L’inquinamento atmosferico aumenta il rischio di obesità e diabete: lo studio su topi esposti al PM2.5

  • Postato il 14 ottobre 2025
  • Scienza
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Continuiamo ad accumulare sempre più prove che l’inquinamento atmosferico non è solo dannoso per i nostri polmoni e il nostro cuore, ma gioca anche un ruolo significativo nello sviluppo di disturbi metabolici come la resistenza all’insulina e il diabete di tipo 2. A fare luce su questa associazione ancora poco esplorata è stato un nuovo studio co-diretto da Francesco Paneni, professore presso il Centro di Cardiologia Traslazionale e Sperimentale dell’Università di Zurigo (UZH) e dell’Ospedale Universitario di Zurigo (USZ), e Sanjay Rajagopalan, professore presso la Case Western Reserve University di Cleveland.

L’obiettivo dei ricercatori è quello di comprendere meglio come l’esposizione a lungo termine a inquinanti atmosferici fini possa influire sulla capacità dell’organismo di regolare la glicemia e mantenere la salute metabolica. Gli studiosi si sono concentrati su un tipo specifico di inquinamento noto come PM2.5, cioè minuscole particelle sospese nell’aria di dimensioni inferiori a 2,5 micrometri che possono essere inalate in profondità nei polmoni. Per il loro studio, i ricercatori hanno esposto topi da laboratorio ad aria filtrata o a PM2.5 concentrato per sei ore al giorno, cinque giorni alla settimana, per un periodo di 24 settimane. Questa configurazione è stata progettata per imitare da vicino l’esposizione urbana cronica negli esseri umani. Particolare attenzione è stata rivolta al tessuto adiposo bruno, un tipo speciale di grasso che aiuta l’organismo a generare calore e bruciare calorie, e che quindi svolge un ruolo chiave nel bilancio energetico e nel metabolismo del glucosio.

Dopo un periodo di esposizione di circa cinque mesi, i topi che hanno inalato PM2.5 hanno mostrato segni di alterazione del metabolismo, tra cui una ridotta sensibilità all’insulina. Ulteriori esami hanno rivelato che la funzione del tessuto adiposo bruno era stata significativamente alterata. “In particolare, abbiamo scoperto – afferma Paneni – che l’espressione di importanti geni nel tessuto adiposo bruno che regolano la sua capacità di produrre calore, elaborare i lipidi e gestire lo stress ossidativo, era alterata. Questi cambiamenti erano accompagnati da un aumento dell’accumulo di grasso e da segni di danno tissutale e fibrosi all’interno del tessuto”.

I ricercatori hanno poi esaminato i meccanismi alla base di questi cambiamenti, scoprendo che l’inquinamento atmosferico aveva innescato cambiamenti significativi nella regolazione del DNA nelle cellule adipose brune. Tra questi, modifiche nei modelli di metilazione del DNA e cambiamenti nella capacità di alcuni geni di essere attivati ​​o disattivati, un processo noto come rimodellamento della cromatina. Questi cambiamenti epigenetici influenzano il funzionamento delle cellule regolando l’attività genica senza alterare il codice genetico stesso. I ricercatori hanno identificato due enzimi come principali motori di questo processo: HDAC9 e KDM2B. Questi enzimi sono coinvolti nella modifica degli istoni, le proteine ​​attorno alle quali si avvolge il DNA. È stato scoperto che si legano a regioni specifiche del DNA nelle cellule del tessuto adiposo bruno dei topi esposti a PM2.5, portando a una riduzione di “tag chimici” chiave, o gruppi metilici, che normalmente promuovono l’attività genica. “Quando questi enzimi sono stati soppressi sperimentalmente, la funzionalità del tessuto adiposo bruno è migliorata, mentre l’aumento della loro attività ha portato a un ulteriore declino del metabolismo”, sottolinea Paneni.

Lo studio dimostra che l’esposizione prolungata all’inquinamento atmosferico fine può compromettere la salute metabolica, alterando la normale funzione del tessuto adiposo bruno. Questo avviene attraverso complesse alterazioni nella regolazione genica, controllate da meccanismi epigenetici. “I nostri risultati aiutano a spiegare come gli inquinanti ambientali come il PM2.5 contribuiscano allo sviluppo di insulino-resistenza e malattie metaboliche, e indicano nuovi potenziali obiettivi per la prevenzione o il trattamento”, conclude Paneni.

di Valentina Arcovio

LO STUDIO

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