Marco Dixit, l’approccio gentile della divulgazione

  • Postato il 22 giugno 2025
  • Di Panorama
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Master a Torino sulla comunicazione digitale, di quelli che hanno un nome lunghissimo, fino a un paio di anni fa, era consulente per le aziende in veste di social media marketing manager: “Digital Strategy e Social Media Manager”, o, come si autodefinisce ironicamente lui, “l’omino dei social”. Fino al maggio del 2021, quando un po’ per gioco, un po’ per sfida contro i sedicenti comunicatori di dubbia moralità e competenza, ha pubblicato il suo primo video.

Stoltiloquio, bindoleria, pusignare, burbanzoso mencio: sono solo alcuni tra i vocaboli ormai in disuso, ai quali Marco Ballarè regala nuova vita, riproponendoli e spiegandone origine e curiosità nel suo profilo @marco.dixit, una pagina piena di parole rare, dimenticate, utili e preziose, ma soprattutto, una pagina piena di sapere, un sapere spiegato in maniera chiara e gentile.

Usiamo il termine “gentile” non a caso, perché è l’aggettivo in cui Marco si vorrebbe identificare, anzi, in cui pienamente si identifica, aggettivo considerato il mantra del suo modo di condividere il proprio sapere.

Marco, so che ci tieni molto a comunicare e condividere i tuoi contenuti in maniera gentile (tra l’altro in totale armonia con il tuo aspetto fisico).

“Esatto. Per me c’è un aspetto fondamentale  nel comunicare, che risiede nel porsi in una maniera cortese, estremamente pacata. Oltre ovviamente alla qualità del contenuto, questo aspetto è indispensabile: oggi si urla un sacco, si grida troppo, si strepita, facendo sensazionalismi a caso, le persone ti sbattono in faccia la loro fisicità. Questo a me non è mai piaciuto. Quindi vado nella direzione opposta, anche se la gentilezza non sarà mai mainstream.  

Questa passione per l’origine delle parole ti ha accompagnato fin da quando eri studente?

“Sì, e tra l’altro è una specie di malattia, una cicatrice che hanno tutti gli studenti o ex studenti che hanno fatto il liceo classico: prima o poi ti devono far sapere di averlo frequentato!” – ci racconta sorridendo. “Al liceo, ho avuto la possibilità di realizzare un progetto, che possiamo definire il fratellino minore dell’Erasmus, che consisteva in scambi culturali con altre scuole superiori dell’Unione Europea, e la contestuale realizzazione di progetti e testi scritti. Io ero nel team il cui compito era quello di analizzare l’origine delle parole italiane che derivavano dal latino e dal greco: praticamente, un infinità. Per me fu una specie di folgorazione: scoprire, per esempio, che da una singola parola latina, ne possono fuoriuscire dieci italiane, mi aveva colpito tantissimo. Me ne infatuai perdutamente.

Una passione che aspettava solo di  essere scoperta e condivisa. Quali sono i riscontri che stai ottenendo?

Quando ho iniziato, nel 2021, a tutto ho pensato fuorché questo diventasse il mio mestiere. Ancora adesso a volte fatico a crederlo, ma non lo dico assolutamente con autocelebrazione. Sono rimasto positivamente colpito da quanto interesse la gente abbia per questo tipo di tematiche, che nella mia testa assumevano un che di polveroso, quasi noioso. Invece ho scoperto che non è così. Tanti, tantissimi posso dire, si interessano al tema della lingua italiana, alle parole dimenticate, a quelle che non si usano più, semplicemente perché vogliono imparare vocaboli nuovi. E questo vale per la fascia tra i trenta e quarant’anni, i più attenti al profilo, ma anche studenti e over 65. I riscontri sono ben oltre le mie aspettative, anche le più rosee che potessi avere”.

Ti ricordi la prima parola di cui hai spiegato l’etimologia? La tua prima “protagonista”?

“La primissima parola da cui tutto è cominciato, riguardava l’etimologia del termine: “fenomeno”. Dal greco phainō, mostrarsi, apparire, e il riferimento non era casuale: l’avevo scelta in risposta a chi, nel mio lavoro, si sentiva un fenomeno (phainomenon), maestri che spargevano grandi (e alquanto assurde) promesse con la comunicazione online, i “faccio tutto io”, apparendo fin troppo.

E qualche derivazione inaspettata, che ti ha stupito?

“Mi aggancio a questa domanda per dire che in questo lavoro c’è davvero una scoperta continua. I video li faccio davanti alla mia libreria, e gli scaffali che mi fanno da sfondo, traboccano di manuali e vocabolari storici, testi antichi, sui quali io passo tempo a cercare parole nuove, spulciandoli uno per uno, in primis per cultura personale. E poi da lì parto per fare analisi e approfondimenti, per vedere se trovo qualcosa di interessante. La cosa bella e che mi sembra talmente profondo il materiale da cui attingere, che potrei andare avanti per altre cinque vite e non sarebbero ancora abbastanza per conoscere tutto! Questo aspetto è davvero affascinante. Una delle cose che però mi aveva colpito di più ai tempi, è stata l’origine della parola “pupilla”, quella dell’occhio. Pupilla è il diminutivo di pupa, che in latino sta per bambina o piccola bambola. Mi chiedevo quindi cosa avesse a che fare una bambolina con la pupilla. Il motivo è presto detto: se tu fissi dritto negli occhi il tuo interlocutore, nelle sue pupille, vedrai la tua immagine riflessa e capovolta piccola piccola, come una mini bambolina”.

Questa indiscrezione sul termine pupilla è presente anche nel tuo libro uscito un paio di anni fa, dal titolo “Con parole tue”. Non è scontato che un libro sulle parole sia scritto bene, e ancor meno, che offra scorrevolezza nella lettura. Il tuo, invece, è così: colto, ma con la capacità di non prendersi troppo sul serio.

“L’obiettivo è proprio quello di staccarmi completamente dall’idea di passare nozioni o presenziare a incontri in maniera  noiosa e ampollosa. Anche quando creo i miei contenuti. La cosa più difficile è riuscire a trovare le informazioni giuste da poter sintetizzare  in un video di 40 secondi. Il livello di approfondimento, proprio per la grammatica del mezzo, non sarà mai pari a quello offerto durante una lezione universitaria; io cerco però di attrarre l’ascoltatore o il lettore con semplicità e gentilezza, senza risultare borioso. Amo spiegare il  rapporto tra le parole e il linguaggio consapevole, l’importanza di sceglierle con maggiore coscienza, se possibile, verso il bene.”

Come scrive Marco Dixit nel suo libro, infatti: “La curiosità non  è solo un piccolo prurito intellettuale che scompare dopo essere stato sedato, ma è da intendere come primo passo verso la conoscenza. Senza curiosità non c’è conoscenza. E senza conoscenza, non c’è progresso”.

Autore
Panorama

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