Massacro degli alawiti: un nuovo rapporto denuncia il coinvolgimento del governo siriano negli stermini

  • Postato il 1 luglio 2025
  • Di Panorama
  • 3 Visualizzazioni

Un’approfondita indagine condotta da Reuters ha portato alla luce nuovi elementi riguardanti l’uccisione sistematica di circa 1.500 cittadini siriani appartenenti alla minoranza alawita, durante un’ondata di violenza mirata che si è abbattuta sulla costa mediterranea tra il 7 e il 9 marzo 2025. L’inchiesta documenta un piano coordinato da gruppi legati al nuovo esecutivo siriano, delineando una struttura gerarchica che arriva fino ai vertici istituzionali di Damasco. Secondo le rilevazioni di Reuters, gli omicidi non si sarebbero mai interrotti. Le violenze sono scoppiate in risposta a una sollevazione filo-Assad avvenuta il 6 marzo, che aveva provocato la morte di circa 200 agenti delle forze dell’ordine. In segno di ritorsione, formazioni armate e reparti collegati al governo – molti dei quali composti da ex insorti e militanti e jihadisti sunniti – hanno dato il via a incursioni su larga scala contro insediamenti alawiti. L’indagine ha censito almeno 40 località teatro di esecuzioni, saccheggi e distruzioni sistematiche. Il dossier, corredato da testimonianze e materiale visivo cruento, evidenzia l’entità delle atrocità commesse: si parla di stermini meticolosi, con interi casati sterminati e interi villaggi abbandonati.

Reuters ha verificato i fatti raccogliendo prove da più di 200 interviste con familiari delle vittime, autorità locali e comandanti, oltre a visionare filmati, fotografie, elenchi scritti a mano delle vittime e messaggi diffusi tramite un canale Telegram controllato dal governo. Le testimonianze riferiscono atti di barbarie estrema: mutilazioni, umiliazioni pubbliche e racconti angoscianti di superstiti che vivono tuttora nel terrore.

Intervistato pochi giorni dopo i massacri, il presidente siriano Ahmed al-Sharaa ha stigmatizzato gli episodi di violenza, definendoli un ostacolo al progetto di pacificazione nazionale. Ha promesso giustizia anche nei confronti di eventuali responsabili interni alle istituzioni. «Abbiamo lottato per difendere gli emarginati e non permetteremo che il sangue venga versato impunemente – ha dichiarato – né che le colpe vengano nascoste, nemmeno se coinvolgono elementi a noi vicini».

Dalla stessa inchiesta emerge che tra le forze direttamente coinvolte vi sono il Servizio di Sicurezza Generale – che all’epoca era l’organo repressivo di riferimento sotto il controllo di Hayat Tahrir al-Sham (HTS) a Idlib, poi integrato nel Ministero dell’Interno – oltre ad ex reparti d’élite HTS come l’Unità 400 e la Brigata Othman. Coinvolte anche milizie sunnite recentemente inglobate nell’apparato statale, tra cui la Brigata Sultan Suleiman Shah e la Divisione Hamza, già sanzionate da Bruxelles per il loro ruolo nei massacri. L’Unione Europea, tuttavia, non ha preso provvedimenti contro le ex unità HTS, mentre Washington non ha ancora applicato alcuna sanzione in merito.

