L’Iraq ribolle dopo l’attacco Usa all’Iran: le milizie sciite pronte a colpire obiettivi americani
- Postato il 23 giugno 2025
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di Gisella Ligios
L’attacco di domenica ai siti nucleari iraniani da parte degli Stati Uniti segna un momento di svolta per l’intero Medio Oriente e i Paesi confinanti con la Repubblica Islamica, a partire dall’Iraq. Solo nelle ultime ore, alcuni droni bomba sono precipitati attorno a Erbil, nel Kurdistan iracheno, a chiudere una serie di incidenti simili negli ultimi giorni. L’Iraq, geograficamente esposto agli scambi incrociati di missili fra Iran e Israele, é finora rimasto spettatore di una guerra che rischia di travolgerlo. Da oltre una settimana i suoi cieli sono corridoio per missili da crociera fuori controllo in sorvolo su aree residenziali.
Crescono intanto le tensioni interne al governo del primo ministro Sudani, impegnato a contenere le influenti milizie filo-iraniane pronte ad attaccare obiettivi strategici statunitensi. Inoltre, migliaia di persone, spinte da alcune fra le più importanti figure religiose sciite del Paese, nella giornata di venerdì sono scese in strada a protestare contro l’aggressione israeliana. Con il coinvolgimento diretto di Washington, la situazione avrebbe superato il punto di non ritorno, secondo Ali Al-Mikdam, consulente politico ed esperto di relazioni Iraq-Iran. “Fin dall’inizio del conflitto, l’Iran si è astenuto dallo sfruttare la propria influenza sul petrolio, sulle risorse idriche e sulle milizie alleate, sulla Mezzaluna Sciita e l’Asse della Resistenza. Anche i gruppi filo-iraniani in Iraq sono rimasti inattivi, ma ad una condizione. Questa condizione, che é stata discussa diverse volte con gli americani da rappresentanti dell’alleanza che fa capo a Teheran, stabiliva che non ci sarebbe stato alcun intervento di altre milizie a meno che gli Stati Uniti fossero scesi in campo. Ma dopo la scorsa notte quell’intesa non é più in piedi”.
Alla domanda su quando questi gruppi potrebbero attaccare, Al-Mikdam risponde: “Ora niente più ostacola le milizie dall’entrare nel confronto, in particolare gruppi come Harakat al-Nujaba e Kata’ib Sayyid al-Shuhada. Entrambi dispongono di una notevole scorta di droni e missili, sufficiente ad allargare il conflitto a livello regionale”. Con la linea rossa oltrepassata, aggiunge, “siamo ora sull’orlo di una nuova fase del confronto. Il conflitto é destinato con ogni probabilità ad allargarsi, possibilmente coinvolgendo Yemen, Libano e altri alleati iraniani”.
Il ricercatore spiega il lavoro di diplomazia interna degli ultimi giorni da parte del governo iracheno, in uno scenario politico frammentato. “Ci sono due schieramenti, uno che vuole tenere l’Iraq fuori dalla guerra per ragioni politiche e un altro che invece spinge per un coinvolgimento sulla base di motivazioni religiose e ideologiche”. Non ci sarebbe più margine di manovra per i moderati. “Il primo gruppo poggia ora su basi fragili, con una posizione sempre più insostenibile. Il secondo non ha più nessun ostacolo. Credo che l’Iraq e la Mezzaluna Sciita entreranno gradualmente nel conflitto, seguendo una strategia calcolata e sofisticata”.
Al-Mikdam prospetta uno scenario cupo. “Gli interessi statunitensi in Iraq – civili, militari e diplomatici- verranno colpiti uno dopo l’altro. Ciò comporterà gravi perdite economiche, politiche e diplomatiche per l’Iraq”, ammette il ricercatore secondo cui il conflitto é lontano dal concludersi. “Altre armi colpiranno Israele, mentre l’Iran possiede scorte di armamenti sufficienti a prolungare la guerra per un lungo periodo”. L’unico spiraglio sarebbe uno stravolgimento della posizione di Tel Aviv. “L’Iran non si oppone agli appelli per la de-escalation, al contrario, ma ha bisogno di una garanzia concreta”. Ma aggiunge: “L’unica vera garanzia sarebbe che Israele stesso ponesse fine alla guerra”.
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