Liberiamo i bambini dagli smartphone

  • Postato il 12 ottobre 2025
  • Di Panorama
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Torna prepotente la voglia di analogico. Il vento è cambiato. Sta avanzando un’armata di genitori, che in mano brandiscono la loro Bibbia, ossia il libro di Jonathan Haidt, La generazione ansiosa (chi non sa di cosa si stia parlando non può fregiarsi dell’appellativo di genitore). Madri e padri che hanno creato veri e propri movimenti come Smartphone free childhood, The balance project, Fairplay e Screen time action network. Potenti coalizioni che si muovono compatte dalla Francia all’Inghilterra (i più battaglieri), dagli Stati Uniti – pronte oceaniche class action contro tutta la Silicon Valley – fino al Brasile. È come se si fosse lacerato il velo del tempio: ora il bambino che gioca con il tablet sul passeggino, invece che trastullarsi con le apine, non fa affatto ridere, ma angoscia.

Genitori consapevoli e pediatri allarmati

D’altronde sono anni che i pediatri raccontano di visitare neonati tenuti buoni sul lettino da mamme che li gingillano con il telefonino. E di incontrare donne che allattano con il cellulare in mano. Secondo i dati inglesi, un bambino di sette anni su tre possiede uno smartphone. A 13 anni lo ha il 97% degli adolescenti. Eppure i genitori ancora si giustificano, dicendo che non avrebbero voluto darglielo, ma la pressione sociale non era sopportabile.

I Patti digitali e la rivoluzione dal basso

Dopo l’esplosione tecnologica del “coronacene”, molto ha iniziato a muoversi. Come spiega Stefania Garassini, docente dell’Università Cattolica di Milano e membro del direttivo dei Patti digitali, il movimento che dal basso in Italia sta cambiando il sistema: «Nel 2021 è nata la rete dei Patti digitali con lo scopo di promuovere la nascita e lo sviluppo di accordi di comunità per l’uso della tecnologia su tutto il territorio nazionale».

L’idea è partita da Gemona del Friuli e Vimercate: genitori che si sono uniti per decidere insieme quando regalare lo smartphone ai figli. Non più alla Prima Comunione, ma dopo la seconda media; per i social, solo dopo i 16 anni. Oggi esistono 142 patti attivi, 23 in attuazione, 16 regioni coinvolte e oltre 7.000 famiglie.

Il ritorno al mondo reale

Per supplire alla tecnologia si torna al magico mondo analogico: camminate detox, giochi all’aperto, serate con i nonni, incontri sul parental control. A Ponte nelle Alpi viene rilasciato un patentino digitale; a Bagno a Ripoli weekend di laboratori e sport; in Puglia spettacoli teatrali per sensibilizzare.

Ada Gianfreda, dell’associazione Il telefono senza fili, riflette: «Fare rete e supportarsi aiuta, da soli è impossibile farcela». Si riscopre così la comunità che educa.

Leggi e divieti: la stretta sugli smartphone a scuola

In America due terzi dei genitori sostengono le scuole “phone-free”. In Italia le circolari del ministro Valditara vietano l’uso del telefono nelle scuole di ogni ordine e grado. In Parlamento, Lavinia Mennuni (FdI) e Marianna Madia (PD) propongono una legge per alzare l’età minima di accesso ai social a 15 anni, come in Francia.

L’esempio dei Paesi esteri

L’Australia vieta i social prima dei 16 anni. In Inghilterra, la leader del movimento “no phone” è Sophie Winkleman, alias Lady Frederick Windsor, cugina di Re Carlo III. «L’impatto sulla salute mentale e fisica dei bambini è immenso – afferma –. È impossibile rendere i device sicuri per i nostri figli».

Le conseguenze invisibili

Dopo anni in cui lo smartphone era la baby-sitter perfetta, ora fa paura. Adescamenti online, cyberbullismo, challenge pericolose, obesità, disturbi dell’attenzione, alienazione. Strumenti complessi, creati da adulti per adulti, finiscono nelle mani dei bambini.

Nuove dipendenze digitali

Molti genitori temono che negare lo smartphone porti all’esclusione sociale. «Bisognerebbe lavorare su strumenti adatti alla preadolescenza» afferma Marco Gui, sociologo dei media alla Bicocca. E avverte: «Stanno emergendo nuove tecnologie come le app di IA e i chatbot conversazionali. Non sappiamo che effetto avranno sui bambini».

Una “mente da cavalletta”

Lo psicoanalista Franco De Masi, autore di No Smartphone (Piemme), aggiunge: «Molti genitori non partecipano alla vita dei figli. L’uso compulsivo del cellulare crea una disattenzione perenne. Il cervello si abitua a continui stimoli: è una “mente da cavalletta”, che non si ferma mai».

Il ritorno del telefono fisso e del “dumbphone”

Si pensa di rimettere il telefono fisso a casa. Tornano le chiamate, i sussurri alla cornetta e perfino il dumbphone, il “telefono scemo” solo per chiamate e messaggi. Lo rilancia persino Kendrick Lamar in un’edizione limitata.

Educare, non vietare

«La tecnologia non è il problema – conclude il sociologo – va solo inserita nel rapporto con i figli». Ma i detrattori restano, e considerano qualsiasi limitazione antistorica.

Un cambiamento possibile

Marco Grollo, fondatore dell’associazione MEC, racconta: «Nel 2018, a Gemona, il primo patto ridusse gli smartphone in prima media dal 70% al 37%. Se gli adulti si accordano, il risultato c’è».

La ricerca Eyes Up (2024) dell’Università di Milano-Bicocca e di Brescia dimostra che chi usa i social alle medie ottiene risultati scolastici più bassi. Oltre metà dei ragazzi controlla il telefono appena sveglio, il 22% anche di notte.

Grollo conclude: «Alla fine degli anni ’80 i professori fumavano in classe. Oggi sembra fantascienza. È un lavoro culturale. Vietare gli smartphone nei parchi pubblici non sarebbe impossibile. L’80% dei problemi alle medie sparirebbe senza cellulare».

Autore
Panorama

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