“Molti hanno l’epatite C senza saperlo. Possiamo eliminare questa malattia, ma la cerchiamo nei posti sbagliati”: il monito dell’esperto nella Giornata mondiale
- Postato il 28 luglio 2025
- Salute
- Di Il Fatto Quotidiano
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Le chiamiamo tutte con lo stesso nome, epatite, ma dietro questo termine si celano malattie diverse per cause, gravità e trattamenti. In occasione della Giornata mondiale contro l’epatite che ricorre il 28 luglio, il professor Pietro Lampertico – Direttore struttura complessa di Gastroenterolgia ed Epatologia al Policlinico di Milano – interviene a Ilfattoquotidiano.it per fare chiarezza su questo gruppo di patologie che colpiscono il fegato illustrando le sfide ancora aperte, come l’obiettivo dell’OMS di eliminare entro il 2030 l’epatite C.
Sotto il “termine ombrello” di epatite rientrano diversi sottotipi. Facciamo ordine?
Epatite è un termine generico che indica un processo infiammatorio del fegato. Ci sono vari criteri per classificarle, a partire dalla durata: meno di 6 mesi per le forme acute, oltre 6 mesi per le forme croniche. Se si parla invece di cause che generano le epatiti il campo si amplia molto: ci sono quelle virali (A, B, C, D, E) e le non virali. Tra queste ultime le epatiti su base metabolica, associate alla presenza di fegato grasso soprattutto in pazienti con diabete e obesità, oppure le epatiti croniche da alcol, da farmaci, le forme autoimmuni…
Per alcune c’è un vaccino.
Ci sono due vaccini estremamente efficaci e sicuri. Uno è contro il virus dell’epatite B, e viene fatto alla nascita in tutti i soggetti nati in Italia o in soggetti adulti a rischio di infezione acuta da HBV, l’altro è contro il virus dell’epatite A, che non è obbligatorio, ma molto raccomandato. Non esiste invece il vaccino per l’epatite C e, almeno in Italia, per l’epatite E.
A chi è caldamente consigliata la vaccinazione contro l’epatite A?
Oggi un’epatite acuta A si contrae in due modi: durante i viaggi all’estero attraverso il cibo contaminato da acqua infetta – ed è raro che questo si verifichi in Italia – e per via sessuale, per cui anche i soggetti con attività sessuali a rischio dovrebbero essere vaccinati. La gravità dell’epatite acuta dipende dall’eta del paziente: molto lieve nei bambini e nei giovani adulti, ma più grave con l’avanzare dell’età, e in questi ultimi soggetti addirittura con forme colestatiche che possono causare sintomatologie importanti ed inabilità prolungata.
Si può fare qualcosa per evitare le forme per le quali non c’è un vaccino?
Per l’epatite C non abbiamo a disposizione il vaccino, ma farmaci antivirali straordinariamente efficaci che in 2-3 mesi guariscono nel 98% dei pazienti indipendentemente dall’età, dalla gravità della malattia e dai livelli di viremia. In Italia negli ultimi 10 anni abbiamo trattato circa 300.000 soggetti con questi antivirali molto potenti e gratuiti per tutti. L’epatite D è un virus difettivo che infetta solo i soggetti che hanno già l’epatite B, cioè soggetti HBsAg positivi, per cui la vaccinazione contro l’epatite B previene anche la D. L’epatite E è una malattia relativamente rara, è a trasmissione oro-fecale, e in altri casi si contrae attraverso l’assunzione di carne animale poco cotta. Nella maggioranza dei casi sono forme acute che guariscono da sole. In casi rari, in pazienti gravemente immunocompromessi, esistono forme croniche che possono esse trattate con farmaci antivirali
In linea generale quali sono i sintomi a cui fare attenzione?
Nelle epatiti acute, quando sono clinicamente evidenti, il paziente è stanco, è itterico (colorazione giallastra della cute) o ha solo gli occhi gialli (un subittero sclerale), è inappetente, può avere nausea e sintomi simil-influenzali aspecifici. Nel momento in cui vengono fatti gli esami del sangue i valori del fegato sono molto elevati e generalmente questo richiede un ricovero ospedaliero. In qualche caso lieve basta la gestione ambulatoriale. La maggior parte delle epatiti croniche invece non dà sintomi specifici. Questi compaiono solo quando la malattia epatica si aggrava, cioè si sviluppa una cirrosi avanzata. Gli esami del sangue fatti per screening, per sorveglianza nell’ambito di check-up o per altri motivi durante i ricoveri ospedalieri sono gli unici strumenti che abbiamo per identificare precocemente queste malattie e curarle adeguatamente.
