Luca Montezemolo compie 78 anni, imminente l’uscita di un film su di lui: i ricordi di uno che gli deve moltissimo

  • Postato il 31 agosto 2025
  • Economia
  • Di Blitz
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Luca Montezemolo compie 78 anni oggi, essendo nato il 31 agosto 1947. Festeggerà meglio fra qualche mese con l’uscita di un film su di lui. Capita a pochi.

Fanno anche 50 anni che ci conosciamo: è la persona che più di tutti ha cambiato la mia vita.

Dico subito che sarebbe stato un ottimo Primo Ministro per il dopo Berlusconi. Massimo Cacciari lo incoronò come possibile federatore del centro nel 2010. Poi qualche manina gelosa lo impiombò. Ho qualche sospetto.

Lui si è consolato inventando le ferrovie nazionali private. Così come in precedenza si era consolato della estromissione dalla Fiat diventandone 20 anni dopo presidente. Da giovane aveva convinto Gianni Agnelli a farsi fotografare con le prime Tod’d ai piedi, provocando un processo imitativo senza pari.

Lo vidi la prima volta nel 1975. Io lavoravo a Torino come assistente di Giovanni Giovannini. Amministratore delegato della stampa, nonché presidente della Fabbri editori e capo di tutte le attività editoriali del gruppo Fiat-IFI.

Montezemolo e i 19 mondiali vinti

Luca Montezemolo compie 78 anni, imminente l’uscita di un film su di lui: i ricordi di uno che gli deve moltissimo, nella foto Luca Montezemolo e Niki Lauda
Luca Montezemolo compie 78 anni, imminente l’uscita di un film su di lui: i ricordi di uno che gli deve moltissimo – Blitzquotidiano.it (foto Ansa)

Montezemolo  stava per guidare la Ferrari al suo primo titolo di campione del mondo di Formula 1 dopo 11 anni di astinenza. Ne avrebbe vinto altri 19, 11 campionati costruttori e 8 campionati piloti, prima da capo del team poi da presidente, fino alla improvvida e short sighted decisione di John Elkann di estrometterlo.

Era arrivato in Ferrari seguendo una scaletta da leggenda:  compagno di liceo e di corse ai rallies di Cristiano Rattazzi, aveva fatto buona impressione sulla madre di Cristiano, Susanna che lo aveva introdotto ai due fratelli. Quando Enzo Ferrari, ormai avanti negli anni e provato dalla vita, chiese aiuto ad Agnelli la porta fu aperta per quel giovane di straordinarie capacità di farne buon uso.

Il sogno di Montezemolo però era quello di diventare un grande editore. Ci avrebbe poi provato qualche anno dopo convincendo l’avvocato Agnelli a chiedere al cavalier Monti di vendergli i suoi giornali, Resto del Carlino e Nazione. Monti disse ad Agnelli: “Ma caro AVV., lei sa bene che l’ultima cosa che uno depone sono le pistole”. E l’impero editoriale morì lì.

Ma quando lo incontrai la prima volta questo Montezemolo, allora ventottenne, non lo sapeva ancora. Umberto Agnelli, che era l’amministratore delegato della Fiat lo aveva inserito nella direzione stampa, all’epoca guidata da un bravo giornalista, ma con dei limiti da manager e anche caratteriali, Sandro Doglio.
Doglio stava per prendere l’aereo per Bruxelles, dove sarebbe diventato corrispondente della stampa quando le manovre di Giovannini (e fu l’esordio internazionale di Vittorio Zucconi) lo portarono alla guida dell’ufficio stampa della Fiat. Per decenni vi aveva imperato una figura mitica nel mondo dei giornali in quegli anni, Maria Rubiolo, erede dell’ancora più mitico Luigi Gino Pestelli.
Pestelli era capo redattore della Stampa al tempo del delitto Matteotti (1924): Mussolini ne pretese la rimozione dopo il titolo “Il parlamento vota Mussolini l’Italia piange Matteotti”. Agnelli obbedì e se lo presa in Fiat, mettendo la capo della divisione stampa e propaganda in quel ruolo inventò lo slogan terra mare e cielo. per una Fiat all’epoca impegnata su tutti i fronti industriali. Dopo la guerra, quando la Fiat si trasferì nel palazzone di Corso Marconi 10 (un casermone in stile razionalista mi ricordo, la prima volta che c’entrai, la questura di Genova), Pestelli occupava un grande ufficio d’angolo al secondo piano. In quello indegnamente mi insediai anche io, grazie a Montezemolo, un anno dopo.