Diversi dei responsabili avrebbero agito seguendo veri e propri elenchi di proscrizione. Tra i nomi presi di mira figuravano ex miliziani filo-regime, in precedenza amnistiati dal nuovo governo. I loro cognomi sarebbero stati successivamente riscontrati nei registri dei caduti compilati a mano dagli anziani dei villaggi. Sopravvissuti hanno riportato che i corpi dei loro cari erano stati sottoposti a orrende mutilazioni.  Molti degli assalitori, travisati e armati, si sarebbero concentrati in roccaforti del potere attuale come Idlib, Homs, Aleppo e la stessa Damasco. Quando le colonne di mezzi blindati hanno preso la via della Siria occidentale, la notte è stata scossa da cori come «Sunniti, sunniti», intervallati da slogan ritmati che incitavano allo sterminio degli alawiti. Queste scene sono state confermate da filmati verificati da Reuters. Numerosi video mostrano miliziani infierire su uomini alawiti, costretti a strisciare a terra e a emettere versi animaleschi. In alcune registrazioni, presumibilmente girate dagli stessi aggressori, appaiono pile di cadaveri insanguinati. Le vittime appartenevano a famiglie intere, comprese donne, anziani, persone con disabilità e bambini, uccisi in decine di centri abitati a prevalenza alawita. In un quartiere, 45 delle 253 vittime erano donne. In un altro, tra i 30 morti contati, 10 erano minori. In un caso, un’intera cittadina alawita è stata svuotata in appena 24 ore, con l’insediamento forzato di famiglie sunnite. Secondo oltre 200 dichiarazioni raccolte da sopravvissuti e testimoni oculari, ogni raid iniziava con la stessa domanda: «Siete sunniti o alawiti?» La dinamica dei massacri mette a nudo le profonde fratture settarie che continuano a segnare la Siria, in particolare tra gli alawiti, storicamente legati all’ex presidente Bashar al-Assad, e le forze sunnite oggi al governo. Diverse città colpite restano tuttora disabitate.

Ex jihadisti al goveno e al comando dell’esercito

A guidare l’apparato militare siriano c’è Abu al-Abd Ashidaa, comandante noto per la sua opposizione sia al regime di Assad sia alle aperture negoziali promosse da Ankara e Doha. In passato è stato parte di HTS ma ne è uscito criticando la leadership per “eccessiva moderazione”. Secondo le informazioni raccolte dall’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, Ashidaa sarebbe oggi responsabile delle operazioni di sicurezza lungo la fascia costiera e avrebbe coordinato alcune delle repressioni più brutali contro le comunità alawite accusate di simpatizzare con il vecchio regime. Sul piano ideologico, il punto di riferimento resta Abu Mariya al-Qahtani, ex comandante del Fronte al-Nusra, di origine irachena, noto per la sua visione pan-islamista e il rigetto di qualsiasi soluzione politica con Israele o l’Occidente. Pur non ricoprendo cariche formali, Qahtani agisce come consigliere ombra e ideologo per numerosi leader militari. Insieme a lui, una figura chiave è lo sceicco Abdul Razzaq al-Mahdi, teologo salafita molto rispettato tra le fila dei miliziani, incaricato – secondo quanto trapela da fonti interne – di riformare il sistema giudiziario secondo la legge islamica (Sharia). Questo intreccio tra ex combattenti jihadisti, predicatori salafiti e leader tribali ha prodotto un’inedita architettura di potere che si regge sull’alleanza tattica tra formazioni radicali e settori pragmatici del vecchio Stato siriano. Ne è esempio il nuovo Ministero della Sicurezza Interna, affidato a ex ufficiali jihadisti riconvertiti, che lavorano a stretto contatto con le milizie armate sorte durante la guerra. Nonostante l’ampiezza delle atrocità, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo che prevede l’eliminazione di tutte le sanzioni americane nei confronti della Siria e lo stesso ha in precedenza l’Unione Europea. L’annuncio ufficiale della Casa Bianca specifica che in cambio Damasco dovrà espellere dal proprio territorio tutti i gruppi terroristici palestinesi, avviare un processo di normalizzazione diplomatica con Israele e assumere la gestione diretta delle prigioni dove sono detenuti gli oltre 10.000 combattenti dell’ISIS. Un compito che, allo stato attuale, appare estremamente complesso per il governo guidato da Ahmed al-Sharaa che anche se si è accorciato la barba resta sempre un jihadista.

Autore
Panorama

Potrebbero anche piacerti