Lovaglio contro Nagel: modelli a confronto nel risiko bancario

  • Postato il 9 maggio 2025
  • Di Panorama
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Lungo il percorso rumoroso delle conference call trimestrali, due visioni opposte del sistema bancario italiano si stanno scontrando, a distanza ma con crescente intensità. Da una parte Luigi Lovaglio, al timone di un Monte dei Paschi di Siena in piena fase di rilancio. Dall’altra Alberto Nagel, l’artefice della metamorfosi di Mediobanca in una macchina sofisticata di wealth management, convinto che l’offerta pubblica di scambio (OPS) lanciata da Mps sia un passo falso strategico. Il terreno di scontro? Il controllo di Mediobanca e, a cascata, l’aggregazione con Banca Generali.

Lovaglio non fa marcia indietro. Anzi, rilancia. “Non percepiamo l’OPS di Mediobanca su Banca Generali come un ostacolo al nostro percorso”, ha affermato con fermezza, sottolineando il forte sostegno degli azionisti e ribadendo la coerenza industriale dell’operazione. I conti del primo trimestre 2025, del resto, gli danno fiato: 413 milioni di utile netto (+24,2%), indice di solidità patrimoniale record al 19,6%, crescita degli impieghi e solida dinamica della raccolta. Con un margine operativo netto in rialzo e costi in calo,

Ma da Piazzetta Cuccia la risposta è secca, quasi tagliente. Per Nagel, l’aggregazione tra Banca Generali e Mediobanca – già annunciata e prossima al voto assembleare del 16 giugno – “completa il percorso di trasformazione in un player diversificato a basso assorbimento di capitale, eccellente per la creazione di valore”. L’operazione, sostiene il banchiere, non solo rafforza il profilo patrimoniale, ma rende Mediobanca un colosso da oltre 210 miliardi di masse gestite, con il 50% dei ricavi provenienti dal wealth management.

La critica all’iniziativa di Mps è articolata. Nagel contesta apertamente l’assenza di sinergie, il rischio di disallineamento culturale e manageriale, e la scarsa coerenza industriale. “Montepaschi è una banca commerciale di medie dimensioni e indifferenziata – ha detto senza mezzi termini – una combinazione con Mediobanca non apporterebbe rafforzamenti in alcuno dei segmenti d’attività”. L’OPS di Siena, secondo Mediobanca, diluirebbe il valore e i multipli, genererebbe dissinergie e imporrebbe costi elevati di retention nel private banking, mettendo a rischio la tenuta stessa del franchise.

Le due visioni si confrontano su scala strategica. Mps punta alla scala, al consolidamento dimensionale, con l’obiettivo di rafforzare il proprio peso nel panorama bancario. Mediobanca, al contrario, insegue la specializzazione, il modello agile e capital-light, scommettendo sulla crescita qualitativa nel wealth management. Due strade divergenti, che rendono ancora più netto il contrasto tra i due protagonisti.

I conti rafforzano le rispettive narrative. Per Equita Sim, i risultati di Mps sono “leggermente meglio delle attese” grazie al contributo delle commissioni, sebbene penalizzati dal calo del margine d’interesse. Jefferies e Intesa Sanpaolo, invece, elogiano Mediobanca per un trimestre sopra il consenso, con utile netto a 993 milioni (+5%), un coefficiente patrimoniale al 15,6% e un mix di ricavi in forte crescita, soprattutto nei segmenti wealth e consumer.

Autonomous sintetizza efficacemente lo scenario: gli azionisti di Mediobanca si trovano ora davanti a due progetti alternativi. Da un lato, la costruzione di un campione nazionale del risparmio gestito. Dall’altro, una fusione con una banca commerciale come Mps, che il management considera rischiosa e destrutturante per il modello attuale. In questa cornice, la vera partita si gioca su visione, credibilità e consenso del mercato.

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Panorama

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