Massimo Montanari è in libreria con la "Geografia del gusto"
- Postato il 25 aprile 2025
- Di Agi.it
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Massimo Montanari è in libreria con la "Geografia del gusto"
AGI - Professore emerito all'Università di Bologna, dove ha fondato il Master in Storia e cultura dell'alimentazione, riconosciuto uno dei maggiori esperti internazionali in questo campo (che ricomprende anche i piani dell'economia, delle istituzioni e della cultura), autore di libri tradotti in tutto il mondo, Massimo Montanari è appena tornato sugli scaffali con ‘Geografia del gusto' (Touring Club Italiano). Un testo agile, documentato e ricco di spunti e correlazioni tra l'evoluzione socio-culturale e quella paesaggistica ed enogastronomica d'Italia, a proposito del quale l'Agi ha chiesto informazioni proprio a lui.
Partiamo dalla terra: quale rapporto lega paesaggio e cibo nel nostro Paese?
Un legame ovvio, visto che tutto ciò che mangiamo proviene in maniera anche indiretta dalla terra, che però da noi si declina con varietà straordinaria. Nella geografia d'Italia è concentrata un'eccezionale molteplicità di ambienti, cui va sommata un'altrettanto variegata storia di genti e culture succedutesi e sovrappostesi sul territorio: una sorta di “congiura” che ha creato usi legati ai paesaggi e ai cibi straordinariamente diversi. Come sottolineo nel libro, parlando di paesaggio non dobbiamo riferirci alla geomorfologia, ma al territorio plasmato dall'uomo, in cui si intersecano natura e cultura: è un concetto che appartiene a una geografia di popoli. Io racconto come il gusto sia strettamente legato ai luoghi. E capire che in esso è contenuta la loro storia diventa il modo più semplice ed efficace per recuperare quella consapevolezza di ciò che mangiamo oggi appannata dall'opportunità di trovare ogni genere di cibo nei negozi, in ogni stagione.
La differenza ‘politica' tra Nord e Sud Italia viene storicamente letta nel suo libro attraverso il codice del cibo: può spiegarci?
In ‘Geografia del gusto' ho sottolineato una realtà diffusa nella storia della cucina italiana: la città che rappresenta il territorio, lo domina e se ne fa carico. Tanti prodotti rurali, nel nostro linguaggio comune, sono conosciuti con denominazioni di origine urbana, il che appare comprensibile per le ricette, ma assai meno per frutti della terra e alimenti di origine animale, legati alla campagna. E' un tratto che caratterizza soprattutto il Centro Nord, dove le città hanno avuto agio di costituirsi come autonome, mentre nel Regno di Napoli la presenza di una grande capitale ha occultato il ruolo degli altri centri urbani, privilegiando zone rurali, borghi e paesi. Si tratta ovviamente di una figurazione prevalentemente politica, perché anche al Sud le città hanno rivestito importanza, specie come centri di mercato, finendo però per scomparire nel racconto letterario del cibo. Una differenza nata dalle dissimili vicende storiche delle diverse aree.
Secondo la sua analisi, l'unificazione tra i ceti passa dalla tavola: fino a che punto nel nostro Paese la cucina si è intersecata con la cultura?
Devo correggerla: non esiste distinzione, il cibo è cultura. Cosa si intende, infatti, con questo termine? Tutto ciò che le società umane scelgono di fare non perché vi sono determinate geneticamente: l'uomo è onnivoro, e compie scelte lungo tutto il percorso che intercorre tra terra e tavola del suo cibo. Dal riconoscimento delle risorse da utilizzare per la preparazione, agli accostamenti di sapori, fino al modo di servire le pietanze. Scelte che cambiano nel tempo e nello spazio, incarnando un fatto culturale. Le cucine sono diverse perche tali sono le identità.
Lei scrive che il ricettario del 1891 ‘La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene' di Pellegrino Artusi ha fatto per l'unificazione nazionale più di quanto non sia riuscito a ‘I promessi sposi'di Manzoni, perché?
Cito una frase di Piero Camporesi, che e stato figura di spicco nella riscoperta del valore culturale del cibo e la scriveva nel 1970, introducendo il testo di Artusi. Già la sua pubblicazione in una collana Einaudi costituiva un fatto rilevante, all'epoca: un ricettario veniva trattato come letteratura. Ma Camporesi notava che Artusi ha svolto un ruolo chiave nell'unificare i mondi della cucina, raccontando ricette da varie parti d'Italia in anni in cui rafforzare un'identità comune rappresentava l'obiettivo politico di una nazione nascente. D'Azeglio diceva: fatta l'Italia bisogna fare gli italiani, ma esistevano da tempo, come prova il risalire al Medioevo di una nostra cultura alimentare. Per l'unità nazionale serviva allargare l'idea di condivisione di modi di vivere quotidiani, ma il discorso di Camporesi vale anche sul piano linguistico, perché per raccontare la cucina era necessario farsi capire usando una lingua comprensibile a tutti. Un'operazione simile a quella compiuta da Manzoni, solo che non ogni italiano legge romanzi, ma di certo cucina. Per questo può dirsi che l'unificazione si sia realizzata anche grazie ad Artusi, includendolo tra i tasselli di questa nuova costruzione culturale identitaria.
Nel suo libro si parla dell'idea di cucina di territorio come elemento indicatore di modernità, citando al proposito addirittura la ‘Dichiarazione dei diritti dell'uomo': le trasformazione del gusto in un determinato luogo possono corrispondere a quelle del suo livello di democrazia?
Cita la Dichiarazione dei Diritti dell'uomo del 1789 in maniera ironica, ma senza quel passaggio ideologico l'idea che le persone sono diverse a seconda della classe sociale sarebbe rimasta modello condiviso, in base al quale ognuna deve mangiare il suo cibo. I differenti stili di cucina erano legati alle classi, più che ai luoghi: si potevano permettere di scegliere cibi locali solo quei pochi che facevano parte dell'elite, ma puntavano a costruire una cucina globale. Mischiare prodotti di diversa provenienza li distingueva dai contadini dediti a cucine territorialmente limitate. Sull'onda dell'idea rivoluzionaria che gli uomini sono tutti uguali, nella percezione del cibo diventa concettualmente possibile spostare il tema dalla distinzione tra persone a quella tra luoghi. L'oggi ovvia constatazione che esistano cucine diverse a seconda dei territori, si afferma solo nell'Ottocento. Una svolta intellettuale che consente di valorizzare il concetto di gastronomia locale e fa nascere un modello, rafforzato molti anni dopo dalla globalizzazione, che rischierà di minare la nozione di differenze. Oggi la cucina è valvola di sicurezza psicologica per sentirsi vicini al proprio luogo d'origine: una dimensione popolare è diventata di tutti.
‘Geografia del gusto' si chiude segnalando la necessità di una mappatura cartografica del nostro patrimonio gastronomico: ci sta lavorando?
A proposito della mappatura cartografica esprimo solo un auspicio, osservando anche quanto risulti complicato realizzarlo in concreto in un paese con tante diversità e sempre in movimento dal punto di vista degli usi come il nostro. Averne segnalato la mancanza in una pubblicazione del Touring Club, ‘casa d'eccellenza' della mappatura in Italia, vuol però anche essere un invito, una simbolica sfida. E' come dire: se non lo fate voi non potrà riuscirci nessun altro.