Lo stop francese alle rinnovabili è l’occasione per l’Italia. Arditti spiega perché
- Postato il 2 luglio 2025
- Esteri
- Di Formiche
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Il 24 giugno scorso l’Assemblea nazionale francese ha approvato un emendamento alla legge Gremillet che sospende temporaneamente l’installazione di nuovi impianti eolici e fotovoltaici. Una pausa di riflessione, motivata dalla necessità di valutare con serietà i costi di integrazione delle fonti intermittenti nella rete elettrica. Certo, è una scelta “tecnica”, ma contiene anche un forte segnale politico. E, quindi, strategico.
La Francia ha le carte in regola per fermarsi un attimo e guardare i conti: 56 reattori nucleari attivi, oltre 60 gigawatt di potenza installata, e un piano di rilancio del settore che prevede sei nuovi EPR2, con opzione per arrivare a quattordici. Nel 2024 ha esportato 89 terawattora di elettricità, di cui 40 all’Italia. Una potenza silenziosa, ma decisiva. Il prezzo medio francese all’ingrosso si aggira sui 65 euro per MWh. In Italia siamo sopra i 180. La differenza la fa la stabilità.
Ma proprio per questo, lo stop francese è anche un’opportunità per l’Italia. Non per rallentare, bensì per accelerare sulla scelta più razionale e concreta: inserire il nucleare nella traiettoria della transizione. Non in alternativa alle rinnovabili, ma a sostegno del sistema.
Il nostro Paese non parte da zero. Con il decreto energia del 2024, il governo ha lanciato il Programma nazionale per lo sviluppo del nucleare da fissione di nuova generazione. È stato attivato un Comitato tecnico-scientifico e soprattutto è nata NucIta, la società consortile per il nucleare che mette insieme Enel, Eni, Ansaldo Energia, Sogin, Rse ed Enea. Un parterre tecnico-industriale di prim’ordine, che può fare molto, se messo in condizione di agire presto.
Il modello è quello degli SMR, i reattori modulari di piccole dimensioni già adottati da Canada, Polonia, Stati Uniti. Tempi più rapidi, investimenti sostenibili, emissioni quasi nulle. La tecnologia è disponibile, il know-how c’è, i soggetti industriali anche. Manca solo un’accelerazione politica definitiva, fondata sulla convinzione che la sicurezza energetica è un pilastro della competitività industriale, oltre che della sovranità nazionale.
Jean-Philippe Imparato, responsabile europeo di Stellantis, ha parlato con franchezza: “In Francia paghiamo l’energia 65 euro, in Spagna 80, in Italia oltre 180. Così non è sostenibile. Se non cambiamo, chiuderemo stabilimenti”. Parole nette, che pongono un problema nazionale. E che vanno raccolte senza isterismi, ma con senso di responsabilità.
Il Pniec italiano fissa obiettivi ambiziosi per fotovoltaico ed eolico (79 GW e 28 GW entro il 2030), ma non può bastare. La transizione ha bisogno di base stabile. E oggi la base stabile si chiama nucleare. La Francia lo sa da sempre. Noi lo abbiamo riscoperto da poco. Ma il momento per muoversi con decisione è adesso.
Lo stop francese dice in sostanza: attenzione, non basta installare pannelli, bisogna garantire equilibrio al sistema. L’Italia può cogliere questo segnale per fare un passo avanti, non per tornare indietro. Riconoscere il valore strategico del nucleare non è rinunciare alla sostenibilità: è renderla possibile.
Il tempo degli slogan è finito. Quello delle scelte vere è cominciato.