Mille migranti a Lampedusa. Ma il sistema al collasso è l’accoglienza: sulla strada finiscono anche i rifugiati

  • Postato il 2 maggio 2025
  • Politica
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Nel 2025 sono sbarcati più migranti che nello stesso periodo del 2024. Il trend ribassista che il governo vedeva confermato anche per quest’anno è stato cancellato dagli arrivi delle ultime settimane. Dal 25 aprile al primo maggio sono sbarcate 2.659 persone. Un anno fa, stesse date, gli sbarchi erano stati 106. Mentre nel cpr di Gjader, in Albania, ci sono una ventina di irregolari in attesa di rimpatrio, nell’hotspot di Lampedusa si contano 1.052 ospiti. Numeri da “centro al collasso”, attaccava Giorgia Meloni quando al Viminale c’era Luciana Lamorgese, promettendo il blocco navale. Gli sbarchi, invece, sono aumentati anche col governo Meloni, arrivando a 157mila nel 2023, ma così tanti dal 2017. Poi il calo in seguito al memorandum tra Bruxelles e Tunisi: 66mila nel 2024, meno 60% rispetto al 2023. Il 10 aprile il governo ha parlato, evidentemente troppo in fretta, di trend confermato nel 2025. E adesso? Decreto dopo decreto, la strategia si riassume in poche parole: difesa dei confini, procedure in frontiera, centri per il rimpatrio (cpr), espulsioni. Dunque? Su 13.779 bangladesi sbarcati nel 2024 (sono i più numerosi anche quest’anno), i rimpatri sono stati 73, di cui solo 11 transitati da un cpr. Rispetto ai 66mila arrivi via mare, l’anno scorso abbiamo espulso 5.414 persone, l’8 per cento. Tutti gli altri, regolari o no, restano.

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha rivendicato un aumento dei rimpatri del 16% rispetto al 2023. “A dimostrazione dell’efficacia della strategia messa in campo per contrastare l’immigrazione irregolare”, dichiarava il 27 dicembre. Bene, ma parliamo di 800 persone in più per un Paese, il nostro, dove nel 2024 sono state presentate 158.712 richieste d’asilo. Delle 90mila decisioni adottate durante l’anno, il 68% è negativo: 62mila nuovi irregolari. A fronte, appunto, di 5mila espulsioni. Come gestiamo la presenza dei 57mila irregolari che non rimpatriamo perché gli accordi coi relativi Paesi d’origine non ci sono o funzionano male? In attesa di capire se, dove, come e quando si concretizzerà la proposta della Commissione Ue sui cosiddetti hub di rimpatrio in Paesi diversi da quelli di origine, l’unica risposta è la promessa delle espulsioni, che non possiamo mantenere. Ma c’è di peggio. L’anno scorso 6mila richiedenti hanno ottenuto lo status di rifugiato, 11mila la protezione sussidiaria e 12mila quella complementare, per un totale di 28.807 persone. Hanno il “diritto di restare in Italia”, come lo chiama qualcuno, ma per gli italiani legittimamente preoccupati dall’immigrazione irregolare non è una garanzia. Quello che è accaduto ai primi di maggio nel Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Bari è indicativo delle conseguenze di una strategia politica che punta unicamente al rimpatrio.

“Dal 27 gennaio 2025 a oggi, il Cara ha sfrattato più di 100 persone che da pochi giorni avevano ricevuto la protezione internazionale, senza alcuna sistemazione alternativa. Non avendo accesso al Sai (Sistema di accoglienza e integrazione, la seconda accoglienza post-protezione internazionale), ci ritroviamo senza alloggio né cibo, spesso per strada, e senza documenti d’identità reali se non un foglio A4 che attesta lo status”, denunciano i migranti del centro di Bari e quanti di loro hanno già ottenuto protezione internazionale, in una lettera diffusa da Sportello sindacale Fuorimercato Bari. Grazie alle “pressioni sulla prefettura” successive alla morte di “quattro migranti in cinque mesi nel centro”, e dopo le proteste per le condizioni invivibili (“acqua gelata per tutto l’inverno, container sovraffollati, bagni allagati, scarafaggi, ratti e cimici”), la Commissione ha accelerato le procedure d’asilo. Ma “una volta ottenuta la protezione internazionale bisogna lasciare il Cara entro 5 giorni”. E “con la protezione internazionale si vive per strada – denunciano -. Perché i canali Sai, gestiti dai Comuni, sono insufficienti”, e lasciati soli “non si ha modo di completare la procedura per ottenere i documenti perché in questura le informazioni sono fumose e incomprensibili”. Il risultato? “Con la protezione internazionale, senza una residenza ufficiale riconosciuta dall’autorità locale, ossia dai Comuni, è impossibile compiere qualsiasi passo amministrativo: richiedere la carta d’identità, aprire un conto bancario. E senza un documento d’identità è estremamente difficile accedere alla formazione o trovare un lavoro sicuro e legale”. Insomma, irregolari anche se regolari, alla faccia della sicurezza.

Quello che succede a Bari non è un caso isolato. Il rapporto ‘Accoglienza al collasso, Report 2024’ di ActionAid e Openpolis evidenzia il peggioramento nella gestione di chi ha “diritto a stare in Italia”. Secondo il rapporto, le richieste di inserimento nel Sai da parte delle prefetture hanno subito un “calo vertiginoso” a partire dal decreto legge 20/2023, che ha di fatto escluso i richiedenti asilo dal circuito Sai, mentre nei grandi centri dell’accoglienza straordinaria il governo ha “azzerato i servizi di informazione e orientamento legale, orientamento al territorio, assistenza psicologica e corsi di lingua italiana”. E una volta usciti da questo limbo? Per i trasferimenti dai Centri di accoglienza straordinaria (Cas) al Sai non c’è alcuna linearità, si legge. Al contrario, aumentano gli episodi di “revoche dell’accoglienza per richiedenti riconosciuti rifugiati, senza trasferimento in Sai, mandandoli quindi per strada”. Nonostante gli inserimenti siano stabili, tra 2023 e 2024 migliaia di persone aventi diritto non sono riuscite ad accedere al Sai e sono finite sulla strada. Facciamo di tutto per trattenere i richiedenti, addirittura in Albania, ma accettiamo di perderli di vista una volta riconosciuto il loro diritto a rimanere, condannandoli a marginalità, lavoro nero, sfruttamento e, perché no, al crimine, anche quando si tratta di minorenni. Importa? “Non c’è monitoraggio né valutazione“, dice il rapporto. “L’ultima relazione annuale del Viminale sull’accoglienza riguarda il funzionamento del sistema nel 2021”. Mentre la macchina dei rimpatri resta al palo con numeri ininfluenti, la fabbrica degli sbandati gode di ottima salute.

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