Lo strano caso della frontaliera che paga le tasse in Italia ma per l’Asl di Lecco non ha diritto alla sanità pubblica
- Postato il 29 luglio 2025
- Lavoro
- Di Il Fatto Quotidiano
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Non poter avere il medico di base perché l’Asl del tuo comune, e la Regione in cui vivi, non ti permettono l’accesso al Servizio sanitario nazionale, nonostante tu ne abbia diritto. È da due mesi che Clizia Passeggiato si trova in questa situazione: senza la possibilità di ottenere un certificato medico, una ricetta per i farmaci di cui ha bisogno, o una prescrizione per svolgere esami o visite specialistiche. Senza alcun riferimento sanitario sul territorio, è costretta a passare dal costoso sistema privato per ogni necessità di salute. E tutto questo perché è una lavoratrice frontaliera. Passeggiato, infatti, ha la residenza a Lecco, ma lavora in Svizzera, nel Ticino. Tutti i giorni, provvista di permesso G – l’autorizzazione di lavoro per frontalieri rilasciata da Berna che permette ai cittadini di paesi Ue/Aels di lavorare in Svizzera pur mantenendo la residenza in un paese limitrofo – attraversa il confine due volte. Al mattino per andare in ufficio e in serata per tornare a casa dalla sua famiglia. È a pieno titolo una contribuente italiana e quindi avrebbe diritto all’assistenza sanitaria del Ssn, come qualsiasi lavoratore. Ma non per l’Asst di Lecco né per la Regione Lombardia, che continuano a negarle questa possibilità.
Da un punto di vista fiscale, Passeggiato è inquadrata come lavoratrice frontaliera “fuori fascia”. Fanno parte di questa categoria coloro che risiedono in Comuni situati al di fuori della fascia dei 20 chilometri dal confine, come nel caso di Lecco. È soggetta quindi a una tassazione concorrente: dichiara in Italia il reddito percepito in Svizzera e paga la differenza tra l’imposta italiana dovuta e quanto già trattenuto da Berna. Questo sistema garantisce che il lavoratore non paghi due volte, ma che entrambe le nazioni partecipino alla tassazione dello stesso reddito. Versando le tasse anche nel nostro Paese, dunque, Passeggiato rientra tra i cittadini italiani fiscalmente attivi, con conseguente pieno diritto all’iscrizione ordinaria al Ssn. Inoltre, al momento dell’assunzione, non ha sottoscritto alcuna copertura assicurativa con il sistema sanitario svizzero, preferendo optare per la sanità italiana.
Eppure per l’Asst di Lecco non ha diritto all’iscrizione obbligatoria al Servizio sanitario regionale. Questo perché – come specifica l’Azienda in una nota inviata a ilfattoquotidiano.it – per Passeggiato “non sussiste il requisito relativo alla residenza in uno dei Comuni della lista dei Comuni italiani di frontiera”. Condizione obbligatoria, secondo l’Asl, per ottenere l’iscrizione gratuita. “Questa è un’assurdità totale – commenta a ilfattoquotidiano.it Matteo Mandressi, responsabile frontalieri Cgil Como -. È un’interpretazione cervellotica dell’Asl e di conseguenza della Regione. La lavoratrice paga le tasse in Italia, finanzia la sanità pubblica e quindi ha diritto al medico di base”. “Ogni tanto escono questi problemi – prosegue -. Non è la prima volta che un lavoratore o un pensionato frontaliere si trova in questa situazione. Allo stesso tempo ci sono tanti frontalieri fuori fascia, pensiamo per esempio a chi vive a Milano ma lavora in Svizzera, che sono regolarmente iscritti al Ssn. Non c’è una ragione logica per negare questo diritto”.
Posizione ribadita anche da Pancrazio Raimondo, segretario generale Uil frontalieri: “Quello della Asst di Lecco è un procedimento illegittimo. Il limite della residenza nei comuni limitrofi non è la discriminante per avere diritto al Ssn. La distinzione tra chi abita all’interno o all’esterno della fascia dei 20 chilometri serve solo a definire fiscalmente il lavoratore, non c’entra nulla con il diritto alla sanità pubblica”, spiega. Inoltre, prosegue Raimondo, il regolamento europeo 883 del 2004 sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, al quale ha aderito anche la Svizzera, consente al frontaliere italiano il diritto di opzione: al momento dell’assunzione, come è avvenuto in questo caso specifico, il lavoratore può decidere di optare per il sistema sanitario del Paese di residenza. “Eppure periodicamente viene fuori questo ritornello”, commenta Raimondo, che poi conclude: “È una questione di legittimità. La decisione dell’Asst deve essere contestata. Non sta né in cielo né in terra che la signora non abbia diritto al medico di base. Fa la dichiarazione fiscale in Italia. Come si fa a sostenere che non contribuisce alla fiscalità generale?”.
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