Libera Terra nei guai: le coop fondate da don Ciotti in rosso

  • Postato il 8 luglio 2025
  • Di Panorama
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Dietro nomi che evocano martirio, coraggio e sangue versato per lo Stato ci sono cooperative sociali appese a contributi pubblici che annaspano tra debiti e bilanci in rosso. L’antimafia dei campi, quella celebrata nei festival e nelle scuole, zoppica nei numeri e arranca nei conti. La retorica regge. I bilanci no. Le coop sono tutte appartenenti al Consorzio Libera Terra, ideato dal sacerdote antimafia per antonomasia don Luigi Ciotti per rendere produttivi i vigneti strappati alle famiglie di ’ndrangheta, gli uliveti sottratti ai camorristi, le masserie dalle quali sono stati sfrattati i boss della Sacra corona unita o di Cosa nostra. 

Un buco dietro l’altro, però, rischiano di scivolare verso il baratro. Una di queste, la coop Terre di Puglia, è finita in liquidazione coatta con un decreto del ministero delle Imprese e del Made in Italy che sembra un bollettino di guerra: patrimonio netto di molto sotto lo zero, quasi un milione di euro di debiti, stipendi non pagati, contributi evasi, cause di lavoro e un’istanza di dichiarazione di insolvenza pendente davanti al Tribunale di Brindisi. 

Un crac che don Ciotti, però, è stato abile a raccontare con tenerezza: «Hanno sbagliato un’etichetta sulle bottiglie di vino». Gli errori? «Commessi in buona fede». Il rischio è che la mala torni a interessarsi a quelle proprietà. E questo, se dovesse accadere, aggiungerebbe al fallimento contabile anche un fallimento morale. A guardare i bilanci, almeno gli ultimi depositati alla Camera di commercio, che quasi per tutte e nove le cooperative sono del 2023, però, il quadro che emerge è quello di un sistema fragile, sostenuto più dalla narrazione che dal mercato, più dalla simbologia che dalla capacità imprenditoriale. Terre Joniche, quella che avrebbe dovuto riscattare la Calabria dai clan con l’agricoltura sociale, ha chiuso con una perdita secca di 50.491 euro, spendendo più di quanto ha incassato. 

L’ossigeno dei contributi, 67.078 euro, si scontra con i soli 185.365 euro di ricavi da vendite. Per ogni euro guadagnato sul mercato servono 36 centesimi di aiuti (pubblici o di benefattori) per tenere in piedi la baracca. I costi del personale, per otto dipendenti, ammontano a 164.028 euro, quasi quanto l’intero fatturato. E non va meglio con gli acquisti di materie prime e servizi: 155.660 euro. Le spese superano i ricavi di quasi 50 mila euro. Una voragine, coperta solo in parte dalle riserve. I debiti totali ammontano a 177.084 euro, più del patrimonio netto (151.670 euro). La liquidità in cassa è di appena 23.565 euro, meno di quanto servirebbe per pagare una busta paga mensile media a tutti i dipendenti. 

Segno meno anche per la coop Valle del Marro, che si trova a Polistena, in provincia di Reggio Calabria. Il bilancio 2023 segna perdite per 44.192 euro. E dire che le vendite (olio extravergine d’oliva e sottoli) non mancano: 407.445 euro di ricavi da prestazioni e un valore della produzione totale da 515 mila euro. Voci che, però, vengono schiacciate dai costi per oltre 562 mila euro. I contributi (52.674 euro) tappano solo in parte il buco. 

In perdita anche la coop Beppe Montana, 92 ettari di frutteto confiscati ai clan siciliani a Lentini (Siracusa): chiude il 2023 con una perdita d’esercizio di 40.919 euro. Ha incassato 171.314 euro dalle vendite (soprattutto arance biologiche). Ma senza i 50.403 euro di contributi (quasi un terzo del totale) il rosso del bilancio avrebbe sfiorato una cifra a cinque zeri. I costi schizzano a 309.510 euro, con spese per il personale che superano i 127 mila euro per dieci dipendenti. Nonostante i 116.079 euro di liquidità in cassa, la cooperativa non riesce a chiudere in pareggio. Il patrimonio netto, 356 mila euro, regge solo grazie alle riserve accumulate negli anni. Ma quanto può durare? Nel cuore della Sicilia, a San Giuseppe Jato (Palermo), opera invece la coop che porta il nome del sindacalista ammazzato dalla mafia a Corleone, la Placido Rizzotto. Anche in questo caso i numeri del bilancio 2023 sono negativi: 127.499 euro di perdita netta, in linea con un sistema che resiste più per il simbolo che per la sostenibilità economica. Il valore della produzione ammonta a 906.611 euro, di cui 662.732 dalle vendite (vino e grano duro) e 164.299 da contributi: vuol dire che il 18 per cento del fatturato dipende da un doping che aiuta la coop a sopravvivere. I costi complessivi sfondano quota un milione di euro, con la voce per il personale che pesa per 494.405 euro: 23 dipendenti per un’azienda che, conti alla mano, spende quasi quanto produce. Ha una liquidità di 540.173 euro, ma anche debiti per 643.310 euro. 

Sempre a San Giuseppe Jato c’è la coop Pio La Torre, dedicata al sindacalista e deputato assassinato da Cosa nostra. Il bilancio 2023 è una caporetto: 131 mila 227 euro di perdita netta. Con debiti saliti fino a 421 mila euro. Il giro d’affari è modesto: 250.869 euro di ricavi da vendite (uva, pomodori e legumi), più 75.124 euro di contributi, senza i quali, con i costi di produzione che corrono verso i 500 mila euro (il doppio rispetto agli incassi di mercato), sarebbe finita a gambe all’aria. A Castelvetrano di Trapani le cose all’apparenza vanno meglio. Ufficialmente la cooperativa Rita Atria, intitolata alla testimone di giustizia che si tolse la vita dopo la strage di via D’Amelio, ha chiuso il 2023 in utile: +5.337 euro. Ma basta sfogliare le altre voci del bilancio per capire che in cassa ci sono appena 3.464 euro, mentre i debiti totali sono a quota 329.696. Anche qui quasi un terzo del fatturato (233.500 euro) è garantito da contributi (98.053 euro). Mentre i costi ammontano a 338.469. 

Si regge su una gamba sola, quella dei contributi, anche la coop che porta il nome del giudice ragazzino Rosario Livatino. Il bilancio 2023 certifica una perdita netta di 37.513 euro, ma il dato più allarmante è altrove: su 150.772 euro di produzione (grano, legumi e uva da mosto), solo 17.396 provengono da ricavi da vendite. Meno del 12 per cento. Il resto? 92.018 euro di contributi. Un modello a sussistenza assistita. La struttura è minuscola: due dipendenti, che costano quasi 80 mila euro. Troppo per un micro fatturato (e anche rispetto alle spese per i dipendenti delle altre coop). 

Sembra non andare meglio in Campania, dove, a Castel Volturno, la coop don Peppe Diana, il parroco ucciso dalla camorra, chiude il 2022 (ultimo bilancio disponibile alla Camera di commercio) con 50.449 euro di perdite. Il totale del valore della produzione (mozzarella e ricotta di bufala) da 728.156 euro non basta a coprire costi che arrivano a 774.865 euro. La voragine si apre soprattutto su due voci: quasi 376 mila euro per le materie prime e 200 mila per i 14 dipendenti. Se non fosse per i 102.592 euro di contributi, la perdita avrebbe sfondato il tetto dei 150 mila euro. La dimostrazione che a presidio dei beni confiscati è rimasta solo la retorica. 

Autore
Panorama

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