L’Intelligenza artificiale? Occuperà anche il nostro tempo libero: Meta punta sulla AI ‘da compagnia’

  • Postato il 6 agosto 2025
  • Tecnologia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Non più (e non solo) un algido assistente virtuale che scrive e-mail o riassume documenti. Ma un amico fidato che prova a comprenderti: con l’obiettivo – a seconda del modello – di consigliare o intrattenere. È la prossima frontiera della corsa allo sviluppo dell’intelligenza artificiale: parola di Mark Zuckerberg. Il traguardo doveva essere l’AGI (che sta per “intelligenza artificiale generale”): su carta, un algoritmo in grado di replicare il funzionamento della mente umana. È l’incipit ideale per un libro di fantascienza. Ma nel secolo dell’IA, in cui tutto sembra possibile a scienza e tecnologia, il punto non è più tanto se ci si arriverà o meno, bensì quando. E soprattutto chi taglierà la linea d’arrivo per primo, ora che la competizione si è allargata anche a competitor cinesi e la risposta, naturalmente, si è caricata di implicazioni geopolitiche.

Queste sigle servono a decifrare l’alfabeto dell’IA. E fanno tutta la differenza del mondo. L’AGI non riuscirebbe, infatti, a sviluppare una coscienza di sé (come potrebbero immaginare i più fantasiosi). Un algoritmo “consapevole di sé” costituisce uno step ulteriore all’AGI nella scala evolutiva dell’IA: l’ASI, che sta per “artificial super intelligence”. Per ora i sistemi più diffusi – e commercializzati da Big Tech – sono “semplici” modelli di linguaggio avanzato (ANI), che si limitano ad emulare l’intelligenza umana. Ma non capiscono né “pensano” davvero. Sull’orizzonte temporale delle evoluzioni previste si sono sprecati annunci e pronostici di ogni segno. Tuttavia, al netto delle speculazioni, ad oggi la maggior parte degli esperti considera l’AGI un obiettivo alla portata dell’essere umano.

E Big Tech gioca al rialzo, come ha sempre fatto. Tutte le corporazioni impegnate sul fronte dell’innovazione corrono verso l’intelligenza artificiale generale, è un fatto assodato. Ma ogni conglomerato ne prevede utilizzi diversi, in linea con il proprio business. Open AI, in tandem con Microsoft, vuole trasformare Chat GPT – di aggiornamento in aggiornamento – in un super assistente in grado di coadiuvare il lavoratore ed incrementarne esponenzialmente la produttività. Google invece, coerentemente con la sua natura di motore di ricerca, punta allo sviluppo di un’AI enciclopedica.

E Meta? Dapprima ha tentato di competere con Open AI sul suo stesso terreno, raccogliendo risultati modesti e persino una disputa con l’antitrust per aver inserito “a forza” la propria IA su Whatsapp senza richiedere l’approvazione dell’utente. Poi Zuckerberg ha comandato il dietrofront. E a margine di un’intensa sessione di brainstorming con i suoi ingegneri ha dettato nuove priorità scritte in un documento divulgato attraverso il blog ufficiale di Meta il 30 luglio 2025. Nel comunicato, che appare come una sorta di “manifesto” dell’imprenditore, Zuckerberg traccia i fondamenti del futuro che immagina per la rivoluzione industriale in corso. Gli algoritmi devono anzitutto fare compagnia, intrattenere: non un modello come Chat GPT, insomma, ma “un’intelligenza superpersonale che ci conosce a fondo”. I luogotenenti dell’imprenditore hanno assimilato il cambio di marcia e mutuato nuove parole d’ordine, da diffondere in azienda: “Dobbiamo differenziarci qui, evitando di concentrarci ossessivamente sulla produttività, come fanno Anthropic, OpenAI e Google,” ha riferito il CPO di Meta, Chris Cox, durante una riunione aziendale. “Ci concentreremo sull’intrattenimento, sulla connessione con gli amici, su come le persone vivono le loro vite, su tutte quelle cose in cui siamo unici.”

Il conglomerato ha già lanciato diverse iniziative (alcune ancora in cantiere, altre già a pieno regime) che si incuneano nel solco tracciato da Zuckerberg: AI personas, ad esempio, che consente ai fan più accaniti di stabilire un’interazione con cantanti e attori – o meglio, con delle copie digitali dei loro beniamini – come Snoop Dogg o Kendall Jenner. Come ha detto il CEO di Meta “non si tratta solo di rispondere a domande, ma di intrattenimento”. Poi ci sono progetti ambiziosi e di larga scala che prevedono l’impiego di un visore per la realtà aumentata, come Horizon Worlds: gli utenti possono entrare in ecosistemi virtuali 3d, interagire con altre persone attraverso degli avatar, partecipare ad eventi, giochi e festival digitali. Builder Bots, per certi versi, ne rappresenta la prosecuzione: attraverso comandi impartiti a voce l’utente potrà creare ambienti virtuali personalizzati e su misura (ad esempio, una spiaggia tropicale).

Meta ha investito notevoli risorse nello sviluppo dei Ray-Ban Meta Smart Glasses: un modo per vivere il mondo attraverso l’intelligenza artificiale. Si tratta, infatti, di occhiali smart con l’IA incorporata. La diffusione su larga scala di un prodotto simile potrebbe sancire definitivamente la fusione tra dimensione fisica e digitale: basterà, ad esempio, puntare gli occhi su un edificio per ricevere in tempo reale tutte le informazioni che lo riguardano. Come ha preconizzato Zuckerberg nel suo manifesto: “Dispositivi personali che vedono ciò che vediamo e sentono ciò che sentiamo, saranno i nostri principali computer nel prossimo futuro”. Inoltre, quando su Whatsapp l’utente apre la barra di ricerca, l’applicazione suggerisce prompt (istruzioni) per il bot AI di Meta come “ho bisogno di un consiglio sulle relazioni”: vale a dire richieste anche molto personali che non hanno nulla a che vedere con il lavoro, lo studio o più in generale l’”efficienza” individuale. L’azienda, in poche parole, non cerca di rendere il lavoratore più produttivo: ha messo gli occhi sul nostro tempo libero. Paradossalmente proprio quel tempo (in teoria) sottratto dal lavoro grazie a Chat GPT ed altri modelli orientati alla produttività. Per una vita votata all’algoritmo, sotto il segno della quarta rivoluzione industriale.

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Il Fatto Quotidiano

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