Mistero Orlandi, cosa non torna nelle ultime rivelazioni del fratello Pietro: Pino Nicotri elenca i dubbi
- Postato il 25 aprile 2025
- Cronaca
- Di Blitz
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Mistero Orlandi. Il diavolo si nasconde nei particolari. E anche le bucce di banana…
“Con la scusa di ritirare i volantini della Avon, è stata fatta rientrare a Sant’Apollinare dove non è difficile narcotizzarla e farla uscire sul retro, caricarla in auto e portarla via da qui. Da qui si deve ripartire, dopo qualsiasi cosa potrebbe essere successa”.
Et voilà! Questa è stata la sorpresa di Pasqua regalata da Pietro Orlandi ai suoi estimatori e agli amanti dell’Emanuela Orlandi Show.
Come uovo non proprio di cioccolata nel quale collocare la sorpresa è stato scelto il programma televisivo Linea di confine, condotto da Antonino Monteleone, puntata del 16 aprile.
Peccato però che la basilica di S. Apollinare non abbia nessuna uscita “sul retro”, cioè su via dei Pianellari. L’unica uscita è la stessa porta di ingresso, affacciata sull’omonima piazza di S. Apollinare.
Poi c’è una porta NON sul retro, ma sul lato destro della basilica, porta che si affaccia sul cortile dell’Università della Santa Croce, fondata dall’Opus Dei e che oggi occupa tutto il palazzo di S. Apollinare.
La scuola di Emanuela Orlandi

È il palazzo che a suo tempo ha ospitato tra gli altri uffici e sodalizi anche la scuola di musica Ludovico da Victoria. Vale a dire, la scuola dove Emanuela Orlandi studiava canto corale, flauto traverso e pianoforte.
In quel cortile si accede solo dal portone dell’Università dell’Opus Dei, formato da una porta di legno a due ante, affacciato sulla stessa omonima piazza di S. Apollinare. Affacciato cioè sullo stesso lato di quello della basilica, dal quale dista una ventina di metri. Vi possono passare a stento le auto dei fornitori e comunque le sue chiavi non sono mai state nella disponibilità del rettore della basilica, ma solo del portiere del palazzo e dei responsabili dei suoi vari uffici e sodalizi.
Insomma, la scena descritta a Linea di confine si rivela impossibile.
Ma tant’è, tutto fa brodo: the show must go on! E per Pasqua ci vuole una bella sorpresa. Nessuno ci fa caso che si tratta invece di una buccia di banana, causa di un altro penoso scivolone orlandiano.
Che il diavolo si nasconda, come le bucce di banana, nei particolari anche del mistero Orlandi era già noto da un pezzo. Fin da quando la povera Sabrina Minardi, vita travagliata conclusa malamente di recente e donna sempre presentata – abusivamente – come “fidanzata del boss Enrico De Pedis detto Renatino”, non s’è inventata di avere consegnato Emanuela, lei e Rena un prete nella piazzola del benzinaio del Vaticano: “Un prete sì, uno col cappellone”.
Peccato che nel 1983 la “divisa” dei preti NON comprendesse più il “cappellone”.
Una buccia di banana
Particolare e buccia di banana che è stranamente passato inosservato a tutti, anche al magistrato Giancarlo Capaldo, all’epoca titolare della nuova inchiesta sulla scomparsa della “vatican girl”.
Beh, del resto a Capaldo era passato inosservato anche altro. Quando la Minardi gli ha rifilato la storiella che De Pedis aveva ficcato in una betoniera per impastarli col cemento i cadaveri di Emanuela e di un ragazzino – peraltro scomparso solo 10 anni dopo! – non s’è reso conto di altri due particolari. Il primo è che una betoniera è troppo piccola per poter contenere due cadaveri. Il secondo è che comunque non ce la farebbe a funzionare perché le betoniere sono progettate per mescolare acqua, sabbia e cemento, tre sostanze niente affatto dure o resistenti, e NON per stritolare scheletri e teschi, decisamente più duri e resistenti dell’acqua, della sabbia e del cemento in polvere.
A essere pignoli il diavolo, per nulla intimidito dal fatto che si trattasse di un monsignore, addirittura ex nunzio, cioè ambasciatore, del Vaticano negli USA, s’era nascosto anche in un altro particolare già la sera stessa della scomparsa di Emanuela. Pochi anni fa monsignor Carlo Maria Viganò – subito creduto e ancora rilanciato da Pietro Orlandi – ha dichiarato che la sera stessa della scomparsa i “rapitori” s’erano fatti vivi al telefono per annunciare il “rapimento” e che lui aveva telefonato al segretario di Stato del Vaticano, monsignor Agostino Casaroli, per avvertirlo.
Peccato che Casaroli fosse in Polonia, ancora comunista, col papa polacco Karol Wojtyla e che, oltre a non esistere ancora la teleselezione coi Paesi comunisti, Casaroli fosse in movimento e quindi non era raggiungibile neppure prenotando una telefonata al centralino internazionale. Cosa che comunque avrebbe fatto passare un bel po’ di tempo.
Il diavolo addirittura non s’è intimidito neppure di fronte a Papa Francesco in persona quando il pontefice il 27 marzo 2013 davanti alla chiesa parrocchiale vaticana di S. Anna ha incontrato la signora Maria Pezzano, madre di Emanuela, Pietro Orlandi e sua sorella Federica.
In un primo momento Pietro ha dichiarato che Francesco gli aveva detto “SE Emanuela è in cielo preghiamo per lei”. Dopo qualche giorno ha invece “rivelato” che il Papa aveva detto chiaro e tondo a sua madre prima e ripetuto a lui subito dopo che “Emanuela è in cielo, preghiamo per lei”. Aveva cioè detto alla madre e a Pietro che senza ombra di dubbio Emanuela era morta.
