Liseno inciampa sulle mascherine

  • Postato il 7 luglio 2025
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Liseno inciampa sulle mascherine

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Negli atti sull’inchiesta sul riciclaggio al San Barbato spunta la finta beneficenza dell’imprenditore Liseno sottoforma di donazione di mascherine durante il covid


POTENZA – La donazione di mascherine a ospedali e associazioni di volontariato durante la fase più calda della pandemia da covid 19? Solo un espediente per evitare la requisizione alla dogana.
C’è anche questa rivelazione negli atti dell’inchiesta per cui martedì scorso sono finiti in carcere l’imprenditore di Lavello Antonio Liseno e altre 6 persone.

A riprova della finta beneficenza di Liseno, che all’epoca gli valse attestati di apprezzamento persino dal leader della Lega Matteo Salvini, gli inquirenti citano una serie di conversazioni intercettate tra l’imprenditore e i suoi uomini di fiducia. Ma anche con l’allora direttore generale dell’Azienda ospedaliera regionale San Carlo, Massimo Barresi, e un dirigente del provveditorato del San Carlo, Nicola Di Chiara, il primario di chirurgia dell’Ospedale Madonna delle Grazie di Matera, Giancarlo Pacifico, e Federica Zaino, segretaria del ministro della Salute, Roberto Speranza.

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LA DONAZIONE DI MASCHERINE DA PARTE DI LISENO SUGGERITA DAL MINISTERO

A “suggerire” all’imprenditore di donare le mascherine bloccate alla dogana sarebbe stata la stessa segretaria del Ministro. Anche se lui, Liseno, all’inizio sarebbe stato ancora convinto di potersene tenere una parte («Tanto io le recupero, non è quello il problema (…) E poi quelle che ho donato le defalco»), confortato da uno dei suoi uomini di fiducia, Marcello Ricci («tanto non penso che poi vanno a controllare, perché tu le stai donando»).

«Gliele vendo, mica gliele regalo (…) tutte e 175 mila, gli do 20 mila alla volta e me le faccio pagare! Le altre ce le prendiamo noi (…) Gliela devo dare in testa la donazione». Questa la “confessione” delle intenzioni di Liseno registrata dagli investigatori della Guardia di finanza.
Seguono le interlocuzioni col dirigente del San Carlo di Potenza a cui Liseno avrebbe chiesto un’attestazione da trasmettere alla segretaria di Speranza per “sbloccare” le mascherine requisite. Attestazione della donazione che sarebbe dovuta risultare antecedente al blocco delle stesse («Dotto’, mi serve, adesso semmai glielo giro su WhatsApp, in data di cinque sei giorni fa, no?»).

MA ALLA FINE LE MASCHERINE VENNERO DISTRIBUITE DALLA PROTEZIONE CIVILE

Stesso concetto ribadito anche a Pacifico («Siccome stanno ferme delle mascherine che posso recuperare io, se vedono che sono per gli ospedali, me le faccio dare e te le do! Abbiamo risolto il problema! Hai capito? Tu mi devi dire, come se fosse già una cosa vecchia! Capito? Non dici che è nata oggi»).

Ottenute le attestazioni richieste, però, stando a quanto verificato dalle Fiamme Gialle Liseno non sarebbe riuscito a rientrare in possesso delle mascherine perché la loro distribuzione a San Carlo, Asm e altri enti destinatari della “donazione” sarebbe stata effettuata direttamente dalla Protezione civile.

In seguito, ad ogni modo, l’imprenditore di Lavello sarebbe riuscito ad aggirare il problema requisizioni disponendo l’invio e lo sdoganamento delle mascherine acquistate in Cina in aeroporti come Amsterdam. Quindi il trasporto su gomma dall’Olanda a Melfi per aggirare i controlli mirati.
A questo punto, però, le Fiamme gialle sarebbero uscito allo scoperto sequestrandone in quantità perché non a norma.

LE ACCUSE DELLA PROCURA

«Deve osservarsi – per avere chiara la dimensione dell’illecito e delle risorse aziendali utilizzate per commettere l’illecito – che il numero di mascherine acquistate da Liseno e correi, quindi, risultate diverse da quelle a norma e, quindi, sequestrate in occasione delle indagini di cui sopra è stato pari ad oltre 8 milioni di pezzi, il numero più alto mai sequestrato in Italia nel periodo pandemico». Così i pm titolari dell’inchiesta su Liseno, Marco Marano, Vincenzo Montemurro e Francesco Curcio, nella loro richiesta di misure cautelari. «Ed a tale numero devono aggiungersi i circa 5 milioni di mascherine commercializzate dal sodalizio».

«Non secondarie – insistono i pm appaiono anche le circostanze relative alle modalità attraverso cui avveniva il rastrellamento di un bene così prezioso e di prima necessità, come le mascherine nel periodo covid, in quanto disvelavano già allora la particolare versatilità e capacità criminale dei suoi protagonisti, il loro cinismo e la mancanza in loro di quel minimo di senso di solidarietà sociale che – almeno in un periodo come quello pandemico – qualsiasi persona, anche di modesto senso etico, normalmente dimostra».

Per le mascherine non conformi Liseno è tuttora a processo a Potenza.
Nell’inchiesta che martedì scorso ha portato al suo arresto, invece, si ipotizzano altri reati collegati, e anche su questi i pm avevano chiesto una misura cautelare.
Il gip, però, ha ritenuto di non vagliare nemmeno gli elementi raccolti dato il tempo trascorso e la fine della pandemia che deporrebbero per l’assenza di esigenze cautelari. A differenza che per quelli sul presunto riciclaggio nel San Barbato Resort dei soldi dei colpi commesse in mezza Italia da alcuni noti rapinatori di Cerignola.

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