Marco Giunio De Sanctis, il Paralimpismo e il filo invisibile di una rivoluzione silenziosa - ESCLUSIVA

  • Postato il 6 novembre 2025
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Il 26 giugno 2025 segna una data di svolta nella storia del movimento paralimpico italiano. Al Centro di Preparazione Olimpica “Giulio Onesti” di Roma, il Consiglio Nazionale Elettivo del Comitato Italiano Paralimpico (CIP) ha proclamato presidente Marco Giunio De Sanctis, eletto con un consenso unanime a coronamento di un percorso personale e istituzionale che si intreccia con quarant’anni di storia dello sport per persone con disabilità in Italia.

Candidatura unica sostenuta da tutto il sistema sportivo, ha rappresentato una “soluzione unitaria” per garantire continuità e rinnovamento dopo i venticinque anni di presidenza di Luca Pancalli.

De Sanctis è una figura pragmatica, concreta. Vita e professione forgiate dall’esperienza.

Prima del dirigente, c’è stato l’atleta. Romano, cresciuto tra calcio e bocce, si afferma nella raffa: campione d’Italia juniores, campione del mondo Under 21, in nazionale Maggiore dal 1986 al 1991.

Io c’ero, fin dall’inizio

“La mia storia è semplice, ma attraversa una rivoluzione. Ero un calciatore finché un incidente mi ha tolto l’illusione di continuare. Ho dovuto reinventarmi. Le bocce, sport che già da ragazzo mi aveva regalato soddisfazioni, sono diventate il mio totale campo d’azione. Ho ricominciato da lì, trasformando una menomazione in una possibilità, riscoprendo che lo sport non è solo performance, ma rinascita”.

Nulla rispetto a forme di disabilità importanti, ma abbastanza per viverne il contesto.

“Ci entrai con diffidenza. Negli anni Ottanta le persone disabili erano invisibili, quasi nascoste. Non mi piaceva: un ambiente che non riconoscevo mio. Ma lentamente cambiò tutto: nel 1987 arrivò il riconoscimento giuridico del CONI per le federazioni delle disabilità fisiche e intellettive, e nel 1990 nacque la FISD, la Federazione Italiana Sport Disabili. Io c’ero, fin dall’inizio”.

Dietro il consenso trasversale per De Sanctis si legge la biografia di un dirigente che ha vissuto lo sport in ciascuna dimensione: atleta di alto livello, presidente di società, docente di diritto sportivo, segretario generale, presidente federale e costruttore di architetture istituzionali. De Sanctis entra nel mondo paralimpico nel 1985, quando ancora si chiamava Federazione Italiana Sport Handicappati.

Da allora ne attraversa tutte le trasformazioni, reggendo per vent’anni la Segreteria Generale della FISD – poi CIP –, curando i dossier di Roma 2004 e Torino 2006 e guidando la missione italiana a sette Paralimpiadi, fino a Rio 2016. Dopo il passaggio del CIP a ente pubblico nel 2017, assume la presidenza della Federazione Italiana Bocce, dove integra in modo stabile la boccia paralimpica, e sviluppa le bocce per persone con disabilità fisiche e intellettivo relazionali, facendone crescere la base a oltre 2.500 tesserati e 275 società affiliate.

Il paralimpismo e la portata di una rivoluzione culturale

La sua elezione alla guida del CIP appare la naturale prosecuzione di un percorso coerente, fondato su una visione inclusiva e territoriale. Non a caso, nel discorso d’insediamento, De Sanctis ha fissato tre priorità: riorganizzare gli uffici centrali, rafforzare l’autonomia dei comitati regionali e completare il progetto di riqualificazione del Centro Paralimpico delle Tre Fontane, destinato a diventare un hub moderno e accessibile, simbolo della nuova fase.

“Ho lavorato con tre presidenti: Marson, Vernole e poi Pancalli, con cui sono stato segretario generale per diciassette anni. Mi sono occupato della parte statutaria e regolamentare, di fatto il motore operativo. Quando il movimento è diventato ente pubblico, sono tornato al primo amore, le bocce, fino alla candidatura per la guida del CIP”.

Per comprendere la portata di questa transizione, occorre guardare alle radici del movimento che De Sanctis eredita. La storia del CIP affonda le sue origini nelle palestre di Villa Marina a Ostia, dove il medico INAIL Antonio Maglio trasformò negli anni Cinquanta lo sport da terapia in progetto culturale. Da quella intuizione nacque Roma 1960, la prima Paralimpiade ufficialmente riconosciuta dal movimento internazionale: un evento fondativo che rese l’Italia uno dei Paesi culla del paralimpismo moderno.

