Liberi di volere

  • Postato il 25 giugno 2025
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  • Di Il Vostro Giornale
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pensiero altro 25 giugno 2025

“Chiunque è povero di pensiero crede che la volontà sia l’unico principio agente: volere sarebbe qualcosa di semplice, il dato per eccellenza inderivabile, e intelligibile in sé”; si tratta dell’incipit dell’aforisma 127 della Gaia scienza di Friedrich Nietzsche. La questione posta dal pensatore tedesco può apparire criptica, per alcuni addirittura assurda, per altri di interesse circoscritto ai soli specialisti di settore, in realtà riguarda ognuno di noi in ogni momento della nostra giornata; proviamo a ripercorrerla come “itinerario alternativo” con le specificità leggere di un pensiero “altro”. Lasciamo a margine quanto è stato già scritto al riguardo da critici e specialisti e proviamo a osservare l’intero passo nietzscheano come “chiave e grimaldello” per aprire o, nel caso opponesse eccessiva resistenza, scardinare l’ingresso al luogo comune che reputa la volontà individuale come strumento di libertà, come sorgente spontanea del nostro agire, come rivelazione della nostra natura più intima. Intanto è bene precisare che è generalmente accettato che volontà e istinto siano spesso in contrapposizione, insomma, ciò che “naturalmente” voglio non sempre coincide con ciò che è “giusto” volere, o meglio, ciò che reputo essere bene che voglia in base a categorie etiche che corrispondono ai fondamenti della civile convivenza umana. In altre parole, desiderare per la propria soddisfazione, più o meno animale, è profondamente diverso dal volere ciò che è “buono”, sia per il singolo che per la sua necessaria collocazione nella specie. Mi torna alla mente un saggio, se non ricordo male, di Assagioli, nel quale si utilizzava l’espressione “volontà sapiente”, un io voglio razionalizzato da contrapporre a quello istintuale, la motivazione era molto logica: poiché tentare di ostacolare pulsioni congenite con un divieto, un “non si deve”, può essere sia perdente che pericoloso, sarà opportuno ricorrere alla “volontà sapiente” in grado di gestire strategicamente le suddette pulsioni guidandole verso i fini etici elevati dell’interesse collettivo. In sé potrebbe apparire come un compito pedagogicamente encomiabile, personalmente vi leggo i pericoli di quella che Hegel definiva “astuzia della ragione”.

Nonostante non abbia mai amato la filosofia hegeliana, devo riconoscere all’autore una rigorosa coerenza argomentativa, infatti la sua astuta ragione trascende l’individuo che diviene “funzionale termite per l’interesse superiore del termitaio”, se mi è permesso il parallelismo. All’interno di una simile logica è necessario subordinare l’eventuale volontà del singolo al superiore interesse del sistema che, in cambio, gli garantirà benessere e sicurezza; stiamo evidentemente celebrando la superiore esistenza dello Stato, la fenomenizzazione della perfezione divina. La sua apparentemente contrapposta caratterizzazione la si può riconoscere ancor meglio come evoluzione nella formulazione marxiana, l’astuzia della ragione smette le forme divine per indossare le sembianze del popolo più umile, nel nome del quale, lo stesso, deve essere “rieducato” poiché da solo incapace di sapersi realizzatore del proprio benessere. Ebbene, una volta adeguatamente plasmato, una volta che ciò che non riusciva a comprendere come proprio interesse diverrà l’unica forma di pensiero di cui sarà capace, solo allora, come ci spiega Marx nella sua Critica al programma di Gotha, pur con interessanti riflessioni sulle particolarità di ogni singolo individuo, sarà possibile evitare di imporre ciò che ognuno si sentirà in dovere di fare “per volontà propria”. In questa prospettiva è quasi più onesta l’astuzia hegeliana che intende raggiungere i “propri” fini che non quella marxiana che sostiene di perseguire quelli del “popolo liberato”. Ma è tempo di tornare alla nostra popsofia.

