L’università costa troppo, quelle del Nord sono le più onerose. Aumentano gli iscritti agli atenei telematici
- Postato il 12 dicembre 2025
- Cronaca
- Di Il Fatto Quotidiano
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“L’Università in Italia è ormai una spesa proibitiva ecco perché crescono sempre più le telematiche”. A riassumere in una battuta il dodicesimo rapporto nazionale sui costi degli atenei italiani, elaborato dalla Fondazione Iscoon con Federconsumatori, è Sabrina Soffiantini che ha curato dato per dato il dossier presentato in queste ore.
Non c’è inflazione che tenga, non c’è considerazione per il blocco degli stipendi: a livello nazionale le rette nell’ultimo anno sono salite del 6%. Una percentuale che lascia perplesso il numero uno della Fondazione Mario Govoni. Necessaria una premessa per capire i numeri: per ciascuna delle tre macro aree geografiche italiane (Nord, Centro e Sud), sono state esaminate le due maggiori università delle tre regioni che in ciascuna zona contano il maggior numero di studenti: Lombardia, Piemonte e Veneto per il Nord, Emilia- Romagna, Toscana e Lazio per il Centro e Campania, Puglia e Sicilia per il Sud.
Sono state considerate cinque fasce di reddito Isee standard calcolando l’importo previsto per ciascuna fascia. Infine, le rette prese in considerazione, non riguardano la cosiddetta “tax area” ovvero le agevolazioni destinate agli studenti a basso reddito e agli studenti meritevoli. Qual è il quadro che emerge? Per quanto riguarda la tassazione, le università del Nord Italia risultano ancora una volta più onerose rispetto alle altre: le cifre superano del 27% l’importo massimo medio rilevato negli atenei del Sud Italia e del 21% quello delle università del Centro. Rispetto allo scorso anno è quindi leggermente sceso il divario tra Nord e Sud ma esponenzialmente è aumentato quello tra Nord e Centro che è salito dal 15% al 21,3%.
Un’attenzione particolare va data agli atenei lombardi che si confermano quelli in cui la tassazione risulta più elevata, con una media regionale di 3775,28 euro. l’Università di Milano resta, come lo scorso anno, al primo posto, subito seguita da quella di Pavia. La prima prevede, infatti, come importo massimo da corrispondere 3.360,00 euro per le facoltà umanistiche e 4.257,12 euro per i corsi di laurea dell’area scientifica, con un importo massimo medio di 3.808,56 euro mentre la seconda richiede ai suoi studenti di corrispondere un massimo di 3.343,00 euro per le facoltà umanistiche e 4.141,00 euro per quelle scientifiche, con un importo massimo medio di 3.742,00 euro.
Seguono il Politecnico di Torino (3.761,00 euro sia per le facoltà umanistiche che per quelle scientifiche), l’Università del Salento (3.206,00 euro sia per le facoltà umanistiche che per quelle scientifiche) e l’Università di Padova (2.955,00 euro per le facoltà umanistiche e 3.155,00 euro per le facoltà scientifiche, con una media di 3.055,00 euro).
Rispondere a come mai Milano continua ad essere al top, nonostante il costo degli affitti, è una lettura non facile ma secondo i ricercatori poter vantare nel curriculum una laurea al Politecnico o alla Cattolica del capoluogo milanese è un buon biglietto da visita. In questo contesto crescono sempre più il numero di studenti che scelgono l’università telematica (quelle autorizzate dal ministero sono undici). Gli iscritti all’ateneo online sono passati da 140.319 nel 2019/20 a 305.012 nell’ultimo anno accademico. Una decisione resa obbligatoria dal portafoglio: “In genere, le spese per il materiale didattico sono ridotte, dato che gran parte dei contenuti è disponibile online, limitando l’acquisto di libri di testo a pochi casi. In termini economici, è possibile stimare che i costi mensili per un’università telematica oscillino tra 200 e 400 euro, considerando tutte le spese sopra elencate”, spiega la ricerca. Soffiantini aggiunge a “Il Fatto Quotidiano.it”: “E’ chiaro che in questo modo non si paga nemmeno l’affitto o si riducono i costi di trasporto”.
E nel resto dell’Europa? Il dossier mette in evidenza le differenze tra il nostro Stato e gli altri. La Germania e le nazioni scandinave adottano politiche di assenza di tasse universitarie, consentendo agli studenti, anche internazionali, di iscriversi ai corsi senza sostenere costi significativi: la quasi totalità degli atenei pubblici richiede soltanto un contributo amministrativo che è generalmente compreso tra 150 e 250 euro. Anche l’Austria permette agli studenti dell’Unione Europea di frequentare l’università senza tasse, mentre in Norvegia l’istruzione superiore è gratuita per tutti, sebbene il costo della vita sia elevato. Molti programmi sono erogati nella lingua locale, negli ultimi anni si è diffusa un’ampia offerta di master e dottorati in inglese, che mantengono comunque le stesse condizioni di gratuità.
Dal 2017 la Finlandia applica una tassa universitaria agli studenti non Ue iscritti ai corsi di laurea triennale e magistrale, lasciando però gratuiti i percorsi di dottorato. In Islanda, invece, le università pubbliche non impongono tasse, limitandosi a una quota annuale di iscrizione. A queste possibilità si affiancano numerose borse di studio messe a disposizione dai governi europei. Tra le più prestigiose figurano le Swiss Government Excellence Scholarships e le borse Ares del Belgio, rivolte a studenti internazionali interessati a percorsi di laurea triennale e magistrale.
Anche fuori dall’Europa esistono programmi di rilievo: in Asia, il Giappone sostiene gli studenti stranieri attraverso il Japanese Government Scholarship Program, che copre le tasse e offre un’indennità mensile; in Australia, l’Australian Government Research Training Program finanzia master e dottorati. In Nord America, il Vanier Canada Graduate Scholarship Program garantisce un supporto economico molto elevato ai dottorandi, con borse da 50.000 dollari l’anno. “Purtroppo – sottolinea Soffiantini – da noi mancano forme di credito per sostenere le spese”.,
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