“L’Europa deve prevenire le guerre, non diventare un esercito”. “Riarmo? Solo se protegge”: così gli studenti parlano oggi dell’Ue
- Postato il 9 maggio 2025
- Diritti
- Di Il Fatto Quotidiano
- 1 Visualizzazioni
.png)
Settantacinque anni fa, da una Parigi ancora ferita dalla guerra, l’allora ministro degli Esteri francese Robert Schuman lanciava un’idea destinata a cambiare il destino del continente: mettere la produzione di carbone e acciaio sotto una autorità comune per rendere i conflitti “non solo impensabili, ma materialmente impossibili”. Era il 9 maggio 1950 e oggi, 75 anni dopo, si celebra la Giornata dell’Europa per ricordare proprio quella dichiarazione che lanciò il processo di integrazione. Quella che sembrava un’utopia, ha fatto diversi passi. Ma oggi il sogno sembra più distante. Dopo aver garantito decenni di pace, infatti, l’Unione europea si trova a dover far fronte a tempi di guerra che ne hanno dimostrato tutta la sua debolezza. Ilfattoquotidiano.it ha deciso di dare la voce ai più giovani – testimonianze raccolte nelle scuole da Nord a Sud – per cercare di capire cosa pensano i ragazzi e le ragazze cresciuti al tempo del piano di riarmo proposto da Ursula von der Leyen. (Se sei uno studente o una studentessa e hai voglia di condividere con noi il tuo pensiero sull’Europa oggi, scrivici a redazioneweb@ilfattoquotidiano.it).
“L’Unione Europea non è perfetta, ma è ancora l’unico progetto in grado di garantire pace e cooperazione in un continente che ha conosciuto troppa violenza”, dice Marco, 17 anni, del liceo Giannone di Caserta. “È il progetto più ambizioso del nostro tempo: un’unione di Stati sovrani che, dopo secoli di guerre, ha scelto la convivenza. Non solo un’entità politica o economica, ma un sogno concreto di democrazia, diritti, solidarietà”. Per Julio, 16 anni, del liceo Berchet di Milano, l’Unione Europea resta soprattutto i suoi valori fondanti: “Democrazia, libertà, partecipazione e diritti. Sono questi i principi che, almeno in teoria, dovrebbero unire tutti i cittadini dell’Unione. Nonostante alcune derive autoritarie, l’Ue resta uno spazio politico dove la democrazia è il principio guida”.
Più concreta e disillusa è la visione di Christian, 18 anni, liceo Pitagora di Rende (Cosenza): “L’immagine che mi viene in mente è quella di un grande condominio: vivace, pieno di voci diverse, con appartamenti arredati secondo gusti e culture uniche. Un luogo dove le differenze non dividono, ma stimolano il confronto. Certo, come in ogni condominio, servono regole e tanta pazienza. L’Ue è un posto straordinario in cui vivere, ma le decisioni arrivano spesso con lentezza, frenate da una burocrazia che fatica a stare al passo con le sfide comuni”.
Per Gaia, 18 anni, del liceo Amaldi di Roma, l’Unione Europea è prima di tutto un patrimonio di simboli e ideali: “La bandiera blu, il Manifesto di Ventotene… sono immagini forti, che ci parlano di pace e unità. A scuola ne discutiamo, ma anche in famiglia. Questo confronto mi ha insegnato a guardare all’Europa con uno sguardo più consapevole e critico”. Infine, Pietro, 17 anni, del liceo Cairoli di Pavia, associa l’Unione a un principio fondamentale: “Pensando all’Europa, mi viene naturale collegarla a un grado di libertà più alto rispetto a gran parte del mondo. Non è una libertà né totale né perfetta, ma senz’altro migliore. È, o dovrebbe essere, una direttrice di sviluppo comune”.
L’Europa può ancora essere il continente della pace? – Oggi la domanda risuona con una nuova urgenza. Chi è cresciuto senza conoscere la guerra ha imparato a considerare la pace come un dato acquisito, quasi un diritto naturale. Eppure, tra nuove minacce globali e una retorica sempre più bellica, anche quella certezza inizia a incrinarsi. Una generazione abituata a credere nel dialogo si ritrova divisa, costretta a fare i conti con un’Unione Europea che torna a parlare di riarmo, difesa comune e deterrenza.
Per Julio, “la pace è ancora possibile, ma in modo diverso rispetto al passato”. Le diverse guerre e il mutato scenario geopolitico hanno cambiato le regole del gioco: “Il piano di riarmo europeo è necessario. È frutto della consapevolezza che non possiamo più affidarci agli Stati Uniti per la nostra sicurezza. Di fronte a potenze autoritarie che violano il diritto internazionale, serve una difesa comune. Chi sogna un mondo senza eserciti deve confrontarsi con la realtà: istituzioni senza protezione non fermano l’espansionismo” spiega Julio. Più amara è la riflessione di Pietro: “Purtroppo oggi l’Ue, divisa al suo interno, non riesce più a garantire davvero la pace. Le manca la forza economica, politica e militare necessaria, e fuori dai propri confini il suo peso si fa sempre più debole”. Christian d’altro canto mette in discussione l’intero impianto: “Gli ultimi mesi ci hanno mostrato tutta la brutalità della guerra. Sui libri ho imparato che nessuno vince davvero: tutti perdono. Eppure i conflitti non finiscono mai. Pensiamo alla guerra tra Russia e Ucraina, così lunga da averci quasi assuefatti: edifici distrutti, scuole e ospedali bombardati. L’Ue, che dovrebbe promuovere la pace e l’ordine internazionale, continua invece a fornire armamenti. È una contraddizione. Comprendo il sostegno all’Ucraina, ma i principali passi verso la pace sono arrivati da iniziative esterne all’Ue. E mentre si affacciano timidi spiragli di dialogo, Bruxelles rilancia con ‘Rearm Europe’: un piano costoso, che rischia di mettere in secondo piano la diplomazia e allontanarsi dai valori su cui l’Unione è nata. La sua vera forza dovrebbe essere la coesistenza pacifica, non la rincorsa alla militarizzazione”.