Il tema posto da Nietzsche si può riproporre in questo modo: possiamo a ragion veduta sostenere che ciò che vogliamo sia davvero ciò che comunemente si crede di volere? Per ricorrere alle sue parole: “La volontà è per lui (il povero di pensiero dell’incipit) una forza agente in maniera magica: la fede nella volontà, in quanto causa di effetti, è la fede nelle forze magicamente agenti”. Il pensiero hegeliano, marxiano, cristiano, con i dovuti distinguo, rimanda comunque a un “qualcosa di superiore” al quale rivolgersi e del quale assecondare la volontà, in nome di un bene superiore al quale le nostre povere menti non sarebbero in grado di accedere. Resta il fatto che i vari profeti, portatori del messaggio superiore a noi poveri abitanti del quaggiù, siano comunque esseri umani, componenti della stessa mediocrità, solo fortunati fruitori del messaggio più alto. In fondo l’aspetto scientificizzato e modernizzato di queste differenti religioni ha assunto i tratti della più elegante e raffinata psicologia contemporanea; il dio non sempre esplicitato, che Nietzsche disvela, ha ora numerosi profeti che, sempre nel nome del più alto fine del benessere collettivo e individuale, insegnano come controllare impulsi di breve respiro al fine di perseguire e raggiungere obiettivi più alti. Ciò che sarà bene volere dovrà misurarsi con elementi complessi, la coscienza, le emozioni, l’istinto, la propria natura. Il nostro agire dovrà essere illuminato dalla folgorante consapevolezza di essere diretti a un obiettivo che dovrebbe regalarci la felicità controllando le componenti irrazionali che ci distrarrebbero dal compito che, per altro, dovremmo imparare a riconoscere come corretto. Mi sembra opportuno riprendere l’argomentare dell’aforisma 127 che denuncia quanto “il volere è soltanto un meccanismo così perfetto nel funzionamento che quasi sfugge all’occhio dell’osservatore”. Davvero ciò che voglio è ciò che voglio? Davvero ciò che dovrebbe permettermi di accedere alla felicità mi conduce alla “mia” felicità?

Le ultime righe dell’aforisma precisano che “soltanto negli esseri intelligenti esiste piacere, dispiacere e volontà: la stragrande maggioranza degli organismi non ha niente di tutto questo”! Questo potrebbe significare che, se riuscissimo a rinunciare all’intelligenza che ci rende peccatori, devianti, trasgressivi, se imparassimo a essere perfettamente funzionali a un sistema autocoservativo, potremmo non incontrare più gran parte delle difficoltà delle contraddizioni, della fatica di vivere che caratterizza l’esistenza di chi non riesce a essere perfettamente integrato nel “sistema di una volontà superiore”. Ci troviamo, ancora una volta, di fronte all’imprescindibile momento nel quale l’uomo si crea come tale raccogliendo la sfida, la possibilità di scegliere, di staccarsi dal perfetto anonimato del meccanismo di una forza superiore, che sia volontà, ragione astuta, ordine dello Stato, in fondo, secondo la nostra prospettiva, non fa differenza, per assumersi la dionisiaca libertà di una volontà individuale, il peccato originale, la neonata volontà di potenza da intendersi, lo sottolineo, libera, cioè non condizionata dal doversi esercitare nei confronti di altri che non sia il soggetto nell’atto dell’auto determinazione. È l’atto di conficcare lo sguardo profondo nel proprio abisso, il baratro affascinante di una vita vissuta in prima persona, di raccogliere la sfida, assaporare la paura delle profondità che andremo a incontrare, di accompagnarsi al coraggio che sarà il nostro doppelganger capace al sorriso che ci accompagnerà fino a che saremo capaci di una liberatoria risata in faccia a qualunque cedimento, a qualsiasi sconfitta che vorrebbe riproporci la rinuncia, la delega a altro del nostro sacro diritto alla vita. Non è un caso che, unico al mondo, l’animale che parla è in grado di produrre arte che, nella sua forma più alta, è la consapevolezza libera e liberatoria di aver diritto di vivere come vuole. Afferma l’amico Gershom: “L’arte salverà il mondo a patto che ogni uomo si sappia naturalmente artista, mosso dalla brama di una bellezza superiore che lo abita, libero dalle sabbie mobili del compenso, del riconoscimento, del successo. Assassino, giudice e santo, genitore e figlio di sé in ogni istante”

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì. Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli.

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Il Vostro Giornale

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