frattempo, sempre più badanti lasciano l’Italia spinte dall’aumento del costo della vita, dall’inflazione, ma anche dal miglioramento delle condizioni economiche nei Paesi d’origine. Fare una sintesi delle motivazioni è impossibile. Di certo dopo l’inizio della guerra in Ucraina tante hanno deciso di tornare a casa, magari per prestare assistenza alla famiglia. Altrettante hanno scelto di cercare uno stipendio più alto. Come in Svizzera o in Danimarca, dove la paga parte da 20 euro l’ora.

Ma c’è di più. È interessante notare come il fuggi fuggi dall’Italia riguardi soprattutto figure professionali che arrivano dall’Europa dell’Est (e rappresentano oggi il 34,8 per cento del totale). Negli ultimi quarant’anni, le migrazioni soprattutto dai Paesi ex sovietici hanno plasmato in modo significativo il mercato del lavoro sommerso italiano: badanti e colf provenienti da Romania, Ucraina, Moldavia e Paesi balcanici hanno costituito una parte crescente e, in molti casi, sostitutiva di quella manodopera locale non facilmente reperibile, specialmente in settori caratterizzati da bassi salari, turni flessibili e scarso controllo formale. Ma, come invecchia la popolazione, invecchiano anche le badanti.

Oggi la classe d’età 55-59 anni è quella con la maggior frequenza, con un peso pari al 18,6 per cento del totale, mentre il 25,7 per cento ha un’età pari o superiore ai 60 anni. Si tratta di un elemento spesso sottovalutato, che in previsione rischia però di diventare un enorme problema sia per il sistema pensionistico che per quello sanitario.
«Manca un ricambio generazionale: non c’è turnover, la forza lavoro invecchia e, nel giro di un decennio metà degli attuali lavoratori domestici sarà in età pensionabile», sottolinea ancora Zini.

Una riflessione imprescindibile riguarda poi le conseguenze fisiche dell’impiego. Come nota il parlamentare dei Verdi Devis Dori in una recente interrogazione parlamentare, «secondo uno studio del 2021, il 63 per cento delle badanti ha dichiarato di avere problemi di salute legati al lavoro. Secondo un’indagine Censis il 44,3 per cento dei collaboratori domestici, in Italia, è stato vittima di un infortunio domestico nel 2009; mentre se si considera l’intero arco di vita professionale la percentuale arriva al 70,5 per cento». E tutto questo va letto in rapporto ad altri dati.

Secondo l’Istat nel 2024 l’aspettativa di vita media nel nostro Paese è stata di 83,4 anni con una crescita di 5 mesi rispetto al 2023. Piccolo spunto di riflessione: nel 1950 in Italia si viveva in media 65,7 anni. Insomma, in 74 anni abbiamo guadagnato circa 20 anni di esistenza (+27,6 per cento) e siamo diventati uno dei Paesi con la più alta aspettativa di vita al mondo. Con tutte le conseguenze che questo comporta. «Quello che dovrebbe essere un traguardo collettivo, ovvero vivere più a lungo, rischia di trasformarsi in un fallimento, e questo perché non siamo preparati a gestirlo. È un paradosso che va affrontato da diverse angolazioni, a partire da quella più concreta e umana: la casa. Il domicilio è il luogo dove la maggior parte delle persone anziane desidera rimanere, circondata dalle proprie cose e dai propri affetti. Serve una riforma profonda, una visione a lungo termine che metta al centro la persona, sostenga le famiglie, valorizzi il lavoro di cura – spesso svolto da donne – e restituisca dignità ad un settore essenziale per il futuro del nostro Paese», riflette Zini.

Insomma, quello che sta accadendo nel silenzio delle case italiane rischia di avere dimensioni epocali. «Non si tratta solo della crisi di un settore, ma dello smantellamento di un equilibrio sociale basato sull’affidamento tacito di funzioni pubbliche a lavoratrici straniere precarie. E la domanda che si impone, ora che quell’esercito invisibile sta lasciando il campo, è se l’Italia sia pronta ad affrontare il vuoto che lascia», conclude Zini. Domanda più che legittima. E ogni giorno che passa sempre più allarmante.

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Panorama

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