Microbiota intestinale, gli studi sul “ruolo” nella sclerosi multipla e su alcuni disturbi neurologici

  • Postato il 23 aprile 2025
  • Scienza
  • Di Il Fatto Quotidiano
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La ricerca per comprendere meglio l’origine della sclerosi multipla prosegue su piani diversi e sembra mettere a punto un passo avanti. Uno studio pubblicato su Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences) ipotizza che il microbiota intestinale potrebbe avere un ruolo. In particolare due membri della famiglia dei microrganismi Lachnospiraceae, presenti nell’intestino tenue, potrebbero costituire un agente scatenante la sclerosi multipla.

Il primo studio – Il lavoro è stato svolto presso il Max Planck Institute for Biological Intelligence di Martinsried in Germania. Grandi studi condotti su popolazioni di pazienti e soggetti sani di controllo hanno rivelato che la sclerosi multipla è accompagnata da alterazioni della composizione del microbiota intestinale. Per capire l’eventuale ruolo di queste alterazioni nella malattia il gruppo di ricerca diretto da Hartmut Wekerle e Sergio Baranzini ha fatto un esperimento di ‘trapianto’ del microbiota di pazienti e soggetti sani di controllo nell’intestino di topi a rischio di malattia. Parallelamente ha confrontato la composizione della flora intestinale di coppie di gemelli identici in cui solo uno dei fratelli soffriva di sclerosi multipla.

Il trapianto – Ebbene, non solo sono emerse differenze nel microbiota dei pazienti rispetto a quello dei fratelli sani; ma per di più si è visto che il trapianto nei topi del microbiota prelevato dai pazienti induce la malattia negli animali più spesso che non il trapianto di microbiota estratto dall’intestino dei gemelli sani. In particolare, gli autori hanno identificato i batteri Eisenbergiella tayi e Lachnoclostridium come agenti scatenanti della malattia. Un’ulteriore analisi del materiale fecale di 81 coppie di gemelli identici con un solo fratello malato ha rivelato un aumento di E. tayi nei fratelli con la sclerosi multipla, rispetto ai loro gemelli sani. Secondo gli autori, se veramente una classe definita di microrganismi si confermasse agente scatenante della malattia, una modifica selettiva e non invasiva del microbioma potrebbe rappresentare una possibilità terapeutica.

Il secondo studio – Il legame fra l’intestino umano e alcuni difetti dello sviluppo neurologico è alla base dello studio, pubblicato sulla rivista Cell Reports, della Scuola Superiore Sant’Anna Scuola Normale Superiore, dell’Università di Pisa, del Consiglio Nazionale delle Ricerche e del Max Planck Institute di Berlino. Il legame è stato visto in una malattia neurologica rara che colpisce soprattutto le bambine e il risultato apre la strada alla possibilità di migliorare la qualità di vita dei pazienti intervenendo sull’insieme dei batteri che popolano l’intestino (microbiota). “Modulando il microbiota intestinale, potremmo essere in grado di migliorare la qualità della vita dei pazienti e potenziare l’efficacia di altre terapie”, osserva la coordinatrice dello studio Paola Tognini, del Centro interdisciplinare Health Science della Scuola Sant’Anna di Pisa.

I ricercatori hanno studiato il disturbo da deficienza di Cdkl5 (Cdd), una malattia genetica rara che causa encefalopatia, epilessia resistente ai farmaci, ritardi nello sviluppo motorio e cognitivo e problemi visivi. Finora la ricerca di possibili terapie si era concentrata sul cervello, ma ora il punto di vista cambia: “È stato sorprendente scoprire un legame così stretto e causale tra l’intestino e le manifestazioni neurologiche in questa malattia. Guardare all’intestino per capire e trattare una malattia del cervello non è più fantascienza”, afferma Tognini. Studiando topi utilizzati come modello della malattia umana, i ricercatori hanno osservato che la composizione del microbiota intestinale è molto diversa rispetto a quella di un individuo sano. Nella sperimentazione condotta da Francesca Damiani, dottoranda della Scuola Normale e prima autrice dello studio, il microbiota intestinale dei topi con la malattia è stato trapiantato in topi sani e questi ultimi hanno sviluppato alcuni sintomi tipici della Cdd.

Le conclusioni – “I nostri dati suggeriscono che le alterazioni del microbiota non sono un semplice effetto collaterale, ma giocano un ruolo attivo. Questo – rileva Tognini – ci offre un bersaglio completamente nuovo: modulando il microbiota intestinale, ad esempio con probiotici mirati, diete specifiche o persino il trapianto di microbiota, potremmo essere in grado di migliorare la qualità della vita dei pazienti e potenziare l’efficacia di altre terapie”. Per Tommaso Pizzorusso, professore ordinario di Neurobiologia alla Scuola Normale Superiore, “è essenziale ampliare la prospettiva e indagare le interconnessioni sistemiche, come quella intestino-cervello, per comprendere a fondo le cause e le manifestazioni delle malattie neuropsichiatriche”.

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