“Malavita mia”, ovvero le confessioni di un killer in fuga: il diario segreto di Bellebuono, che scappa da ciò che resta della curva dell’Inter

  • Postato il 8 ottobre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Bellebuono era un tossico, un balordo di strada, ora è un killer. Adesso è in fuga. “Non ho più tempo”, scrive a un amico. Dall’Italia alla Bulgaria in un inverno di ghiaccio. Quello del 2024. Al secolo è Daniel D’Alessandro, entrato senza accorgersene nel giro grande degli affari criminali della Curva Nord interista. Bellebuono uomo chiave negli omicidi di Vittorio Boiocchi e Antonio Bellocco. Dopo la fuga, l’arresto e il silenzio davanti al pm. Lui non parla come invece fanno altri. Fermato nell’aprile scorso, estradato in Italia a maggio, oggi sta nel carcere di Cagliari, sezione protetti, perché in molti vorrebbero fargli la pelle. Quando scappa Bellebuono ha poco con sé, viaggia leggero. Oltre Brugherio, il confine, l’est Europa, patria di gemellaggi tra i nerazzurri e gli ultras locali. Forse in Bulgaria troverà rifugio. In tasca si tiene un’agenda della banca Unicredit. Ogni tanto la tira fuori, con penna nera ci annota pensieri e confessioni. Tante, a volte confuse, a volte in rima. E’ il suo Zibaldone. La sua catarsi da una vita di crimine e cocaina. Non ci aveva mai pensato prima, ma ora scrivere lo tranquillizza e quasi lo ripulisce. “Sogno di essere immortale – scrive – camminando con i deboli ma ho debiti con Dio e non sconfiggerò i miei demoni. Queste strade questi errori non mi hanno insegnato niente”. Chiude il diario, pochi istanti e poi lo riprende veloce. Un pensiero all’improvviso: “Parole come onore, lealtà, rispetto, tutte stronzate chi ci credeva più ormai. Malavita mia, tranquillo e consapevole aspetterò la mia sorte o la libertà o la galera o la morte. Al demone che ho dentro poi non gli ho mai sparato, me ne sono innamorato. Fino a qua tutto bene”.

Già fino a qua. Perché la sua è una fuga senza scampo. Bellebuono lo sa e già annota quello che si dovrà portare in carcere: “Coperte, lenzuola, federe, cuscini, asciugamani, vestiti, scarpe”. Bellebuono, ricostruiscono i pm, ha sparato allo Zio Vittorio Boiocchi. Lo ha ucciso. Il mandante è Andrea Beretta. Era la sera del 29 ottobre 2022. Si tatuerà una lacrima sotto l’occhio: “Lacrime fatte a tatoo così da non piangere più”. Due anni dopo avrebbe dovuto ammazzare anche il Berro Beretta che scavallava i soldi del merchandising. La pensano così Marco Ferdico e Antonio Bellocco. Lo pensava anche lo Zio e forse c’è qualcosa di vero. Ma Bellebuono di “tirare” Beretta, e assieme ai complici farlo sparire in una buca, ricoprirla con calce viva e portare la sua auto in Francia non se la sente. È vero che in questi ultimi due anni è andato a ruota al Triumvirato di Beretta-Ferdico-Bellocco che con metodi mafiosi ha guidato la Nord incassando diversi milioni di euro. È vero che Ferdico è un fratello e che Bellocco, Ça va sans dire, è un Bellocco, figlio prediletto non solo di mamma Aurora che sta svernando al 41 bis, ma di tutta la potente cosca di Rosarno. Tutto vero, ma Beretta con lui si è sempre comportato da amico, è intervenuto mentre rischiava un linciaggio allo stadio e lo ha fatto entrare nella comunità di recupero Exodus, quella di don Mazzi. E così se la canta con il Berro, notte dopo notte, incontri carbonari fino alla mattina del 4 settembre 2024, le 3.49 l’ultimo particolare sul piano omicida, poche ore dopo il Berro davanti alla palestra Testudo scanna Toto Bellocco. Per Bellebuono non c’è più scampo. Lo sa. Sa che non ha tempo. La ‘ndrangheta lo cercherà, Ferdico pure perché ora il rischio è che il Berro si penta.

Scappa Bellebuono. La voce è un tarlo. La Squadra mobile lo cerca e lo trova, gli offre protezione, lui rifiuta e racconta il progetto per uccidere Beretta. Passano le settimane, poi viene ottobre, novembre, Bellebuono scappa e sul diario annota parole semplici in bulgaro: “Ciao, come va? Bene, male”. Poi il Berro Beretta sceglie la collaborazione con lo Stato. La notizia oltrepassa i Balcani e lo raggiunge in Bulgaria: “Malavita mia – annota con una scrittura veloce e quasi incomprensibile – , ora di me dicono che sono cattivo come un temporale e potente come un tuono, ma sono solo Bello e buono”. Come gli capita spesso, i pensieri lo raggiungono senza avvertire, sono flash malsani che alimentano la sua mente psichedelica. Pensa all’ex amico Beretta, e lo fa in rima perché Bellebuono è sempre Bellebuono: “A te ho dato tanto forse tutto e tu in cambio mi hai distrutto. C’è chi crede in Gesù chi in Padre Pio, ma l’infamità che c’è dietro la fede la sa solo Dio”. Per inciso il Berro a verbale si professerà devoto del santo di Pietrelcina. Tanto che i giorni dopo l’omicidio Boiocchi andrà nel comune del Beneventano. Bellebuono si rivolge al Berro: “Perché mi hai fatto questo, la colpa è tutta tua che mi hai sedotto e abbandonato”. Riflette ancora: “Sopravvive sempre e solo chi in fondo non si fida mai di nessuno. E un errore fatto in buona fede a certi livelli diventa un errore imperdonabile”.

Il 12 febbraio 2025 finalmente la Squadra Mobile di Milano lo scova in Bulgaria. Ad aprile è ancora lì. Pochi giorni dopo il Tribunale di Milano firma gli arresti per l’omicidio Boiocchi. D’Alessandro è tra i destinatari. Sarà catturato e messo in carcere in Bulgaria. Il killer in fuga non è più in fuga, ma i suoi pensieri corrono ancora veloci dalla penna al diario: “Malavita mia, sono andato per grazia e ho ricevuto giustizia in Bulgaria. Adesso sto qua e aspetto la mia condanna, ma sono morto dentro e ogni tanto do cenni di vita come sul letto di ospedale e se adesso è giunto il momento di morire anche fuori bè sono pronto per te malavita mia”. Poi ricorda: “Il giorno prima per un banale errore non mi avevano arrestato, ma avevo capito che erano lì per me, non sono scemo. Non si scappa, vince sempre la legge. E quando arriva il momento o si affronta o si fugge. Non nego di averci pensato, ma senza soldi e senza amici non si può fare il latitante, sono andato incontro all’uomo e un secondo dopo avevo le manette e la testa sul selciato”. Poi: “Mi hanno appena comunicato che verrò estradato”. Quindi l’ultimo pensiero ad Andrea Beretta: “Certo mai avrei pensato per un delitto tanto efferato, ma quel mezzo uomo per salvarsi il culo chissà cosa ha cantato”. Sempre in rima perché lui è bello e buono e “finché non si muore ridi sempre”. È il 9 maggio, Daniel D’Alessandro ammanettato sta per tornare in Italia. Il suo diario sarà trovato nella cella del carcere bulgaro. Ora sta nella sezione protetti. Non parla, non confessa. E forse non sorride più.

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Il Fatto Quotidiano

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