Ci sono dei dati aggiornati su quante persone ogni anno in Italia si ammalano di epatite?
Per fortuna i nuovi casi di epatiti acute sono limitati, ma ci sono dei motivi. Le epatiti A ed E sono ormai eventi rari, perché le condizioni igienico-sanitarie italiane sono molto migliorate rispetto al dopoguerra. Per l’epatite B tutti gli italiani nati in Italia tra 0 e 45 anni sono vaccinati, quindi la probabilità di un’epatite acuta B è soltanto o nel soggetto di qualunque età non nato in Italia, o in un soggetto nato in Italia con più di 45 anni. I casi di epatite acuta C sono limitati al mondo della tossicodipendenza, o degli omosessuali maschi o in casi particolari di trasmissione iatrogena. Per quanto riguarda le epatiti croniche continuiamo ad avere un numero importante di ricoveri, e spesso sono malattie metaboliche, malattie da abuso di alcool, malattie autoimmuni, malattie da farmaci, a volte anche forme virali misconosciute.
A che cosa si va incontro se l’epatite non viene curata?
L’epatite cronica che non viene curata ha una probabilità stimata da vari studi al 30-40% di progredire in 10-20 anni allo step successivo, che è la cirrosi. A sua volta la cirrosi può andare incontro a due complicanze gravi: l’epatocarcinoma (circa il 3-5% dei pazienti per anno) e lo scompenso epatico (circa il 3-5% dei pazienti per anno). Queste due complicanze sono le cause principali o di trapianto di fegato, per i soggetti italiani con meno di 70-73 anni, o di morte fegato-correlata.
L’Italia è sulla strada giusta per eliminare l’epatite C entro il 2030, come da obiettivi OMS?
Eravamo sulla strada giusta prima del Covid, poi c’è stato un rallentamento fisiologico nel numero dei trattamenti. Però dobbiamo considerare un altro dato importante. Le stime italiane per l’obiettivo del 2030 sono state fatte tenendo presente un quadro epidemiologico caratterizzato da centinaia di migliaia di infetti in tutto il Paese, ma studi recenti suggerirebbero che quei numeri siano vecchi e che quelli ancora da identificare e trattare siano meno di 200.000 sommando coloro che non sanno di avere l’epatite C e chi per qualche motivo non vuole farsi curare o non è a conoscenza della disponibilità gratuita delle cure. Esiste certamente un numero sommerso di pazienti che facciamo molta fatica a raggiungere anche se c’è un ambizioso programma nazionale di screening gratuito per la popolazione generale con una certa fascia di età.
A chi è rivolto in particolare?
Il programma italiano prevede tre tipi di attività. La prima è lo screening e trattamento gratuiti di tutti i soggetti HCV positivi nelle carceri; la seconda è per tutti i pazienti che afferiscono ai SerT. Qui, però, il programma funziona meno bene perché non in tutti i SerT si può organizzare il cosiddetto “test and treat” (ovvero esecuzione del test e, se positivo, iniziare subito il trattamento), quindi si perdono i pazienti quando vengono inviati ai centri di riferimento. Il terzo programma riguarda la popolazione generale italiana nata tra il 1969 e il 1989. Secondo alcuni calcoli questa è una fetta di popolazione nella quale l’epatite C doveva essere molto presente, in realtà abbiamo testato oltre 2 milioni di soggetti e la prevalenza di infezione virale HCV attiva è solo dello 0,1%. È un programma che sta andando avanti, è gratuito, funziona ed è stato finanziato anche per il 2025. Spingiamo però le regioni e il governo a testare un’altra fascia d’età, perché sappiamo dal punto di vista epidemiologico che la stragrande maggioranza dei pazienti con epatite C ha più di 55-60 anni. Noi come altri colleghi stiamo attivando progetti indipendenti complementari al progetto nazionale per andare a cercare l’epatite C dove veramente c’è, nei pazienti più anziani.
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