Milioni di italiani sono «molestati» dai call center, ma la legge non li protegge

  • Postato il 29 aprile 2025
  • Di Panorama
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Chiunque abbia un telefono ha sperimentato la fastidiosa insistenza del telemarketing. Telefonate a qualsiasi ora, numeri sconosciuti che compaiono sul display con proposte commerciali indesiderate recitate da robot o insistite da umani (magari con formule «vantaggiosissime» e incomprensibili), promozioni improbabili e offerte che si moltiplicano, anche quando si è espressamente chiesto la cancellazione dai database. Questo nonostante ormai da tre anni in Italia i cittadini possano chiedere l’iscrizione del proprio numero al Registro delle opposizioni (Rpo) ed evitare – così dovrebbe essere – telefonate indesiderate da parte di aziende. 

A leggere i numeri ufficiali sembrerebbe quasi che il Registro stia funzionando: sono 31 milioni le iscrizioni effettuate fino a oggi. Ma, secondo vari esperti e associazioni di consumatori, risultano essere finte, perché non sono rari i casi in cui lo scudo del Registro viene facilmente bypassato dalle aziende che continuano col telemarketing aggressivo. Il risultato è allarmante: oggi in Italia, dove sono attive oltre 110 milioni di schede sim voce, ogni cittadino riceve in media quasi due chiamate al giorno dai call center. Un fenomeno diventato letteralmente insostenibile.

Eppure il sistema inizialmente concepito (correva l’anno 2022) avrebbe potuto avere un senso. Il meccanismo è piuttosto semplice: chi non vuole essere disturbato da decine e decine di telefonate di telemarketing può chiedere l’iscrizione del proprio numero di cellulare (o di rete fissa) all’Rpo. Questo elenco viene confrontato di volta in volta con le liste di numeri di telefono in possesso di un operatore (un’azienda, o un call center), prima che avvii una campagna di promozione. Si tratterebbe di un passaggio obbligato, necessario per evitare che l’operatore contatti numeri «vietati» dal legittimo possessore, scansando così una multa da parte del Garante. 

Il punto, però, è che in molti continuano a ricorrere al telemarketing selvaggio perché «vedono risultati immediati in termini di vendite, anche se a lungo termine può danneggiare la reputazione dell’azienda e alienare i “clienti-target”» spiega a Panorama Giovanni Spiller, partner e AFC di Dataz, società di performance marketing con sede a Milano. 

Ma soprattutto lo scudo dell’Rpo viene meno totalmente nel momento in cui un’azienda si rivolge a un call center situato all’estero: in questi casi «il Registro si rivela inefficace perché le chiamate provengono da giurisdizioni dove le norme italiane non sono applicabili. E di fatto chi ne paga le conseguenze sono i consumatori» aggiunge Spiller.

Insomma, un fallimento totale che ovviamente comporta un esborso: a gestire il Registro, infatti, è un ente privato ma di diritto pubblico, la Fondazione Ugo Bordoni, che viene finanziata dallo Stato con un «Piano preventivo dei costi di gestione» del Registro. Un Piano che per il 2025 ha previsto una spesa di 1,3 milioni di euro circa.

Un disastro evidente anche andando a scorrere i migliaia di commenti delle pagine social del Registro delle opposizioni. «A cosa serve il Registro pubblico delle opposizioni? Per cortesia, datemi una risposta che mi convinca, perché non è possibile che pur essendo iscritto da anni, ormai, la quantità di chiamate non desiderate non accenni a calare», scrive qualcuno. «È uno schifo totale. Ho fatto decine di segnalazioni ma lo spam continua» ribatte un altro. «Confermo che anche io, nonostante iscritto al Rpo, continuo a ricevere giornalmente, più volte al giorno, telefonate insistenti. Impossibile bloccarle!»… È tutto così: una lunga sequela di lamentele per uno strumento che non funziona.

Non è un caso che adesso anche il Parlamento stia lavorando per comprendere come arginare il fenomeno del telemarketing aggressivo. In una modalità certamente diversa rispetto al passato, come spiega Gianluca Di Ascenzo del Codacons: «Registriamo il coinvolgimento di tutti gli attori della filiera, unico modo per armonizzare la normativa vigente». Centrale è il ruolo svolto dall’Agcom, il cui lavoro tecnico si spera possa intanto contrastare e vietare il cosiddetto «spoofing», la falsificazione dell’identità del chiamante (compare un numero piuttosto che un altro), fenomeno che è alla base anche di tanti recenti casi di truffa.

Tutto questo, però, potrebbe non bastare. Al momento alle Camere sono in discussione ben sei proposte di legge, che Emmanuela Bertucci, avvocato di Aduc (Associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori), ha studiato nel dettaglio. La sua posizione è netta: «Le trovo inefficaci. Il punto non è aumentare le sanzioni (si passerebbe da 20 a 30 milioni di euro o dal 4 per cento al 6 per cento del fatturato, ndr): già esistono e vengono applicate negli importi massimi, ma anche così non riescono a essere un deterrente». E non conta neanche trasformare, come qualcuno ha proposto, l’attuale Registro delle opposizioni in un Registro dei consensi («Non funziona l’uno, non si comprende per quale motivo dovrebbe farlo l’altro»). Né servirebbero gli ulteriori obblighi di trasparenza e verifica del consenso (il Pd, per esempio, ha proposto di istituire un prefisso per riconoscere le telefonate commerciali), per un semplice motivo secondo la dottoressa Bertucci: «Se venissero rispettate le norme già esistenti, il telemarketing selvaggio non esisterebbe». Insomma, tutto il lavoro finora portato avanti rischia di essere, per l’ennesima volta, poco efficace.

Ecco perché c’è chi guarda agli esempi che arrivano dall’estero. Varie associazioni di consumatori, ma anche organi pubblici (ne ha parlato l’Arera, l’Autorità di regolamentazione di luce e gas, in audizione parlamentare) guardano alla Spagna dove è in discussione una proposta che vieta – limitatamente ai contratti relativi all’erogazione di energia elettrica – sia il telemarketing sia il teleselling (consentendo di stipulare contratti telefonici solo se l’iniziativa parte dal consumatore). Un’idea che non dispiace, per esempio, alla senatrice pentastellata Sabrina Licheri, da sempre attenta al fenomeno: «Quello dell’annullamento di contratti avvenuti proprio attraverso le chiamate potrebbe essere uno strumento in più per fermare questo fenomeno che dalle persone è vissuto come un atto lesivo della loro libertà personale», spiega. 

Di uguale avviso è anche Emmanuela Bertucci, secondo la quale è «la migliore soluzione fra quelle finora proposte. In questo modo i consumatori sarebbero finalmente liberi dalle molestie di decine di telefonate giornaliere di call center che propongono contratti di luce, gas, telefonia, investimenti in criptovalute, trading online, depuratori d’acqua e non verrebbero più adescati accettando contratti truffaldini». Insomma, dopo tre anni di fallimento, una soluzione concreta – forse, speriamo – è vicina.

Autore
Panorama

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