Un dubbio condiviso anche da Gaia: “Sono favorevole al riarmo, ma solo come deterrente. Il problema è come viene comunicato. Parlare di ‘economia di guerra’ in un momento così delicato, rischia di alimentare tensioni e allontanare i cittadini dai valori di pace che dovrebbero guidare l’Unione. Il riarmo ha senso solo se serve a proteggere, non ad accendere nuovi conflitti”. Marco, infine, invita a non dimenticare la natura profonda del progetto europeo: “L’Ue non è, e non deve diventare, un esercito. La sua forza non sta nella potenza militare, ma nella capacità di prevenire i conflitti tra gli Stati membri, creare legami economici e sociali così forti da rendere la guerra semplicemente impensabile. Se ci è riuscita per oltre settant’anni, potrà farcela ancora. Ma serviranno l’impegno e la volontà di tutti”.
Verso un’Europa diversa – Le riflessioni sulla guerra e sulla difesa comune mettono a nudo le fragilità di un’Unione che fatica a parlare con una sola voce. Ma è proprio da queste crepe che emerge la consapevolezza di un bisogno diffuso: ripensare l’Europa. Tutti, in modi diversi, chiedono un cambiamento. C’è chi sogna un’Unione più coraggiosa e unita, chi ne difende il metodo imperfetto, e chi punta il dito contro le rigidità che ne frenano il potenziale. Un’immagine coerente con quanto emerso anche dall’Eurobarometro di marzo, che ha fotografato le priorità dei giovani italiani: il 33% si dichiara favorevole all’Ue e apprezza il suo funzionamento, un altro 33% sostiene l’Unione ma ne critica il modo in cui opera. Il 21% è scettico, pur aperto a cambiare idea con riforme concrete.
Julio non ha dubbi: “Credo fortemente nell’Unione europea e penso che ora più che mai serva maggiore unità. Ma ne riconosco anche le debolezze: lentezze, compromessi e ipocrisie. Il diritto di veto, per esempio, oggi blocca una vera crescita in senso federale”. Marco la vede come un laboratorio democratico: “L’Ue è fatta di problemi e tensioni, ma proprio per questo è preziosa: è uno spazio in cui si cerca un equilibrio tra interessi nazionali e bene comune. Non è perfetta, ma resta un esperimento unico. Certo, i cittadini contano poco a questo livello, ma forse è inevitabile: spesso giudichiamo senza conoscere tutti i dati. Più che cambiare l’Ue, punterei a scegliere meglio chi ci rappresenta”.
Per Christian la chiave è innovare senza ingessarsi: “L’Ue dovrebbe puntare alla coesistenza pacifica, ma l’inefficienza politica frena anche altri settori, come la tecnologia. Sull’intelligenza artificiale siamo indietro rispetto a Stati Uniti e Asia. Una burocrazia troppo rigida, pur tutelando i diritti, limita l’innovazione. Servono regole più snelle e più investimenti”. Pietro guarda lontano, verso un’unione pienamente politica: “Credo nel progetto europeo, ma per sopravvivere serve più integrazione. Bisogna cedere alcune sovranità per guadagnare libertà e forza collettiva. Stati Uniti d’Europa? Forse. Ma preferirei un vero Stato unitario, desiderato e riconosciuto da tutti”.
Nei racconti dei giovani – raccolti finora da ilfattoquotidiano.it – emerge un’idea: l’Unione deve essere rafforzata, l’ideale europeo va protetto, e il sogno europeo non è un traguardo, ma un cammino ancora in corso. Per i ragazzi, cambiare l’Unione non significa tradire ciò che essa rappresenta, ma darle nuova forza. “Credo nel sogno europeo, ma non come qualcosa di già realizzato. È un obiettivo: un’Europa unita, solidale e pacifica, dove i popoli collaborano senza rinunciare alla propria identità. C’è tanta strada da fare, ma possiamo arrivarci”, spiega Gaia. Pietro lo vive con passione: “Mi sento profondamente europeo. Il cosmopolitismo è la condizione più universale, ma proprio per questo serve una coscienza europea. Senza sciovinismi, ma con l’ambizione di essere interlocutori universali. E per farlo, dobbiamo emanciparci anche dall’influenza americana”. Per Christian “l’Ue ha la responsabilità di incarnare quei valori e fare la differenza in un mondo sempre più complesso. Non si tratta solo di essere italiani, francesi o tedeschi, ma di essere esseri umani, con il compito di far valere i nostri diritti e costruire un futuro migliore per le generazioni future”. Marco insiste sul fatto che “la pace non è solo assenza di guerra: è stabilità, sicurezza, diritti. L’Ue è il mezzo per garantirla”.
L'articolo “L’Europa deve prevenire le guerre, non diventare un esercito”. “Riarmo? Solo se protegge”: così gli studenti parlano oggi dell’Ue proviene da Il Fatto Quotidiano.