Mafia, Stamile: «A Cetraro nuove cosche in campo ma sottovalutate»

  • Postato il 12 giugno 2025
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Mafia, Stamile: «A Cetraro nuove cosche in campo ma sottovalutate»

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Continui episodi mafiosi a Cetraro indicano nuove cosche in campo; don Ennio Stamile, come sacerdote e referente di Libera ha sempre denunciato ma forse non è stato ascoltato abbastanza


CETRARO – C’è chi, come don Ennio Stamile, parroco a Cetraro dal 2001 al 2016, la violenza mafiosa la conosce bene, per averla sentita anche su di sé, respirata. E le sue continue denunce sia come sacerdote che come referente regionale dell’associazione “Libera”, lo hanno sempre messo a rischio, ma non ha mai rinunciato a sollecitare le istituzioni a non abbassare la guardia. Cetraro, con la sua storia di sangue versato – pensiamo a Giannino Losardo – e le continue intimidazioni che indicano una recrudescenza dei fenomeni mafiosi, doveva essere un sorvegliato speciale, ma così non è stato.

Don Ennio, cosa sta accadendo a Cetraro?

«A parte gli ultimi fatti avvenuti, l’omicidio di Pino Corallo il 27 maggio scorso e ora l’incendio dei mezzi di “Ecologia oggi”, possiamo dire che negli ultimi anni ci sono stati vari episodi che sono stati totalmente sottovalutati in ordine all’importanza della strategia criminale posta in essere da determinate realtà ormai ben consolidate. E questo a prescindere dal clan storico di Cetraro, quello di Muto»

Ci sono, dunque, nuove forze in campo?

«Sì, ci sono realtà nuove che ormai si sono consolidate perché sono state a lungo sottovalutate. Per questo parlo di fallimento dello Stato, con riferimento a tutte le realtà che lo compongono, fino ad arrivare ai semplici cittadini. Sicuramente in questo momento c’è un clan che possiamo definire tale a tutti gli effetti e c’è un’associazione a delinquere che opera nel racket e nell’usura».

Come referente regionale di “Libera” ha sempre cercato di tenere alta l’attenzione su questo territorio. Perché nessuno ha ascoltato?

«Già a partire da quando ero parroco a Cetraro, per la verità, e poi anche da referente di “Libera”, ho sempre cercato di tenere alta l’attenzione, di denunciare e soprattutto di lanciare appelli e allarmi perché Cetraro stava diventando ciò che ora vediamo. Per lunghi anni siamo stati completamente disattesi insieme alle amministrazioni che si sono susseguite, mi riferisco a quella di Aieta e a quella di Aita. Anche con loro abbiamo fatto diversi appelli ma siamo rimasti inascoltati».

C’entra qualcosa l’elezione di Giuseppe Aieta come sindaco di Cetraro, con quanto sta avvenendo?

«Sicuramente sì, non c’è dubbio che si tratti di un segnale alla nuova amministrazione perché non era mai successo che un omicidio venisse consumato all’indomani di una elezione amministrativa. Nella storia di Cetraro, almeno, non era mai successo. E poi anche l’incendio doloso che c’è stato con tutti i mezzi dati alle fiamme. È evidente che oltre all’amministrazione il segnale viene dato alla città intera perché creare un disservizio di questa portata significa voler mettere sotto scacco una città, paralizzarla soprattutto d’estate attraverso un servizio necessario ed essenziale, pensiamo anche a tutte le attività di ristorazione».

In queste ore arrivano al sindaco tanti messaggi di solidarietà. Ma la solidarietà da sola non basta. Cosa bisognerebbe fare in questo momento?

«Ho sempre detto che ognuno debba assumersi la propria responsabilità a partire dalle Istituzioni, tutte, ma anche i singoli cittadini perché la ‘ndrangheta – lo ripeto ancora una volta – si nutre di collusione, di corruzione, di comparaggi, si nutre di omertà, di paura. Si nutre anche di disordine, anche lasciare un sacco di rifiuti per strada, va ad alimentare tutto questo, perché significa non avere rispetto delle regole. E si nutre anche e soprattutto di rassegnazione».

La terra che ha visto nel 1980 la morte del segretario capo della Procura di Paola, Giannino Losardo, e di tanti altri, l’elenco, purtroppo è molto lungo, come può aver dimenticato, sottovalutato ancora il pericolo? Ma allora questi morti non sono serviti a niente?

«Purtroppo è così. E lo è per una serie di motivi che riguardano un po’ tutti, anche i singoli cittadini che hanno preferito e preferiscono, ancora oggi, tacere, non parlare, non denunciare. E mi viene da pensare anche ad alcuni atteggiamenti che hanno contraddistinto alcune amministrazioni. Non è possibile sentirsi dire – soprattutto in occasione del quarantesimo anniversario dell’omicidio dell’imprenditore Lucio Ferrami, che a Cetraro c’è la droga perché ci sono i consumatori. A Cetraro c’è la droga perché c’è la ‘ndrangheta e non solo a Cetraro, ma in ogni luogo in cui si spaccia. Un sindaco non può fare questi errori. In questi ultimi anni, purtroppo, si è perso troppo tempo. La caserma dei carabinieri che avrebbe dovuto rappresentare un presidio di legalità sul territorio, ancora non c’è e questo rappresenta un ulteriore segno di fallimento».

Questo territorio, dunque, possiamo dire che è stato lasciato in balia della criminalità?

«Esatto. È stato fatto lo stesso errore degli anni ’80 e ’90 quando l’attenzione era totalmente riversata sulla mafia siciliana e la ‘ndrangheta, intanto, cresceva a dismisura in tutto il mondo. Anche qui l’attenzione è sempre stata posta soltanto sul clan Muto e intanto altre realtà criminali sono state lasciate libere di crescere e trovare il loro spazio».

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