Ma quando vedi per la prima volta, Montezemolo, tutto questo era di là deve venire la. La amara realtà erano i maltrattamenti che Doglio e alcune sue accolite infliggevano, con umiliazioni stupide e banali motteggi tipo “Montezuma”, al giovane di belle speranze che per loro costituiva e con ragione una minaccia.

Anche Giovannini non fu molto generoso col giovane Luca. Gli faceva fare lunghe anticamere senza mai offrire nulla di concreto.

Una campagna elettorale di successo

Luca Montezemolo compie 78 anni, imminente l’uscita di un film su di lui: i ricordi di uno che gli deve moltissimo, nella foto Montezemolo, Agnelli e Benedetto in campagna elettorale)
Luca Montezemolo compie 78 anni, imminente l’uscita di un film su di lui: i ricordi di uno che gli deve moltissimo – Blitzquotidiano.it (nella foto Montezemolo, Agnelli e Benedetto in campagna elettorale)

Fu l’inizio della mia fortuna. Montezemolo faceva anticamera nel mio ufficio che era a metà strada fra quello di Giovannini e quello della segretaria. Vicino a me c’era un divanetto dove gli ospiti in attesa potevano accomodarsi. Dalle banali conversazioni nacque un’amicizia, insieme (e con Alain Elkann) sviluppammo una rivistina per manager e imprenditori chiamata l’Economico.

Lo sbocco arrivò l’anno seguente, il 1976. Umberto Agnelli decise di candidarsi al Senato per la democrazia cristiana e un seggio a Roma, quello sicuro di Andreotti a Prati. E decise di affidare la guida della campagna elettorale a Montezemolo, il quale pensò a me per l’ufficio stampa. Aveva visto che nella mia giovane età (avevo 31 anni) conoscevo alcuni giornalisti importanti in conseguenza del mio lavoro all’Ansa di Genova dove erano transitati personaggi come Giampaolo Pansa e anche per l’amicizia genovese che mi legava a due direttori del tempo, Cesare Lanza (Corriere d’Informazione) e Paolo Panerai (Il Mondo). Quest’ultimo in quella occasione mi diede una sicura prova di amicizia facendo ristampare migliaia di copie per una intervista riuscita male.

Quando Luca mi comunicò la decisione, mi prese il panico. Erano i tempi del sorpasso del PCI sulla DC, il film di Bertolucci ‘900 nel cui finale i contadini inforcavano il fattore mandava in visibilio i ricchi borghesi romani che assistettero in deliquio alla prima al cinema Adriano a Roma. Nei giornali regnava il soviet.

C’era il rischio concreto di restare senza lavoro: uno dei miei amici mi disse che mi avrebbe assunto comunque, ma l’altro mi disse che per me non c’erano speranze.

Dissi a Montezemolo che era matto e che non ci pensavo nemmeno. Però, nel frattempo, Umberto Agnelli aveva telefonato a Giovannini per dirgli che dall’indomani, io sarei passato al suo servizio. Mettendo giù la cornetta Giovannini sospirò: “Marco, t’es ciulà” sei fottuto, o accetti e entri nella bolgia della Fiat o te ne devi andare”.

Il mattino dopo ero sotto la doccia, quando suonò il telefono. Era Luca. “Non sono un folle. Ho parlato con l’Avvocato Agnelli che mi ha detto che non devi preoccuparti, succede anche in America che un giornalista passa in politica e poi ritorna a fare il giornalista”.

Montezemolo condusse la campagna elettorale da par suo, Umberto Agnelli diventò senatore e nominò Montezemolo capo delle relazioni esterne della Fiat al posto Vittorino Chiusano. Era una delle posizioni più nobili del Gruppo, con ufficio, piccolo e in fondo al corridoio, ma all’ottavo piano, vicino agli Agnelli e Romiti. Doglio venne mandato a dirigere Stampa Sera.

Io mi godevo ancora uno scampolo di dolce vita romana quando Umberto Agnelli mi chiamò nel suo studio, in via Bissolati chiedendomi cosa volessi fare da grande. Risposi senza esitazioni: il lavoro di Giovannini. Il dottore sorrise e aggiunse: bene, però per ora viene a lavorare con me. E è così che in quell’ottobre del 1976, a soli 31 anni mi ritrovai capo dell’ufficio stampa della Fiat, alle dipendenze di Montezemolo sopra al quale c’erano solo i due Agnelli. (Detto per inciso e per evidenziare il ruolo del libero arbitrio, proprio quell’anno due mie amiche astrologhe torinesi mi avevano avvertito di un destino terribile; i loro ammonimenti mi servirono per evitare le trappole del mio cattivo carattere)

Fu un secondo atto di follia di Luca, per me un propulsore verso i miei sogni.

