Lidia Ravera e il comandamento "Non desiderare la roba d’altri"

  • Postato il 11 ottobre 2025
  • Di Il Foglio
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Lidia Ravera e il comandamento "Non desiderare la roba d’altri"

Ideata dalla produttrice Gloria Giorgianni per Rizzoli, c’è in giro una collana di romanzi brevi dedicata ai 10 comandamenti, assegnati ognuno a una scrittrice diversa per stile, gloria e generazione, da Dacia Maraini a Veronica Raimo, da Camilla Baresani a Teresa Ciabatti, da Ritanna Armeni a Viola Di Grado a Ilaria Gaspari a Federica Bosco e al promettente esordio nella narrativa della saggista femminista Jennifer Guerra che, nata nel 1995, è la più giovane del gruppo. Però ne ho nominate soltanto 9, e la decima? La decima, che chiude la serie ispirandosi al comandamento Non desiderare la roba d’altri, è Lidia Ravera che ha scritto con "Più dell’amore" un racconto capace di toccare corde dissonanti, dall’intimismo da storia d’amore alla suspense da libro giallo, dal realismo cui ci ha abituati a una piacevolissima - inedita in lei - nota onirica.

 

E’ la storia di una giovane coppia, Betta e Tom, insomma non proprio giovanissima, si tratta di due quarantenni, un po’ infantili questo sì, che non sanno dove sbattere la testa. Lei attrice, lui pure si muove nel mondo del cinema senza aver combinato molto rispetto alle iniziali ambizioni, anzi – per dirla con Betta – avendo fallito su tutta la linea. Sono pieni di debiti, anche col fruttivendolo. Non resta altro, a lui, di tornare da mamma, a lei di fantasticare sul possibile uso strumentale della propria bellezza. A volte è quando si tocca il fondo che succede l’imprevisto, che compaiono gli angeli. E a Betta ne compare uno, una sera in un bar, che ha le sembianze di un vecchio signore, vedovo, ancora abbastanza bello, soprattutto elegante e chiaramente ricco. Le offre una cena, le regala dei soldi, la invita a casa, una casa da mille e una notte, zeppa di opere d’arte attaccate ai muri. Vuole fare sesso con lei? Si è semplicemente innamorato della sua avvenenza e si accontenta di guardarla? Ma non le chiede nemmeno di spogliarsi - e Betta è talmente riconoscente che lo farebbe senz’altro, lo farebbe per ricambiarlo nell’unico modo che ha. Ma no, lui la interroga, la sta ad ascoltare, l’ammira in silenzio. Lei invece ammira tutto quello che lui possiede con superficiale noncuranza. Ma Betta non è noncurante, è una creatura povera che vorrebbe un po’ di quella ricchezza, soltanto un po’, e allora un giorno…

 

Ravera è una romanziera esperta, sa creare nel lettore il desiderio vertiginoso di sapere come andrà a finire la storia. Ed è abbastanza crudele da non contentarsi d’un lieto fine. Qui il finale è fantasmatico come tutto ciò che è accaduto nelle pagine del racconto (poco più di 100) e al lettore resta da chiedersi: ma è successo davvero tutto ciò che mi ha portato fin qui, fino alla lettera conclusiva del vecchio signore alla sprovveduta giovane donna? E la lettera vuole essere un insegnamento? E che diritto ha un uomo così ricco di insegnare a una bella ragazza povera a “non desiderare la roba d’altri”? Che sia davvero un angelo vendicatore?

 

E comunque così raccontando, Ravera ha svolto il suo compito: illustrare il decimo comandamento. Ma l’ha fatto mettendolo sottilmente in dubbio. Chi è il più colpevole: chi è tanto ricco da non avvertire il peso dell’essere generoso, o chi non ha nulla e sottrae qualcosa a chi ha tutto?

 

Senza dare lezioni esplicite, giocando su un crinale letterario che la porta lontano da ciò che ha scritto prima di  Più dell’amore, ed evocando persino un fantasma borgesiano, ma senza dare nell’occhio, e senza strizzarlo soprattutto, Lidia Ravera cambia direzione rispetto a ciò che un lettore si aspetta da lei, riprende un tema che le è molto caro, giovinezza e vecchiaia, per rimescolare le carte del suo lungo lavoro di narratrice, e sorprendere. E cosa si può chiedere di più a uno scrittore se non la capacità di sorprenderci? 

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Autore
Il Foglio

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