Maxi-perquisizione nel carcere di Prato: “I detenuti gestivano traffico di droga usando droni e minacciando altri carcerati”
- Postato il 22 novembre 2025
- Cronaca
- Di Il Fatto Quotidiano
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Una perquisizione record contro praticamente l’intera popolazione del carcere La Dogaia di Prato, sempre più fuori controllo, è in corso dalla tarda notte. Il procuratore di Prato ha emesso un decreto di perquisizione e sequestro contro 564 detenuti (solo ventinove dei quali sono indagati). Gli interessati sono reclusi in tutti i reparti: Alta Sicurezza, Media Sicurezza, senza escludere i Semiliberi e le aree comuni. Questa misura straordinaria, spiega il procuratore Luca Tescaroli in un comunicato diffuso nella mattinata, è “resa necessaria dal peculiare fenomeno criminale pulviscolare che, pur concentrandosi prevalentemente nelle sezioni ottava, quinta, sesta e decima, irradia i propri effetti ad ampio raggio nella struttura carceraria”. La situazione descritta dal procuratore è quella di un’isola di illegalità dove sotto il cartello dello Stato dominano di fatto i detenuti più pericolosi e violenti: consegne di droga con i droni che entrano nella Dogaia tranquillamente, minacce ai detenuti con permesso di uscita per costringerli a fare da corrieri, talvolta ingerendo ovuli pieni di droga, pressioni per sfruttare ogni contatto con l’esterno, compresi i colloqui con i familiari, e poi telefonini e internet a go go per coordinare con la tecnologia le attività illegali dalla cella. I detenuti gestiscono i loro social dalla cella così da mostrare all’esterno chi comanda. Dentro e fuori, anche dopo la condanna. Dalla cella al web.
E non è quindi sorprendente che al termine dei controlli le forze dell’ordine abbiano rinvenuto sei dosi di hashish, una di cocaina, sessantadue pasticche di sostanze “verosimilmente stupefacenti”, 14 lame artigianali, un cutter, un cacciavite, cinque punteruoli artigianali, uno smartphone privo di sim, uno smartwatch e denaro contante.
Il problema della Dogaia era già stato oggetto di altre operazioni limitate nel passato. Vista la difficoltà di restaurare la legge il procuratore Tescaroli ha scelto di ricorrere a una perquisizione totale. Come si è potuti arrivare a questo punto? Nel comunicato il procuratore enumera i fattori scatenanti: “La possibilità di movimento concessa ai detenuti, soprattutto coloro che svolgono attività lavorative in seno alla struttura, sono ammessi ai permessi premio e sono semiliberi, nonché le possibili connivenze di alcuni appartenenti alla polizia penitenziaria”.
Per il procuratore in questo buco nero “l’uso della violenza e della minaccia da parte di detenuti nei confronti di altri” punta “all’approvvigionamento di sostanza stupefacente del tipo cocaina, hashish, eroina e anfetamine/metanfetamine all’esterno del carcere, per il tramite di detenuti permessanti o semiliberi, destinatari anche di intimidazione e violenza, ovvero mediante consegna durante i colloqui di quanto occultato nelle parti intime dei familiari che si sono recati a colloquio, o invio di plichi destinati ai detenuti, celati all’interno di indumenti o cibi, o lanci di involucri, ovvero l’impiego di droni che trasportano plichi contenenti stupefacenti, nonché alla vendita e distribuzione dello stesso e nell’introduzione e impiego di telefoni cellulari e di social network, come i profili Tik Tok, che più detenuti continuano a gestire”.
Il procuratore ritiene di avere individuato un’altra problematica: l’uso delle strutture che dovrebbero aiutare il reinserimento nella società in senso opposto alla loro finalità. Scrive Tescaroli: “La struttura di accoglienza Jacques Fesh (ubicata a Prato, in via Pistoiese) è risultata essere un luogo strategico per convogliare la droga, alla quale sono risultati avere accesso incontrollato detenuti in permesso autorizzati a uscire dal carcere”. La questione da risolvere urgentemente è quella dei droni. La tecnologia che ha cambiato la guerra nel mondo muta anche i traffici nelle celle di casa nostra: “Alcuni detenuti gestiscono l’approvvigionamento con l’impiego di droni in grado di trasportare plichi, al cui interno viene occultato stupefacente, cellulari, coltelli e tirapugni”. Ovviamente il servizio della consegna in carcere si paga caro: “I rischi che si affrontano per l’introduzione dello stupefacente comportano un aumento esponenziale del prezzo per l’acquisto della droga, che spesso risulta versato dai molti consumatori in carte ricaricabili, come le Postepay, riconducibili ai detenuti o a soggetti a loro vicini. A titolo esemplificativo, secondo le indicazioni provenienti da un detenuto che ha intrapreso un percorso collaborativo, per l’acquisto di 0,7 grammi di cocaina ha pagato 500 euro”.