Furono anni importanti i finali degli anni 70. Il terrorismo imperversava, la Fiat era in crisi profonda, l’Italia era ben rappresentata dal film Prova d’Orchestra di Fellini: il caos.

Luca sempre avanti. Fu imputato e assolto al processo per la propaganda sui ‘61 licenziati orchestrato da due giornalisti della Rai di Torino (uno e morto, l’altro ha fatto carriera prima di finire ingarbugliato nelle sue ambiguità).

Fu inquisito e prosciolto per una assurda vicenda che coinvolse altri cinque incluso un importante leader sindacale: non rubarono, non presero tangenti. Un imprenditore folle li pagò per quello che sono pagate le agenzie di pr. Infatti finì tutto in una bolla di sapone. Si parla solo di Montezemolo perché è lui e per la sua vicinanza agli Agnelli.

Gianni e Umberto Agnelli lo adoravano entrambi e seguivano i suoi consigli. Luca era l’unico che andava d’accordo con entrambi (e io nella sua scia). L’Avvocato lo protesse sempre dalla crudeltà di Romiti che, dopo avere ottenuto grazie a Cuccia la testa del fratello Umberto ora voleva eliminare i manager a lui più vicini. Prima lo mandò alla Cinzano, poi lo insedia alla Ferrari. Gli effetti della gestione di Montezemolo sulla parte industriale della Ferrari furono tali da permettere a Sergio Marchionne la favolosa quotazione in borsa del cavallino.

Ma torniamo al 1979, anno di svolta in Italia .

La situazione nelle fabbriche era ormai fuori controllo. I terroristi erano arrivati a uccidere un dirigente della Fiat, Carlo Ghiglieno, ammazzandolo sotto casa. La tensione era molto alta. Ricordo l’incontro di Umberto Agnelli con i vertici della Fiat auto. L’indignazione dominava.

Il licenziamento dei 61 in odore di terrorismo (provato solo in alcuni casi: ma certo si trattava di gente che in fabbrica non ci poteva stare) fu il primo atto della strategia elaborata da Carlo Callieri. L’anno dopo il colpo grosso: la Fiat minacciò di licenziare più di 20.000 operai. Avrebbe ritirato il provvedimento in cambio di una massiccia cassa integrazione. Allora era come bestemmiare in chiesa. Quando Umberto Agnelli informò al telefono il presidente del consiglio Francesco Cossiga dall’altro capo del filo ci fu un attimo di silenzio, quasi effetto di uno svenimento. Solo il partito comunista era consapevole della grave crisi di mercato e produttiva in cui si trovava la Fiat. Fu importante il silenzio assenso di Adalberto Minucci e dei principali leader comunisti torinesi.

Il sindacato, dominato dalla federazione dei metalmeccanici, i papà di Landini, seguì il suo destino e fu la fine della sua rilevanza in Italia.

Fu questo momento che Cesare Romiti colse la sua grande occasione. Non senza qualche buona ragione persuase Enrico Cuccia che era il momento di cambiare guida alla Fiat. Il ragionamento era che se l’azione avviata con la minaccia dei licenziamenti forse è andata male, il fatto che a capo operativo dell’azienda ci fosse un Agnelli poteva essere pericoloso per la sopravvivenza della famiglia regnante. Imitando Vittorio Emanuele II con Mussolini, Gianni Agnelli si giustificò dicendo: “Adesso c’è Romiti, vedremo cosa sa fare”. Avrebbe visto e avrebbe anche rischiato di perdere il controllo dell’azienda a favore di una nuova dinastia.

Appena nominato, Romiti si chiuse nel suo ufficio e telefonò una cartomante che gli aveva previsto il futuro esclamando: “Sei una strega”. Poi inizio a far fuori gli uomini che riteneva più vicini a Umberto Agnelli. Montezemolo, che il naso ce l’ha lungo e fino, aveva anticipato le mosse del nuovo amministratore delegato della Fiat, chiedendo a Romiti di essere trasferito full time al settore editoriale di cui pagamenti si occupava già con la carica di amministratore delegato della Itedi, una mini holding con dentro solo la Stampa e la concessionaria di pubblicità PK.

