Meloni festeggia la crescita dei salari reali (e schiva le domande sull’allarme di Mattarella). Ecco cosa non dice
- Postato il 30 aprile 2025
- Lavoro
- Di Il Fatto Quotidiano
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Giorgia Meloni non partecipa alla conferenza stampa convocata subito dopo il consiglio dei ministri. Anche stavolta preferisce parlare al Paese via videomessaggio: alla vigilia del Primo maggio, vuole evitare domande sulle parole durissime arrivate martedì da Sergio Mattarella, che ha messo il dito nella piaga ricordando come i “salari insufficienti” siano “una grande questione per l’Italia”. E infatti la premier, nell’intervento registrato, cita il capo dello Stato solo per quanto riguarda la piaga delle morti sul lavoro. Sui salari sceglie con cura l’unico dato positivo: quelli reali – cioè corretti per l’inflazione – crescono, dice. “In controtendenza rispetto a quello che accadeva nel passato, con i precedenti governi”. Peccato che il governo non c’entri nulla: è semplicemente l’effetto del raffreddamento dei prezzi, che hanno interrotto la corsa iniziata dopo l’invasione russa dell’Ucraina con relativo impatto sul potere d’acquisto, e del contemporaneo rinnovo di alcuni contratti collettivi.
Aggrapparsi all’inversione di tendenza nell’andamento dei salari reali che si è registrata a partire dal 2024 dopo i crolli del 2022 e 2023 è un escamotage di cortissimo respiro. Perché da tempo i dati dell’Istat, dell’Ocse e dell’Organizzazione internazionale del lavoro segnano allarme rosso, come ricordano la Cgil e la Fondazione Di Vittorio nel Rapporto sul lavoro in Italia a dieci anni dal Jobs Act presentato oggi. Tra 1991 e 2023 i redditi da lavoro annuali a parità di potere d’acquisto sono scesi del 3,4%, mentre negli altri Paesi Ocse salivano in media del 30%. E va ancora peggio se il confronto parte dal 2008, anno di inizio della grande crisi finanziaria: da allora i salari reali medi in Italia sono diminuiti di quasi 9 punti percentuali, il dato peggiore tra i Paesi a economia avanzata del G20, mentre i cittadini di Germania e Francia incassavano un incremento rispettivamente del 14% e del 5% (vedi grafico sotto).
Il sindacato, nel documento messo a punto a poco più di un mese dai referendum dell’8 e 9 giugno, attribuisce molte responsabilità alla riforma del lavoro renziana di cui una delle consultazioni vuol cancellare gli ultimi lasciti. Il combinato disposto tra cancellazione dell’articolo 18, liberalizzazione dei contratti a termine e ampliamento dei confini del lavoro accessorio ha determinato “un circolo vizioso tra lavoro precario, bassi salari, bassa produttività e bassa crescita“, scrive la Cgil. “Siamo scivolati indietro rispetto alle maggiori economie europee”. Il pil pro capite italiano oggi è di 31mila euro, poco più alto – a prezzi costanti – di quello del 2000. A sua volta, la produttività per ora lavorata è poco sopra i livelli del 2000, anche a causa della caduta degli investimenti.
Ma, come spiega l’economista Andrea Garnero nel recente La questione salariale (Egea, 2025), firmato con il giornalista Roberto Mania, “i bassi salari che originano dal blocco della crescita sono diventati essi stessi un fattore di bassa crescita e produttività. Puoi abbassare i salari e fare tutti i contrattini che vuoi ma se ti metti a competere con la Cina, o con il Marocco o l’Albania sul terreno dei costi, finisci fuori gara”. Una spirale ulteriormente alimentata dalla forte diffusione del part time involontario, che si riflette in un aumento delle ore lavorate molto inferiore a quello degli occupati che nel frattempo hanno superato quota 24 milioni. Il 28% dei quali è a termine o a tempo parziale. In aggiunta, ammette la Cgil, “la copertura dei contratti di lavoro si è ridotta e si sono moltiplicati i ritardi nei rinnovi dei contratti di categoria, con perdite rilevanti in termini di adeguamenti salariali, specie negli anni di elevata inflazione”. In molti settori, “l’indebolimento del potere contrattuale del sindacato, anche per effetto della precarietà e frammentazione del lavoro, non è riuscito a evitare la caduta dei salari reali”. Il risultato è che una quota crescente di occupati vive in condizioni di povertà o rischia di finirci.
In questo quadro, il governo Meloni ha spiccato per inerzia. Dopo aver bocciato – con l’assist decisivo del Cnel di Renato Brunetta – la proposta delle opposizioni per l‘introduzione anche in Italia di un salario minimo legale, la maggioranza a fine 2023 ha approvato una delega in base alla quale il governo avrebbe dovuto entro la prima metà dello scorso anno adottare provvedimenti per garantire ai lavoratori una retribuzione proporzionata e sufficiente rafforzando la contrattazione collettiva. Ma è finita con un nulla di fatto: la ministra Elvira Calderone continua a ribadire l’intenzione di “spingere in direzione del rinnovo dei contratti nei settori dove tardano ad arrivare” ma la delega resta parcheggiata in Senato, inattuata, come ha ricordato la deputata dem Maria Cecilia Guerra. Silenzio tombale anche sulla direttiva europea sui salari minimi adeguati, che siano legali o contrattuali, mai recepita. E sono rimaste lettera morta pure le – pur debolissime – proposte del Cnel per risolvere il problema del lavoro povero: da misure ad hoc per settori deboli come logistica, vigilanza privata, multiservizi e turismo alla suggestione di un ddl costituzionale che abroghi i commi dell’articolo 39 della Costituzione sulla registrazione dei sindacati e la cruciale (mai attuata) misurazione della rappresentanza. La premier sembra ignorare il lungo elenco di occasioni mancate. E celebra l’operato dell’esecutivo che, sostiene, “anche quest’anno ha deciso di celebrare la festa dei lavoratori con i fatti“.
Le opposizioni vanno all’attacco: per Giuseppe Conte, presidente del Movimento 5 stelle, Meloni “è andata a vivere su Marte, forse con l’aiuto di Musk. Avrà girato da lì il video pubblicato poco fa in cui esulta per l’aumento di stipendi e potere d’acquisto delle famiglie, per come va bene la dinamica dei salari degli italiani rispetto al resto d’Europa”. La segretaria del Pd, Elly Schlein, rincara: la proposta sul salario minimo “va subito calendarizzata”, chiede, “Giorgia Meloni non può continuare a mentire come ha fatto ancora oggi sulla questione salariale, raccontando un Paese che non c’è, raccontando che non c’è un problema salariale e che i salari stanno aumentando”.
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