L’Ufficio di bilancio: “Dopo il Covid più occupati perché costano poco. Molti inattivi ora sono lavoratori con bassi salari”
- Postato il 11 giugno 2025
- Lavoro
- Di Il Fatto Quotidiano
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I salari sono rimasti bassi, mentre l’inflazione ha fatto aumentare il costo dell’energia e dei macchinari. Quindi per le imprese è stato più conveniente assumere lavoratori che investire in attrezzature o tecnologia. Come fa notare l’Ufficio parlamentare di Bilancio nel Rapporto sulla politica di bilancio presentato mercoledì, pure questo ha contribuito alla consistente crescita di occupazione vista in Italia negli ultimi anni. Da mesi, il governo Meloni si intesta i record dei dati sul lavoro come un grande successo, sorvolando sugli aspetti problematici: uno di questi è la scarsa produttività del lavoro.
“Le politiche di sostegno all’occupazione durante la crisi e la forte flessione dei salari reali negli anni successivi hanno reso il fattore lavoro relativamente più conveniente rispetto al capitale”, si legge nel rapporto dell’organismo indipendente che ha il compito di analizzare le previsioni macro-economiche. “Nella fase post-pandemia – prosegue – i salari reali in Italia sono nettamente diminuiti, a differenza dei prezzi degli altri input; in particolare, i prezzi dei beni energetici e strumentali sono stati spinti al rialzo, dopo la pandemia, dalle interruzioni lungo le catene di approvvigionamento e, in seguito alla guerra in Ucraina, dalla crisi energetica”.
L’analisi dell’Upb contiene un ampio focus su ciò che è successo al mercato del lavoro dopo il Covid. Senza dubbio, archiviata la fase peggiore dell’emergenza sanitaria, si è creato lavoro e i tassi di occupazione hanno superato i livelli pre-crisi. “Riguardo alla tipologia contrattuale – fa notare l’Upb – è stato marcato l’uso di contratti a tempo determinato; in termini geografici e settoriali, ha prevalso l’attivazione nel Mezzogiorno e nei servizi legati al turismo (alloggio, ristorazione e trasporti)”. Sullo sfondo, il grosso problema dei salari e della produttività. “Nel periodo successivo alla pandemia – è scritto nella sintesi del rapporto – si è registrata una significativa transizione di persone, soprattutto inattive, verso un’occupazione con bassi salari”.
Insomma, la gente ha ripreso a cercare un lavoro ma ciò che ha trovato ha garantito solo stipendi irrisori e l’inflazione ha poi eroso il potere d’acquisto di questi lavoratori. Tra il 2019 e il 2024, l’incremento delle retribuzioni orarie è stato pari alla metà di quello dei prezzi al consumo. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in occasione del Primo Maggio, si è soffermata sul recupero di potere d’acquisto che le buste paga stanno realizzando negli ultimi trimestri. Ma è un effetto legato solo al rallentamento dell’inflazione, mentre – come visto – nel quinquennio i salari reali sono decisamente diminuiti.
Rimettendo tutto in fila: dopo la pandemia, il mercato del lavoro si è rimesso in moto in primis per una fisiologica ripresa e ha proseguito una buona marcia negli anni successivi. Ma il fatto che i nuovi posti di lavoro creati siano così tanti, soprattutto a fronte di una dinamica più fiacca del Pil, accende il faro sulla bassa produttività. Numeri così importanti, infatti, sono stati raggiunti anche perché per le aziende era più economico reclutare personale piuttosto che fare altri investimenti. “L’espansione occupazionale dopo la pandemia si è accompagnata a una persistente stagnazione della produttività del lavoro, riconducibile a più fattori”, dice sempre l’Upb aggiungendo che “l’analisi delle ricomposizioni settoriali suggerisce che l’incremento occupazionale si sia concentrato in comparti o tipologie di impiego a minore produttività”. Poco più sotto, una spiegazione ancora più chiara: “Il capitale disponibile per ogni lavoratore si è ridotto poiché i prezzi relativi tra i fattori produttivi hanno reso più conveniente l’impiego di lavoratori con basso salario piuttosto che l’acquisizione di capitale fisico o l’investimento in innovazione e ricerca”. In pratica, la crescita di occupazione mostra in controluce uno dei fattori di debolezza del nostro tessuto produttivo.
Il problema della produttività stagnante era stato sollevato l’ultima volta a fine maggio dal governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, mentre nel rapporto annuale Istat del 2024 emerge il calo della stessa produttività del lavoro nell’ultimo anno. È quantomeno curioso che il tema, spesso cavalcato negli anni passati dagli osservatori di centrodestra, oggi venga ignorato da chi si limita a guardare il dato sull’aumento del numero di occupati, senza preoccuparsi della produttività e della sua influenza sui livelli salariali. A proposito, oggi è scaduto il termine per la proposizione di emendamenti alla legge delega sul salario minimo, che la maggioranza conferirà al governo per respingere la proposta delle opposizioni di introdurre la soglia dei 9 euro l’ora. Al Senato i gruppi di Pd, M5s, Avs e Azione hanno presentato due emendamenti alla legge delega sui salari e sull’equa retribuzione, per cancellare il provvedimento e per riproporre la proposta unitaria sul salario a prima firma del presidente del M5s, Giuseppe Conte.
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