Lo squalo torna ad azzannare, ma la vera bestia è l’uomo

  • Postato il 28 giugno 2025
  • Di Panorama
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Cinquant’anni dopo, la morale rimane la stessa: lo squalo siamo noi. La bestia feroce con i denti che squarciano annidata nelle profondità tenebrose è niente altro che l’uomo. Anzi l’uomo è peggio delle belve, perché non agisce per istinto ma per crudeltà e grettezza. A dimostrarlo c’è il fatto che lo squalo brutale e spaventoso del film di Steven Spielberg uscito nel 1975 è appunto un mostro da film, qualcosa di eccezionale e in qualche modo soprannaturale. Nella realtà non potrebbe esistere, e infatti nulla di simile si è mai visto sulla Terra. Però il pubblico cinematografico di allora lo ritenne credibilissimo, a giudicare delle code fuori dalle sale. E non era nemmeno difficile assistere a scene di panico in spiaggia evidentemente alimentate dal successo del lungometraggio (una ventina di anni fa Spielberg si scusò per aver macchiato la reputazione dei predatori marini).

Il film ebbe in effetti un riscontro micidiale: 470 milioni di dollari incassati a livello globale, pellicola più vista anche in Italia nella stagione 1975/1976. Ancora oggi, Lo squalo è un classicone che non tradisce mai in seconda serata sulle tv generaliste: viene riproposto di frequente e ogni volta suscita brividi. Meno fortuna ha avuto il romanzo dello scrittore americano Peter Benchley (1940-2006) da cui la pellicola è tratta. Jaws (questo il titolo originale traducibile con «fauci») è stato a dire il vero un volume di enorme successo, ma i più lo hanno nei fatti dimenticato. Probabilmente, ci sono intere generazioni che conoscono il film ma che non hanno mai aperto il romanzo. Potranno farlo ora che nelle librerie italiane arriva una nuova edizione de Lo squalo realizzata da Magazzini Salani e contenente un interessante apparato commentizio.

Si tratta di un gradito ritorno sugli scaffali poiché il libro è molto migliore di quanto si potrebbe pensare. Fughiamo ogni dubbio: qui non parliamo affatto di narrativa di serie B o di paccottiglia d’azione da sfogliare per spegnere il cervello. Benchley non era Balzac, ma sapeva il fatto suo. Quando iniziò a concepire la storia lavorava come ghost writer per il presidente degli Stati Uniti Lyndon Johnson, non proprio una cosa da nulla. Ma l’avventura politica era destinata a concludersi e per l’autore di discorsi serviva un nuovo impiego utile a sfamare la prole. Peter, mentre si dedicava alle tirate noiosette di Johnson aveva elaborato un po’ di idee per romanzi nella speranza di costruirsi un avvenire sotto i riflettori.
Prospettiva su cui sua moglie Wendy appariva tutto sommato scettica. È proprio lei, in uno dei testi contenuti nella nuova edizione, a raccontare qualcosa di più sui tentativi letterari del marito. «Uno parlava di moderni pirati a caccia nei Caraibi, l’altro di uno squalo che terrorizzava una comunità balneare in estate. Quando Johnson decise di non ricandidarsi alla Casa Bianca, Peter, rimasto senza lavoro, provò a cimentarsi come free lance nella scrittura per un paio d’anni. Purtroppo non guadagnava abbastanza per riuscire a sostenere la nostra famiglia. Disperato, presentò le storie dello squalo e dei pirati alla sua agente, Roberta Pryor, nella speranza che almeno una delle due potesse funzionare. Personalmente, non vedevo proprio come una di quelle trame potesse fare presa. Ma, per fortuna, Peter fu perseverante e trovò un accordo con il suo editore, il quale riteneva che il libro sul pesce avesse del potenziale». 