Marco Giunio De Sanctis (2° da destra) posa insieme alle principali figure Istituzionali accanto alle medaglie dei Giochi olimpici e paralimpici invernali di Milano-Cortina 2026 durante la cerimonia di inaugurazione a Palazzo Balbi a Venezia

Strategia, promozione e normative: dalla FISHa al CIP

Nel corso dei decenni, il movimento si è evoluto attraverso sigle e riforme: dalla FISHa degli anni Ottanta alla FISD del 1990, fino al definitivo riconoscimento del CIP nel 2005. Il passaggio a ente pubblico nel 2017, sancito dal decreto legislativo 43, ha consolidato la sua autonomia e il suo ruolo strategico nella promozione e gestione dello sport per persone con disabilità. Oggi il CIP aderisce all’International e all’European Paralympic Committee ed è la confederazione nazionale delle Federazioni e Discipline Sportive Paralimpiche.

Il percorso del movimento è stato costellato di successi. Dalle 80 medaglie e dal primo posto nel medagliere di Roma 1960, con le imprese di Maria Scutti, ai 71 podi di Parigi 2024 – record assoluto del dopoguerra –, l’Italia si è mantenuta ai vertici mondiali. I volti di questa epopea, da Roberto Marson a Francesca Porcellato, da Alex Zanardi a Bebe Vio, hanno trasformato la percezione pubblica dello sport paralimpico, facendone un patrimonio collettivo.

Il 2017 ha segnato anche l’apertura del Centro di Preparazione Paralimpica delle Tre Fontane, inaugurato alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che lo definì “il sogno di tutta l’Italia”.

Un impianto che oggi torna al centro del programma di De Sanctis come simbolo di una nuova infrastruttura paralimpica diffusa, accessibile e sostenibile.

“Ci sono state tappe fondamentali. Nel 1981 un episodio simbolico ma decisivo: un atleta canadese, amputato, saltò 2,04 metri in alto. Fu un risultato incredibile, superiore a quello di molte atlete normodotate, e portò grande attenzione sul tema. Nel 2003, grazie a una legge dello Stato, nacque ufficialmente il Comitato Italiano Paralimpico (CIP), con doppio riconoscimento: dal CONI e dallo Stato. Poi, nel 2017, il CIP è diventato ente pubblico di diritto. Sono stati passaggi epocali e velocissimi. Il CIP oggi è un ente pubblico come il CONI, ma non ha beneficia ancora della stessa immagine e deve acquisire più considerazione dalle istituzioni e dall’opinione pubblica”.

La storia di De Sanctis è diventata anche una lezione di resilienza. Diretto, sobrio, privo di retorica, intriso di passione civile. Crede nel merito, nella responsabilità e nel valore dell’impegno quotidiano più che nei riflettori.

Ha una visione lucida e sistemica dello sport, che è strumento di equità e cittadinanza. Rifiuta le scorciatoie ideologiche e cerca invece la concretezza delle reti territoriali, delle strutture, della formazione. Animato da un profondo senso etico. Nei toni avverti la pazienza di chi ha costruito passo dopo passo, ma anche l’urgenza di chi sa che il cambiamento non può più aspettare.

Marco Giunio De Sanctis

Lo sport è un diritto irrinunciabile, universale

La missione è ampia: curare la preparazione olimpica e paralimpica di alto livello, ma anche promuovere la pratica sportiva in condizioni di uguaglianza, stipulare convenzioni con scuole, strutture sanitarie e unità spinali, sostenere le società sportive e combattere ogni forma di discriminazione e doping. È, a tutti gli effetti, una leva di politica pubblica per l’inclusione sociale. Il modello a cui guarda De Sanctis è quello anglosassone. Cultura e sport.

“Scuola primaria, secondaria, medie, liceo. Visione e mentalità: si fa sport e si studia con la medesima attenzione. Ho avuto la fortuna di vivere l’esperienza in prima persona ma è un privilegio non accessibile a tutti. I numeri in Italia raccontano una realtà che chiede ancora attenzione. Gli atleti con disabilità che praticano attività sportiva ufficiale sono circa 25-26 mila: pochi, se confrontati con altri Paesi e rispetto al potenziale. La causa non è solo organizzativa, ma culturale e strutturale. Lo sport non è ancora percepito come un diritto irrinunciabile, universale: ma lo è perché sport è salute, benessere psicofisico. Le barriere non sono solo architettoniche, ma mentali. Servono strutture accessibili, meno costi, più servizi alle società sportive. E soprattutto serve una rete che unisca scuole, ospedali, ASL, associazioni e società sportive. Senza la base, lo sport non respira. La scuola può accendere la scintilla, ma è la continuità che costruisce una comunità”.

La cifra del nuovo presidente è quella di un dirigente con una profonda conoscenza del sistema e un senso di giustizia che spesso si traduce in fermezza istituzionale.

Ne sono esempi due episodi recenti: la denuncia pubblica, durante gli European Para Youth Games 2025 di Istanbul, delle inaccettabili condizioni igienico-sanitarie degli alloggi (“oggi tutto questo non è più accettabile”), e l’immediata richiesta all’International Paralympic Committee del riconoscimento del bronzo a Giacomo Perini dopo la sentenza del TAS di Losanna su istanza presentata dalla precedente governance del CIP. In entrambi i casi, De Sanctis ha difeso con decisione la dignità e i diritti degli atleti, riaffermando che la tutela legale e morale è parte integrante della missione del CIP.

