L’Italia scala l’Indice dell’attrattività ma è boom di laureati in fuga. E sulla forza lavoro siamo ultimi al mondo
- Postato il 8 settembre 2025
- Economia
- Di Il Fatto Quotidiano
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Al Forum di Cernobbio sono arrivati i numeri della decima edizione del Global Attractiveness Index 2025 (GAI), la ricerca di The European House – Ambrosetti insieme a Philip Morris Italia, Toyota Material Handling Italia e Amazon Italia. L’indice si propone come termometro dell’attrattività di un Paese e misura la capacità di richiamare investimenti, talenti e di sostenere la crescita economica e sociale. Un “ranking composito” che si articola in quattro sotto-indici: Posizionamento (la fotografia attuale), Dinamicità (le tendenze di medio periodo), Sostenibilità (la capacità di restare competitivi) e Orientamento al Futuro (la visione di lungo periodo). E passa al setaccio 146 economie (“escludendo Russia e Ucraina per indisponibilità di dati affidabili”), pari al 94% della popolazione mondiale e al 98% del Pil globale, costruito solo “su dati quantitativi e oggettivi”: niente sondaggio d’opinione, solo numeri certificati ogni anno dal Joint Research Centre della Commissione Europea.
La classifica globale sorride all’Italia, salita dal diciannovesimo al sedicesimo posto nella classifica generale, guadagnando 1,9 punti. A spingere in alto è stato soprattutto l’aumento degli investimenti, arrivati al 22,5% del PIL nel 2023, un record che non si vedeva dal 1990, alimentato prima dal Superbonus e poi dal PNRR. Segnali incoraggianti verrebbero anche dal mercato del lavoro, con 326mila occupati in più tra il 2023 e il 2024 e il risultato storico di oltre 23 milioni di persone al lavoro: “Per la prima volta dalla redazione dell’Indice, nell’edizione 2025 l’Italia performa meglio della Francia in termini di tasso di disoccupazione (6,8% in Italia a fronte di un valore di 7,4% in Francia)”, si legge. In particolare, l’Italia ha fatto passi avanti in alcune macroaree: ventesimo posto per Apertura (+5 posizioni), che misura la capacità di interagire con il mondo esterno e attrarre flussi di capitale dall’estero, sia questo capitale fisico, naturale, umano o sociale. Il miglioramento è attribuibile principalmente alla crescita degli studenti universitari stranieri, mentre nella stessa macroarea peggiora il numero di turisti stranieri in entrata e turisti nazionali all’estero. Confermata la decima posizione per Innovazione, l’Italia è al sessantesimo posto per Efficienza (+4) e al sedicesimo per Dotazione (+2), l’area che misura le risorse fondamentali di un Paese, includendo capitale fisico, naturale e aspetti del capitale umano come l’istruzione, ma anche il grado di dipendenza energetica dai mercati esteri, elemento di criticità per l’Italia.
Le criticità infatti non mancano. L’Orientamento al Futuro resta debole: l’invecchiamento demografico ci mette al 146° posto, ovvero l’ultimo al mondo per popolazione in età lavorativa nei prossimi vent’anni, uno dei “Key Performance Indicator (KPI) della macroarea “Orientamento al Futuro” dell’indice. Anche il miglioramento nel tasso di disoccupazione e il record di occupati, spiega la ricerca, vanno letti in questa prospettiva. A pesare è soprattutto il disallineamento tra formazione e domanda di competenze. Con una spesa pubblica per l’istruzione tra le più basse d’Europa e una percentuale di laureati under 35 penultima nella Ue, il sistema lascia scoperti circa 2,5 milioni di posti, per un costo stimato in 43,9 miliardi l’anno. A questo si aggiunge la fuga dei cervelli: tra il 2014 e il 2023, il numero di laureati italiani emigrati all’estero è aumentato dell’83,4%, passando da circa 20.000 a oltre 37.000 persone all’anno. Così in dieci anni oltre 280mila laureati sono emigrati, con una perdita potenziale di oltre 5 miliardi annui, considerando che il costo complessivo della formazione di uno studente fino alla laurea è di circa 143.000 euro. Sullo sfondo, poi, ci sono i salari stagnanti: l’Italia è l’unico Paese OCSE con retribuzioni reali in calo dal 2000 al 2023, aggravate da un cuneo fiscale tra i più alti d’Europa. Il risultato è che i giovani lavoratori italiani percepiscono stipendi inferiori alla media Ue, pur lavorando più ore rispetto ai principali competitor europei. Infine c’è la dinamica dei lavoratori a rischio di povertà, che è tornata a peggiorare nel 2024 coinvolgendo il 10,2% degli occupati, con un altro dato superiore alla media europea dell’8,2%.
“È il capitale umano che cambia le imprese, la società e il capitale sociale che consente di assorbire le grandi novità dell’intelligenza artificiale”, ha ricordato Enrico Giovannini, portavoce di ASVIS, aggiungendo: “Al di là di parlarne, questi sono i temi su cui bisogna prendere decisioni urgenti e purtroppo la governance italiana vede una dispersione di competenze tra lo Stato e le Regioni in particolare su queste tematiche”. L’Advisory Board dietro all’indice GAI indica alcune strade percorribili: aggiornare la formazione riducendo il mismatch, rivedere il sistema universitario puntando alla specializzazione, potenziare gli ITS Academy e dare più valore agli stage. Per trattenere i giovani e attrarre talenti si propone di abbassare il cuneo fiscale per gli under 35, allineandolo alla media europea, e coinvolgere le imprese in una crescita retributiva sostenibile. Ma le zavorre non finiscono qui: la macchina normativa e giudiziaria frena la competitività. Più di una legge su cinque (21,5%) resta inattuata per mancanza di decreti – ben 545 quelli in attesa – mentre la burocrazia costa alle imprese oltre 57 miliardi l’anno. La giustizia civile, poi, viaggia a ritmi lentissimi: in media servono circa duemila giorni per chiudere un processo, lontanissimi dagli standard europei. Secondo lo studio, un investimento annuo da un miliardo ridurrebbe la durata dei processi civili a circa 1.300 giorni e genererebbe un ritorno fiscale da 138 milioni. Non ultimo, anche l’energia pesa: il costo dell’elettricità è più alto che altrove in Europa. Ad aprile 2025, il prezzo dell’energia all’ingrosso in Italia ha raggiunto quasi 100 euro per megawattora, più del doppio rispetto alla Francia (42 euro) e quasi quattro volte quello della Spagna (27 euro), e circa il 28% in più rispetto alla Germania, complice la forte dipendenza dal gas naturale. L’Italia è al 106° posto a livello globale per dipendenza energetica da mercati esteri, e al 18° posto nell’UE27, dopo a Germania (97°), Francia (84°) e Spagna (105°).
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