“Quando mi ha detto quelle parole mi si è ghiacciato il sangue”, ha poi dichiarato e ripetuto per anni a giornali e televisioni Pietro, spiegando il perché: “Il Papa mi aveva infatti appena detto che Emanuela è morta e che lui lo sapeva”.
Peccato che anche qui il diavolo con la sua scivolosa buccia di banana si nasconda in un particolare che guasta tutto. Il video di quell’incontro davanti alla chiesa di S. Anna mostra infatti che la signora Pezzano con Papa Francesco ride felice, seguita a ruota da Pietro che sorride anche lui felice e indugia in un breve dialogo sorridente. Altro che “mi si è ghiacciato il sangue!”.
Ma tant’è: tutti hanno preferito bersi e far bere la seconda versione, per il semplice motivo che drammatizza la vicenda, la rende più spettacolare e permette di dare briglia sciolta alle fantasie viscerali accusatorie di ogni tipo.
A partire ovviamente da quelle contro Papa Wojtyla, gli “alti prelati pedofili” e l’omertà complice, la “congiura del silenzio” dell’intero Vaticano compresi i due Papi successori di Wojtyla.
Ma torniamo alla sorpresa di Pasqua. E’ francamente strano, se non grave, molto grave, che Pietro Orlandi non sappia neppure come è fatta la basilica di S. Apollinare nonostante fosse la cappella del palazzo nel quale aveva sede anche la scuola di musica Ludovico Da Victoria frequentata da Emanuela.
Ignorare un particolare così vistoso denota scarsa conoscenza del luogo. E, di conseguenza, fa pensare a scarsità di visite ai docenti per informarsi se la ragazza seguisse o no con zelo i corsi di canto corale, flauto traverso e pianoforte, e a scarsità di iniziative sia per accompagnarla che per andarla a prendere e tornare assieme a casa in Vaticano.
E qui veniamo alla parte più grave di tutta la faccenda. Parte che nessuno, conduttore televisivo o giornalista più o meno inchiestista o semplice ammiratore solidale, fa mai rilevare a Pietro. Fin dal primo giorno dopo la scomparsa lo zio Mario Meneguzzi ha detto e fatto scrivere a vari giornali che in Vaticano si temevano rapimenti per barattare il rapito con la scarcerazione del fanatico turco Alì Agca, condannato all’ergastolo per avere sparato a papa Wojtyla in piazza S. Pietro nell’81, due anni prima del “rapimento” di Emanuela.
Strano quindi che nonostante il timore di rapimenti Emanuela al liceo scientifico e alla scuola di musica ci andasse da sola, a piedi o in autobus. Ed è piuttosto imperdonabile che, come risulta dai verbali delle stesse testimonianze di Pietro e di sua sorella Maria Cristina, lui quel maledetto 22 giungo ’83 si sia rifiutato di accompagnarla al Da Victoria e si sia poi anche dimenticato che doveva andarla a prenderla.
E’ evidente che se l’avesse accompagnata, come lei gli aveva chiesto anche perché c’era la sciopero dei mezzi pubblici, non avrebbe potuto esserci il famoso adescamento del misterioso uomo dei cosmetici Avon.
Uomo che nei pressi della scuola di musica le avrebbe offerto di distribuire volantini a una sfilata di moda in cambio di ben 370 mila lire dell’epoca, pari a più o meno 6-700 euro di oggi. Ed è altrettanto evidente che se Pietro fosse invece andata a prenderla non avrebbe potuto esserci comunque neppure il “rapimento”.
Più che continuare a fantasticare di piste inglesi, rapporti sessuali con papa Wojtyla e “alti prelati pedofili”, e più che accusare a vanvera boss malavitosi veri o presunti, massoneria, servizi segreti italiani “deviati” o non deviati dei Paesi comunisti e terroristi turchi per lo scambio con Agca, Pietro Orlandi dovrebbe farsi un esame di coscienza. E rendersi conto che la scomparsa di Emanuela NON ci sarebbe stata se lui quel giorno l’avesse accompagnata o fosse andato a prenderla.
Il “rapimento” ci sarebbe stato comunque nei giorni successivi? Non lo sappiamo. Sappiamo invece che quel 22 giugno era se non l’ultimo uno degli ultimissimi giorni di scuola. I “rapitori” avrebbero dovuto rimandare l’azione. Che sarebbe comunque stata impossibile se Pietro, disoccupato e quindi senza nulla da fare tutto il giorno e tutti i giorni, l’avesse accompagnata o fosse andato a prenderla in quegli ultimissimi sgoccioli di anno scolastico.
Pietro Orlandi invece preferisce continuare ad accusare ben tre Papi di avere saputo e avere taciuto. Di Papa Francesco a cadavere ancora caldo ha avuto l’ardire di accusarlo ancora dichiarando:
“Avrebbe potuto fare la storia col suo pontificato se avesse detto la verità, che certamente anche lui conosceva. Invece….”.
Invece l’egocentrismo e la vanità impediscono di rendersi conto che, a giudicare dalla marea di dichiarazioni e presenze al funerale di molti capi di Stato e leader politici e religiosi di molte parti del mondo, Papa Francesco nel suo piccolo la storia l’ha fatta. La storia, o meglio la Storia. La Storia, NON uno show sempre più scombiccherato e stantio, non di rado anche volgare.
La Storia, NON storielle farneticanti buone per salotti e programmi televisivi a caccia di audience.
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