Liberi da cosa? Il 25 aprile e la resistenza che ci manca
- Postato il 25 aprile 2025
- Attualità
- Di Paese Italia Press
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di Francesco Mazzarella
Il 25 aprile, ogni anno, l’Italia si ferma per ricordare la Liberazione dal nazifascismo. È la festa della Resistenza, delle donne e degli uomini che, tra il 1943 e il 1945, lottarono contro l’oppressione, spesso a costo della vita. Ma a distanza di 80 anni, ci siamo mai chiesti: “Liberi da cosa, oggi?”. La domanda non è retorica, e risuona con forza se accostata alle recenti parole di Papa Francesco, che parlano di “guerre a pezzi”, di “colonialismi mascherati” e di “coscienze anestetizzate”.
Il 25 aprile non è solo un anniversario da celebrare, ma un appello alla memoria viva. Non basta sfilare con bandiere e cantare “Bella ciao”: la Resistenza non è un pezzo di storia finito in un museo, ma un’energia ancora necessaria in un mondo che cambia volto ma non smette di opprimere.
Il 25 aprile 1945, l’Italia settentrionale insorse contro l’occupazione nazista e il regime fascista. Fu l’inizio della fine. A Milano, Torino, Genova, i partigiani presero il controllo delle città, liberandole prima dell’arrivo delle truppe alleate. Quel giorno segnò l’inizio di una nuova Italia, democratica e repubblicana, fondata sulla Costituzione nata proprio da quella Resistenza.
Per questo, ogni anno, il 25 aprile si celebra come Festa della Liberazione. È la festa della libertà conquistata, della dignità ritrovata, della democrazia costruita sulle macerie di una dittatura. Non è una festa “di parte”, ma la radice comune di un Paese che, nel dopoguerra, ha cercato di unire Nord e Sud, operai e imprenditori, credenti e non credenti in una nuova comunità nazionale.
Papa Francesco, in diversi interventi recenti, ha fatto eco — forse inconsapevolmente — al senso profondo del 25 aprile. Parlando della guerra, della povertà crescente, dell’indifferenza verso i migranti e della “cultura dello scarto”, il Papa invita a una resistenza interiore e collettiva. Le sue parole sono un invito a liberarsi da nuove forme di oppressione: la dipendenza dal consumo, l’idolatria del profitto, la chiusura verso l’altro.
Nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, ad esempio, ha detto:
“Abbiamo bisogno di una nuova architettura della pace, fondata sulla giustizia, sulla verità e sulla fraternità. Nessuna pace è vera se esclude, se divide, se schiaccia.”
Queste parole, lette il 25 aprile, ci spingono a chiederci: stiamo ancora costruendo quella pace? O ci siamo semplicemente seduti, credendo che una firma su un trattato bastasse?
Oggi, la parola “libertà” è sulla bocca di tutti, ma spesso svuotata di senso. Libertà di consumo, di espressione, di movimento: tutto vero, tutto giusto. Ma quanta libertà è davvero tale se non si accompagna a giustizia sociale, partecipazione, responsabilità? La Resistenza ci ha insegnato che la libertà si conquista, non si compra. Che è un cammino collettivo, non una conquista individuale.
Papa Francesco lo ricorda spesso, parlando della libertà interiore, quella che ci rende capaci di scegliere il bene anche quando è scomodo. Quella che ci libera dal nostro ego e ci apre al prossimo, alla comunità, alla verità. Ecco perché il suo pensiero si incrocia con quello dei partigiani: entrambi ci dicono che la vera libertà ha un prezzo, ed è la coerenza.
Chi sono oggi i nuovi resistenti? Non portano fucili in montagna, ma lottano contro mafie, povertà educativa, inquinamento, solitudine. Sono insegnanti che educano al pensiero critico, medici che curano anche senza profitto, volontari che accolgono chi fugge dalle guerre. Sono anche giovani che scendono in piazza per difendere la terra, e attivisti che si battono per i diritti umani.
Eppure, questi “nuovi partigiani” spesso sono soli, attaccati, ignorati. Il Papa li chiama “artigiani di pace”, e li invita a resistere nella tenerezza, nell’incontro, nella denuncia profetica.
“Non si può costruire un mondo nuovo con le mani in tasca”, ha detto in una recente udienza.
E allora viene da chiedersi: noi, cittadini del 2025, siamo davvero parte di questa Resistenza? O assistiamo passivamente alla deriva?
Il 25 aprile ci consegna anche un altro tesoro: la Costituzione italiana. Frutto diretto della Resistenza, essa afferma nei primi articoli la centralità del lavoro, della solidarietà, dell’uguaglianza. È, per certi versi, un “vangelo laico”, che unisce credenti e non credenti sotto la bandiera della dignità umana.
Papa Francesco, parlando ai giuristi, ha ricordato che “la legge non è solo tecnica, ma è vocazione alla giustizia”. Lo stesso spirito anima la Costituzione del 1948. Difenderla oggi non significa solo impedire riforme pericolose, ma viverla, incarnarla, renderla presente nei luoghi in cui la democrazia si spegne: le periferie, le scuole abbandonate, le carceri, i centri per migranti, i territori inquinati.
La festa del 25 aprile ci ricorda quanto sangue è costato il diritto di parlare, votare, scegliere. Ma anche quanto sia fragile questa libertà. Non basta averla conquistata una volta: va rinnovata ogni giorno. Come diceva Sandro Pertini:
“Dietro ogni articolo della Costituzione stanno centinaia di giovani morti nella Resistenza.”
E oggi, dietro ogni articolo non difeso, rischia di tornare l’ombra della disuguaglianza, dell’autoritarismo, della paura.
In fondo, tra le parole del Papa e quelle dei padri costituenti c’è una sintonia profonda: l’idea che la libertà non sia egoismo ma dono; non arbitrio ma responsabilità; non fuga ma impegno. Che la pace non sia assenza di guerra, ma presenza di giustizia.
Il Papa parla ai cuori e alle coscienze. Il 25 aprile parla alla memoria e alla storia. Insieme, possono diventare una forza di cambiamento reale. Ma solo se lasciamo che quelle parole — del Vangelo e della Resistenza — non restino nei libri, ma diventino carne, vita, azione.
La festa del 25 aprile non è finita. Ogni volta che scegliamo l’indifferenza, muore un po’ di Resistenza. Ogni volta che restiamo zitti davanti a un’ingiustizia, perdiamo un pezzo di libertà. Le parole del Papa, accese di Vangelo e umanità, ci ricordano che siamo ancora in tempo. Ma serve coraggio. Serve scegliere da che parte stare. Anche oggi. Anche senza una guerra dichiarata.
Forse la domanda vera non è “perché festeggiare il 25 aprile”, ma: siamo ancora capaci di lottare per qualcosa che non sia solo nostro?
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