Obiettivi, impegno, mandato: il quadriennio di De Sanctis

Sul piano strategico, De Sanctis individua nel binomio “grandi eventi e comunicazione” la chiave per far crescere partecipazione e cultura sportiva.

“L’Italia è un unicum perché il CIP è un ente di diritto pubblico. Possiamo essere modello per il mondo, a patto di allineare sempre più la macchina paralimpica e quella olimpica e di investire in comunicazione”.

Il mandato di De Sanctis si apre con obiettivi chiari: rafforzare l’autonomia dei comitati territoriali per attrarre maggiori mezzi e risorse attraverso gli enti locali, incrementare in maniera notevole il numero dei reali praticanti attività sportiva paralimpica, investire sugli impianti accessibili e costruire tre poli paralimpici (Nord, Centro, Sud) con centri regionali multidisciplinari. La sfida del CIP è trasformare le risorse in una presenza capillare nel Paese, attraverso regole più agili e una comunicazione coordinata.

“Per i prossimi anni il mio impegno si muove lungo tre direzioni: territorio, formazione e impiantistica. Bisogna rafforzare i progetti di base, perché le medaglie rappresentano solo il 5% del movimento: il restante 95% è inclusione, partecipazione, comunità. Occorre formare nuove figure professionali, non solo tecnici d’élite, ma esperti, avviatori, promotori capaci di costruire reti e opportunità. E serve un piano nazionale per l’impiantistica, perché troppe strutture restano inaccessibili e il divario tra nord e sud è ancora profondo”.

Un laboratorio di innovazione e responsabilità

Dal sogno di Antonio Maglio a Villa Marina – quando lo sport divenne per la prima volta strumento di dignità e guarigione – fino alla presidenza di De Sanctis, la storia del movimento paralimpico italiano è quella di un Paese che sta imparando a guardare la disabilità come risorsa.

Dopo le parole di Luca Pancalli al termine di Parigi 2024 – “Siamo entrati nel cuore degli italiani” –, il compito del nuovo presidente è trasformare lo spiraglio in una visuale a campo aperto: far sì che lo sport paralimpico sia percepito come parte costitutiva dell’identità sportiva e civile italiana.

In questa prospettiva, il quadriennio 2025–2028 si presenta come un laboratorio di innovazione e responsabilità. Tra memoria e futuro, il CIP guidato da De Sanctis ha davanti a sé la sfida più alta: fare dello sport il linguaggio comune di un’Italia pienamente inclusiva.

“Coni e Cip devono andare di pari passo, con unità d’intenti”, ha affermato nel giorno dell’elezione. È l’essenza della sua visione: uno sport unico, capace di unire e di rappresentare, nel corpo e nello spirito, la nazione.

Il rapporto con i giovani è una delle leve cruciali

“I giovani atleti paralimpici sono ambasciatori di un messaggio di speranza e di cambiamento. Le nuove generazioni hanno bisogno di comprendere appieno il senso del valore e della responsabilità. Il rispetto, la dedizione, l’impegno non sono virtù antiche ma necessità presenti. Servono educazione civica, cultura sportiva e formazione. Gli idoli mediatici – i Sinner, Tomba, Zanardi, Bebe Vio – non bastano: abbiamo bisogno di modelli diffusi, di esempi quotidiani. Anche nel mondo paralimpico, la conoscenza è la chiave: sapere cosa comporta una disabilità, comprendere come funzionano le classificazioni, riconoscere il valore tecnico e umano degli atleti. Solo la conoscenza genera rispetto. Ci sono atleti che incarnano il senso più vero di questa missione: Paola Fantato, Oscar De Pellegrin, Francesca Porcellato, Simone Barlaam, Giulia Ghiretti, Assunta Legnante. E poi simboli come Zanardi, Vio, Martina Caironi, Ambra Sabatini. Persone che non cercano né pietà né eroismo, ma rispetto: semplicemente atleti, cittadini, testimoni di un valore autentico”.

De Sanctis dice tra le righe una verità. Il racconto del movimento paralimpico è frammentato, confinato ai momenti di gloria olimpica. Manca una narrazione continua, attenta, capace di spiegare e non solo celebrare: che metta al centro le persone, non solo le prestazioni.

“Milano-Cortina può essere una svolta. Come Torino 2006, può cambiare la mentalità del Paese. Non solo un evento sportivo, ma un’occasione di rinnovamento culturale, un’eredità che resti nelle coscienze più che nelle infrastrutture. È questa la sfida più grande: far sì che il movimento paralimpico non sia più percepito come un mondo a parte, ma come parte piena della nostra società. Chiedo maggiore considerazione anche alla luce della crescente domanda paralimpica. Non riconoscimenti formali, ma partecipazione sincera. Mi piacerebbe arrivare al punto in cui il movimento paralimpico venga sentito, compreso, vissuto. Perché lo sport, quando è davvero inclusivo, non cambia solo chi lo pratica e lo vive ma incide su chi lo guarda e lo racconta”.

Autore
Virgilio.it

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