Beh, il «libro sul pesce» funzionò eccome, tanto che poi a Benchley sarebbe stato richiesto di produrre altre storie analoghe sul terrore nei mari (ne scrisse varie, ma non troppo riuscite). Al momento dell’uscita de Lo squalo sembrò che la critica non fosse poi così ostile, anzi. Ma in seguito, quando il libro cominciò a scalare le classifiche, i recensori si accanirono, soprattutto quelli delle riviste più chic. Poiché il volume divorò anche lo spazio dei bestseller letterari rimanendovi per oltre 40 settimane (tradotto: milioni di copie vendute), bisognava guardarlo con una certa supponenza, definirlo banale e noioso. Nonostante le stroncature, però, il pubblico continuava a gradire e fu lì che a qualcuno venne l’idea di farne un film. Sulle prime non fu scelto come regista Spielberg, allora ventinovenne, ma un suo collega giudicato più affidabile che però riuscì a snervare Benchley continuando a confondere lo squalo con una balena. Alla fine, il progetto fu affidato al bandalzoso Steven, da cui probabilmente i produttori non si aspettavano grandi risultati. E invece…
Carl Gottlieb, lo sceneggiatore scelto per il progetto, ha raccontato anni fa a film.it che le aspettative non erano poi granché: «A quel tempo, mentre giravamo Lo squalo, ognuno cercava semplicemente di fare il meglio che poteva, non avremmo mai pensato che sarebbe diventato il fenomeno sociale che poi è stato. Nessuno può spiegarlo, ma per qualche motivo il film ha toccato un punto sensibile nel pubblico. Ma diventò un successo solo dopo la terza – quarta settimana. Lo squalo fu un po’ una scommessa perché uscì in 400-500 copie, cosa quasi senza precedenti, fatta da pochissimi film prima di quel momento; e poi fu rilasciato durante l’estate, cosa anche questa inusuale, la bella stagione non era il classico periodo in cui lanciare grandi film nelle sale, la gente preferisce andare al mare. Fu una scelta di marketing degli Studios quella di fare un’uscita del genere e dopo 3-4 settimane, quando ci aspettavamo che la gente smettesse di andare al cinema, in realtà continuò ad andare a vedere il film: ci furono persone che tornarono al cinema due, tre, cinque volte, ancora e ancora. Un fatto senza precedenti. Ben presto quello divenne un modello di distribuzione per molte Major e cambiò per sempre la situazione, in positivo e in negativo».

Successo in libreria, successo al cinema. Con tanta invidia e incomprensione in aggiunta. Uno dei pochi a capire che cosa fosse davvero Lo squalo fu Michael Rogers della rivista Rolling Stone. Commentando il romanzo, scrisse che «nessuno degli umani è particolarmente simpatico o interessante», e proprio qui sta il punto. La vicenda è piuttosto semplice: uno squalo grosso e feroce si accanisce sugli abitanti della radiosa isola di Amity, forse per via di una maledizione. Non è uno squalo qualunque ma una creature spaventosa e famelica. Peggio di lui si comportano solo gli uomini.
Sullo schermo ci sono Roy Scheider (il capo della polizia Martin Brody) Richard Dreyfuss (l’oceanografo Matt Hooper), Robert Shaw (il cacciatore di squali Quint) Murray Hamilton (il sindaco di Amity) e Lorraine Gary (Ellen, la moglie di Brody). Sono tutti esseri meschini, in fondo, piccini nel film e ancora peggiori nel libro, che presenta alcune linee di trama in più. Dopo un primo attacco mortale, il sindaco – legato alla criminalità organizzata – non vuole che la presenza di un predatore assassino sia resa nota per non danneggiare gli incassi da turismo. Un bel tipo, il primo cittadino, ma non il più squallido. L’oceanografo Hooper e la moglie di Brody hanno una storia clandestina e tristanzuola, il cacciatore di squali sembra quasi divertirsi per la bella avventura che gli capita di affrontare. Brody, dal canto suo, non è un modello di virtù, almeno all’inizio. Tutti i personaggi sono mossi da interessi inconfessabili o da ambizioni personali, mettono sé stessi davanti alla vita degli ignari bagnanti, sono corrotti o corruttibili.

Fidel Castro, apprezzando il film, disse che metteva in scena le brutalità del capitalismo mortifero. Esagerava in ideologia: Lo squalo non fa critiche politiche o economiche, mostra invece il lato oscuro degli uomini, le loro fragilità immense, il loro terrore che per esplodere non ha bisogno della – pur splendida – colonna sonora del maestro John Williams. La vita, rivela l’opera di Benchley, è in fondo una spietata lotta per la sopravvivenza in un mare tumultuoso di incertezza in cui gli amici sono pochi e gli individui onesti ancora meno. Lo squalo è in agguato tra i flutti, con le fauci aperte. Ma le fiere più temibili stanno attorno a noi, coi denti scoperti da un sorriso.

Autore
Panorama

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