L’Europa così com’è non può combattere né difendere l’Occidente. La versione di Irdi

  • Postato il 1 settembre 2025
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  • Di Formiche
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In un articolo su Politico pubblicato il 25 agosto scorso, la reporter Camille Gijs ha denunciato il costo reputazionale – il “credibility crunch” – che l’Unione europea pagherà per l’accordo commerciale con l’amministrazione Trump. Per anni Bruxelles ha predicato al mondo sull’importanza del libero commercio e la sua governance multilaterale. Dopo essersi piegata alle minacce americane, come potrà difendersi dall’accusa di aver infranto le regole che ha contribuito a scrivere?

Dal palco di Rimini, l’ex presidente del Consiglio Mario Draghi ha dato una risposta implicita. Le organizzazioni sopravvivono se sanno evolversi. Il tramonto del multilateralismo e della fede nel libero mercato, ovvero dell’ordine liberale internazionale che, grazie al collaterale di sicurezza americano, ha scandito il dominio dell’Occidente, richiede degli adattamenti. Nel mondo multipolare, le minacce alla nostra sicurezza e competitività richiedono meno idealismo e più pelo sullo stomaco, meno fiducia nel mercato e più politica industriale, meno Green deal e più controllo sugli investimenti. Nessun credibility crunch, dunque: è solo il divario fra aspettative ancorate a un’epoca finita e una condotta che, pur caotica, segnala un primo barlume di consapevolezza. L’Ue sta cambiando ragione sociale.

Sul medesimo palco, Meloni ha suonato le stesse note. Al contrario di Draghi, però, il presidente del Consiglio si è concentrata sui valori: la casa a cui aggiungere mattoni nuovi è l’Occidente, un luogo di uguaglianza, libertà e cura per i più fragili. È dimenticando questi valori e soprattutto la necessità di difenderli, suggerisce Meloni, che l’Europa è precipitata nell’irrilevanza geopolitica, nel declino tecnologico, nell’inverno demografico.

Che la leadership e la stampa europea abbiano iniziato, nel brusco risveglio post-trumpiano, ad affiancare a un convulso “che facciamo” l’altrettanto urgente “chi siamo” è una buona notizia. Gli argomenti di Draghi e Meloni sono il mosaico di un dilemma irrisolto: se il mondo multipolare è una giungla, come può l’Europa adattarvisi senza distruggere il Dna valoriale che definisce l’Occidente?

La cattiva notizia è che non c’è tempo. Come in un problema dei tre corpi, l’equazione è resa irrisolvibile dalla combinazione di diverse forze: la profondità della sfida, l’incalzare della minaccia e le divisioni interne all’Unione. Nella giungla del XXI secolo, l’asimmetria di potere e azione fra un’entità politica incompiuta come l’Ue e stati predatori dotati di coesione e forza militare sembra incolmabile e, nel lungo periodo, decisiva.

La logica porta a una sola conclusione: se c’è un corpo su cui intervenire, è l’architettura istituzionale dell’Unione. Le stesse proposte di Draghi – dall’eliminazione delle barriere commerciali interne agli investimenti congiunti in ricerca, difesa e transizione energetica – sembrano distanti anni luce, ostaggio di meccanismi all’unanimità che a loro volta rendono fatale l’eterogeneità politica e valoriale all’interno dell’Unione.

Per questo il discorso di Meloni, pur cogliendo la diagnosi, resta insufficiente nella cura. La fotografia di una Europa irrilevante, divisa e inconsapevole di sé stessa è ineccepibile. Ma un astratto appello al ritorno ai valori cristiani e al rispetto per noi stessi sembra un rifugio retorico a basso costo. Se l’impotenza dell’Europa dipende dal distacco dai suoi valori, per portare a termine il ragionamento è necessario chiedersi se l’Europa, con la sua architettura e soprattutto nel formato di oggi, è riavvicinabile a questi valori o no.

Allo stesso modo, il riferimento del premier alla necessità di essere disposti a pagare per la propria libertà, seguita a meno di 48 ore dall’ennesima, preventiva “rassicurazione” di Palazzo Chigi che l’Italia non prenderà parte a un’eventuale forza multinazionale di peacekeeping in Ucraina, stride come unghie sulla lavagna, mentre ha per i nostri avversari il dolce suono della nostra crisi d’identità.

L’Europa così com’è non può combattere né difendere l’Occidente. La distanza fra le sue anime, sommata alla polarizzazione politica che impedisce ai suoi paesi membri di formulare politiche di lungo periodo, frena lo sviluppo di un sovranismo europeo che è la sua unica speranza di sopravvivenza.

Se non è già troppo tardi, l’Ue sarà costretta a cambiare regole e forse formato, costruendo un equilibrio nuovo fra valori fondativi e necessità di sopravvivenza. In concreto, ciò significherà cedere quote di sovranità fino a una certa soglia, che sarà tanto più dolorosa quanto più sarà ampio il divario valoriale fra i paesi membri. Chi la accetterà resterà nel nucleo e sotto un tetto comune. Chi rifiuterà diventerà solo un terreno di scontro, e vedrà la sovranità che cerca di difendere erosa e infine comunque distrutta dalla marea delle potenze globali.

Chi siamo determina con chi camminiamo. Mosca e Pechino, pur legate solo dalla condivisione di un avversario, sono forti di una coesione sistemica che ha cementato il loro fronte. La metamorfosi degli Stati Uniti, per giunta, lo ha reso pericolosamente attraente, come nuovamente messo in luce dal caloroso incontro fra Xi, Putin e il primo ministro indiano Narendra Modi a Tianjin al summit dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai. Se l’Europa vuole costituire un polo capace di perpetuare i valori occidentali nel XXI secolo dovrà affrontare delle conversazioni scomode e pratiche su sé stessa. L’alternativa è arrendersi, senza disturbare, alla fine di una parentesi democratica-liberale durata meno di tre secoli e a quella della radice plurimillenaria dei suoi valori.

Autore
Formiche

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