A nulla sono serviti i primi interventi mirati: “Il fenomeno non è stato neutralizzato il 28 giugno 2025 con le attività di perquisizioni svolte su scala ridotta in seno al carcere La Dogaia”. E già perché con quelle perquisizioni “non sono stati individuati gli apparecchi nella disponibilità di detenuti correlati a diciassette IMEI che sono risultati attivi (12 IMEI nell’alta Sicurezza e 5 nel reparto Media Sicurezza) e quelli utilizzati per l’impiego di ventuno utenze risultate nella disponibilità di detenuti (diciotto rientranti nel circuito alta Sicurezza e tre nel reparto media Sicurezza), nonché il congegno elettronico che ha consentito e consente a più detenuti di gestire dal carcere il proprio profilo Tik Tok”. Meglio è andata invece sul fronte droga: “Sono invece stati sequestrati, dal luglio 2024, trenta quantitativi di droga ( 1.145 gr. di hashish, 163,09 di cocaina, 4,61 di eroina e 0,66 di anfetamine/metanfetamine), occultati in camera di pernottamento, da familiari sulla loro persona, allorché si recano ai colloqui, e all’interno di pacchi spediti; quarantanove telefoni cellulari e alcuni routers sono stati rinvenuti e sequestrati”.
Chi sono gli indagati? Ventinove detenuti di nazionalità dominicana, tunisina, marocchina, egiziana, italiana, polacca e albanese, a vario titolo, per estorsione, violenza privata, acquisto e vendita di stupefacenti, accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti e detenzione e porto di armi. Un dominicano e un tunisino, operativi nell’ottava sezione della Media Sicurezza, sono risultati avvalersi di due detenuti in permesso, destinatari di aggressione fisica, per costringerli, con violenza e minaccia, a prestarsi per portare clandestinamente all’interno dell’istituto penitenziario lo stupefacente al rientro dalla fruizione dei permessi loro concessi. Scrive il procuratore: “L’aggressione dell’ 8 aprile 2025 risulta essere stata eseguita colpendo il detenuto vittima con calci e pugni al volto e in varie parti del corpo che gli provocavano lesioni personali, consistite in un trauma cranio-facciale all’interno della camera di detenzione ove era ristretto, rappresentandogli che l’aggressione costituiva solo l’inizio, ove non si fosse prestato a portare lo stupefacente all’interno dell’istituto pratese, rientrando dal permesso. L’aggressione del 16 maggio 2025 è consistita nel colpire la vittima con un punteruolo rudimentale all’avambraccio sinistro e nella zona inguinale sinistra, all’interno della camera di sicurezza ove era ristretto, sempre per costringerlo a portare lo stupefacente, rientrando dal permesso”. Non solo: “Tre detenuti si approvvigionavano di cellulari e armi (coltelli e tirapugni) impiegando un drone con una lenza lunga venti metri impiegata per trasportare i plichi contenenti detto materiale sino alla finestra della loro cella, priva di rete anti lancio, da dove prendevano il materiale, previe intese con un soggetto in libertà deputato a manovrare il drone, contattato con un’utenza cellulare”. La novità è la collaborazione da parte dei detenuti stufi di subire angherie. “Sei detenuti, destinatari di atti di violenza e di minacce di morte anche con l’impiego di armi, hanno assunto atteggiamento di collaborazione con quest’ufficio denunciando le intimidazioni, le violenze e i soprusi patiti, nonché indicando i canali di introduzione e i soggetti che gestiscono l’attività correlata all’approvvigionamento e alla vendita di stupefacente”. Il procuratore Tescaroli lancia un appello: “I detenuti vittima sono invitati a denunciare quanto accade all’interno della struttura carceraria pratese, tenendo conto che sussiste la possibilità di ricorrere ad appropriate misure di tutela nei loro confronti, come si è già provveduto a fare per coloro (i sei citati) che hanno fornito un concreto apporto alle investigazioni”. E c’è anche una richiesta al Dipartimento Amministrazione Penitenziaria. Scrive Tescaroli: “Le investigazioni espletate rivelano la necessità di munire la struttura carceraria pratese di telecamere e di reti anti lancio per tutte le finestre delle camere di detenzione occupate dai detenuti per neutralizzare l’impiego di droni con riprese continuative e ostacolare l’apprensione di plichi portati dai droni dalle celle, nonché di munire l’istituto di sistemi antidrone e di personale adeguato a garantire un compiuto servizio di vigilanza armata per prevenire il sorvolo degli stessi. Emerge, poi, l’esigenza di schermare la struttura in modo da impedire l’utilizzo della rete internet e di quella telefonica dall’interno della struttura carceraria. Inoltre, è emersa l ‘esigenza di sottoporre a contro ili sanitari, con esami radiologici (lastre), i detenuti permessanti al rientro in carcere per neutralizzare l’impiego di detto canale per introdurre lo stupefacente”. I decreti di perquisizione e sequestro sono stati eseguiti da un contingente di circa 800 esponenti delle quattro forze dell’ordine, Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza e Polizia Penitenziaria.
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