Prima però, Montezemolo completò il suo compito ai vertici della Fiat guidando la nostra direzione in affiancamento di Cesare Annibaldi e Carlo Callieri nell’epico confronto con sindacato che, lo dico con cognizione di causa, cambiò l’Italia.

Qui siamo al terzo e decisivo momento di follia di Montezemolo che mi volle con lui insediandomi nella carica di amministratore delegato della Stampa. Ero fuori di me pensando che arrivavo in quel ruolo a soli 36 anni, nel 1981 mentre il mio maestro Giovannini avevo tenuto i galloni a ben 53 anni.

Che si trattasse di un atto folle lo dice il fatto che io nulla sapevo di amministrazione e gestione di aziende.ero stato un discreto giornalista e, a quanto dicevano, anche un buon capufficio stampa. Però ricordo ancora con terrore quella volta che andai al rapporto da Romiti accompagnato dal direttore finanziario Paolo Mattioli. Romiti, grande lettore di bilanci, scorreva nervosamente il conto economico della Stampa gridando qualcosa a proposito del patrimonio netto. In quella occasione, mi salvò Mattioli. Poi corsi ai ripari con una pila di dispense e di libri.

Va qui ricordato che io non sono stato la sola “scoperta” di Luca. Penso a Ezio Mauro, che Montezemolo volle portare dalla Gazzetta del Popolo alla Stampa, inizio di una grande carriera che lo avrebbe portato a Mosca e poi a dirigere la Stampa e Repubblica. E penso a Lorenzo Pelliccioli, Angelo Sajeva, Antonello Perricone.

Fu allora che Montezemolo si produsse in uno dei più bei colpi dell’editoria del tempo. Convinse Giorgio Forattini a tradire Scalfari lasciando Repubblica per passare alla Stampa. Le vignette di Giorgio Forattini erano uno dei motivi perché un numero crescente di italiani leggeva Repubblica ogni mattina. Forattini nutriva del risentimento nei confronti di Scalfari e su questo Montezemolo fu bravo nel far leva e nel convincerlo.

Quando Scalfari apprese la notizia, ebbe uno svenimento. Avrebbe pareggiato i conti qualche anno dopo riportando Forattini a Repubblica.

Furono 3 anni entusiasmanti. La Stampa fu il primo giornale in Italia a abbandonare le vecchie tecnologie basate sul piombo, passando all’uso dei computer da parte dei giornalisti. Con le spalle coperte da Montezemolo potrei fare un discreto lavoro. Poi la brusca interruzione.

Da allora non abbiamo più lavorato insieme, ma ancora una volta Luca è stato decisivo per la mia vita in almeno un paio di occasioni.

La prima quando fece sapere a Carlo Caracciolo che pronto a lasciare Torino. Da lì nacque la proposta di passare all’Espresso che accettai al volo. L’aria a Torino si era fatta pesante per me. Romiti mi telefonava ogni due per tre sospettando che, per conto di Umberto Agnelli, ispirassi Giuseppe Turani a scrivere articoli a lui ostili.

Qualche anno dopo Romiti cercò di tagliare la strada a Montezemolo sulla via della ripresa. Era il 2001, con Luca avevamo deciso, un sabato mattina su una panchina davanti alla Casina Valadier circondati da ragazzini che volevano il suo autografo, che l’occasione per lui era diventare presidente della Federazione Editori, la FIEG., carica in scadenza. Anche Carlo De Benedetti mi ordinò: “Montezemolo presidente mai”. Disobbedii meritandomi una delle tante minacce di licenziamento che Caracciolo mi riferiva tra lo spaventato e il divertito.

Ad elezione avvenuta Romiti continuava a emettere ululati di rabbia invano.

Montezemolo fu un ottimo presidente come lo fu anche nel più importante ruolo di presidente di Confindustria.

L’ultima occasione fu quando Montezemolo, in grado di decidere la nomina dell’amministratore delegato del gruppo Rizzoli, non indicò me, spiegando che non lo poteva fare per non dare un dolore a Caracciolo. Fu ancora una volta la mia fortuna.

Uscito dal mondo torinese Montezemolo è stato grandioso. Ha ricominciato da capo la sua carriera con una piccola agenzia di immagine e guidando i mondiali del 1990.

Il resto è una mazza trionfale che potete trovare ben ricostruita su Wikipedia.

Auguri Luca e buon compleanno .

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Autore
Blitz

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